"Dialoghi mediterranei"
1 maggio 2021
FILOSOFIA E FEDE CRISTIANA: UNA QUESTIONE DA ARCHIVIARE ?
Anche se investita talora da ventate di moda, la filosofia – come riflessione pacata e critica su ciò che l’esperienza ci squaderna davanti – non è l’esercizio più diffuso. Non lo è oggi e, con buona pace dei nostalgici di epoche che non hanno conosciuto, non lo è mai stata. La fede cristiana – intesa, approssimativamente, come ascolto e pratica del messaggio evangelico – non gode, o almeno non sembra godere, di migliore fortuna. Perciò interrogarsi sui rapporti reciproci fra filosofia e fede può risultare interessante quanto indagare sui rapporti fra il pianeta Nettuno e il suo satellite Tritone.
Eppure…eppure nutro il sospetto che su questa relazione fra filosofia e fede ogni persona – credente o meno che si ritenga – abbia le proprie convinzioni che incidono, in qualche misura almeno, sulla sua esistenza. Se così fosse, e nel mio caso lo è certamente, non farebbe male regalarsi dieci minuti per prenderne consapevolezza. Soprattutto in una fase storica, come l’attuale, in cui sia la filosofia sia la fede stanno conoscendo delle trasformazioni storico-effettuali, e dunque anche semantiche, di notevole intensità.
Lo scenario dell’incastro perfetto si incrina…
Alla maggior parte delle persone appartenenti alla mia generazione – intendo nate prima del Concilio Vaticano II (1962-1965) – è stata proposta, nella catechesi adolescenziale, la tesi dell’incastro perfetto fra le dottrine della filosofia (greco-romana) e le ‘verità’ rivelate da Dio contenute nella Bibbia. Certo le dottrine filosofiche elleniche ed ellenistiche dovevano essere ritoccate, talora rimodellate robustamente, ma grosso modo potevano servire da fondamenta (naturali) su cui costruire i piani dell’edificio (sovrannaturale): la ragione dimostra che c’è ‘un’ Dio, la fede dice il suo ‘nome’ proprio; la ragione dimostra che siamo anche anima spirituale ‘immortale’, la fede rassicura che alla fine del mondo, grazie alla ‘resurrezione’ finale, ci ricongiungeremo con il nostro corpo…e così via.
Questo affascinante e confortante edificio comincia a scricchiolare man mano che, da Erasmo da Rotterdam e Lutero in poi, si studia la Bibbia con gli stessi strumenti filologici, esegetici e storico-critici con cui si studiano l’Iliade, l’Odissea o l’Eneide. Infatti si scoprono, con approssimazione sempre più vicina alla certezza scientifica, almeno due crepe.
La prima, per così dire di merito (o di contenuti), è che non esiste questo felice incastro fra i risultati della filosofia antica e le affermazioni dei Libri ‘sacri’: se tale compatibilità riluce occasionalmente (soprattutto nei libri della Bibbia “deuterocanonici” ossia considerati rivelati in un “secondo” tempo dai cattolici, ma non dagli Ebrei né, successivamente, dai Riformati), la stragrande maggioranza dei libri della Bibbia propone una concezione di Dio, dell’uomo, del mondo naturale, della storia e così via… irriducibilmente altra rispetto alle concezioni platoniche o aristoteliche di Dio, dell’uomo, del mondo naturale, della storia e così via. Indubbiamente questa diversità difficilmente poteva saltare agli occhi di chi leggeva Antico (oggi, per rispetto degli Ebrei, si preferisce: Primo) e Nuovo (Secondo) Testamento solo in traduzione ‘ufficiale’ latina perché non conosceva l’ebraico, anzi neppure il greco (il caso più clamoroso è il “padre della Chiesa” Agostino).
Ma la crepa più profonda dell’edificio ‘cattolico’ della provvidenziale concordanza fra teorie filosofiche e annunzi biblici è di metodo (o di atteggiamento esistenziale): il filosofo (greco) pensa per conoscere e parla soprattutto per aiutare a conoscere; il profeta pensa per agire e parla soprattutto per spronare ad agire; il filosofo (greco) predilige l’occhio, la vista; il profeta (ebreo) predilige l’orecchio, l’ascolto. Insuperabile la formula di Galileo Galilei vanamente esposta ai giudici del tribunale ecclesiastico: in quanto filosofo-scienziato apro il libro della natura per capire come “è fatto” il “cielo”, in quanto cristiano-credente apro il libro della rivelazione per capire come “si vada” al “cielo”. Non leggo la Torah per capire le macchie solari né leggo Copernico per capire cosa può rendermi felice nei rapporti con gli amici. Nella stessa epoca, l’ebreo Baruch Spinoza sosterrà nei suoi volumi una analoga distinzione, andando incontro ad analoghe persecuzioni da parte delle autorità della sua religione.
Per continuare e completare la lettura, basta un click qui:
http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/filosofia-e-fede-cristiana-una-questione-da-archiviare/
1 commento:
Caro Augusto,
come stai? E’ ta tempo che non ci sentiamo e ci vediamo, ma la voglia di scriverti m’è venuta dopo aver letto il tuo recente articolo "Filosofia e fede cristiana: una questione da archiviare?”, pubblicato sull’ultimo numero di Dialoghi Mediterranei per esprimerti la mia sintonia con le conclusioni che trae.
Anch’io sono pervenuto negli ultimi tempi a considerazioni simili, anche se il mio cammino è stato forse diametralmente opposto al tuo, perché sono partito da una posizione laica e atea, per scoprire pian piano l’importanza della dimensione spirituale e del sacro (anche attraverso lo studio del mito), giungendo infine a scoprire il contenuto di spiritualità esistente anche nel cristianesimo, ma inteso appunto in senso non dommatico e dottrinale (come dici tu, come “gesuanismo"), ma nella dimensione di un perfezionamento interiore che è comune a tante altre esigenze ed esperienze che l’umanità a conosciuto e che tu stesso menzioni. E in ciò lo studio della spiritualità di San Francesco è stato veramente illuminante (a poco un mio volume su tale argomento; un altro curato da me e L. Cardullo è già uscito - Vivere in Assisi. Natura e cultura dopo San Francesco, Bonanno Editore, Acireale-Roma 2020).
Spero che in futuro potremo incontrarci su questi temi e discuterne insieme, nel tramonto della nostra vita, come dici bene.
Un caro saluto.
FC
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