“Comunicazione filosofica”
n. 37 – Novembre 2016
AA. VV., Oltre le religioni. Una nuova epoca per la spiritualità umana, Prefazione di M. Barros, Gabrielli, San Pietro in Cariano (Verona) 2016, pp. 239, euro 16,50
Ci sono libri di teologia che possono interessare soltanto i teologi. Ma quando un libro di teologia non parte dal presupposto che esista un Dio trascendente e personale; che questo Dio si sia auto-rivelato a un solo popolo della terra; che poi si sia incarnato un’unica volta nella natura umana in Gesù di Nazareth, il quale avrebbe fondato una chiesa indefettibilmente assistita dallo Spirito Santo etc. etc.; bensì mette in discussione proprio le basi della teologia ortodossa tradizionale, interessa solo i teologi? O non anche i filosofi? O i filosofi molto più che i teologi? Forse interessa esclusivamente i filosofi e per nulla i teologi ‘ufficiali’: quei filosofi, almeno, dalla cui prospettiva teoretica il pensiero sul divino non si sia definitivamente eclissato.
Un esempio tipico di testo teologico per… non teologi (di professione) è questa esplosiva raccolta di saggi curata da C. Fanti e F. Sudati: un libro così netto nell’impostazione e così limpido nel linguaggio che solo chi crede di sapere tutto, o ha deciso di non sapere nulla, sulla crisi attuale delle religioni monoteistiche può esonerarsi dal leggerlo. Sin dalla Prefazione il monaco benedettino Marcelo Barros offre su un piatto d’argento la chiave ermeneutica dei cinque saggi (che, con la Presentazione analitica di Claudia Fanti e la Piccola introduzione a John Shelby Spong di don Ferdinando Sudati, diventano in realtà sette) : “Fino ad oggi, la sfida di de-occidentalizzare il cristianesimo, di liberare l’islam dai condizionamenti storici della cultura araba, di completare il lavoro di Gandhi in un’India ancora segnata dalla divisione religiosa delle caste si è posta in modi diversi, ma con la stessa urgenza. E purtroppo, a quanto pare, né le Chiese né altre religioni hanno ufficialmente preso sul serio e affrontato in profondità tali sfide. (…) E’ questo il quadro che ci obbliga a parlare di “crisi delle religioni” e, ora, di paradigma post-religionale, come pure di ricerca di una spiritualità umana laica e post-religiosa. (…) Il libro Oltre le religioni può essere un ottimo strumento in questo percorso” (pp. 10 – 13).
Di che si tratta in dettaglio? I contenuti dei saggi che costituiscono il libro vengono anticipati brillantemente nella Presentazione della Fanti, in perfetta sintonia con l’ouverture di Barros: “Riuscirà il cristianesimo nell’impresa di trasformare se stesso, reinterpretando e riconvertendo tutto il suo patrimonio simbolico in vista del futuro che lo attende? Riuscirà a liberarsi di dogmi, riti, gerarchie e norme, di tutti quei rituali religiosi che (…) hanno finito per complicare – anziché favorire – la nostra relazione con Dio, ostacolando inoltre, e soprattutto, le nostre relazioni umane? (…) E’ un compito, questo, cui hanno rivolto le proprie riflessioni teologi come il vescovo episcopaliano Juhn Shelby Spong, il gesuita belga Roger Lenaers, il clarettiano spagnolo, naturalizzato nicaraguense, José Marìa Vigil, esponenti di punta di questo nuovo paradigma post-religionale e autori della presente opera, ma cui guardano con interesse e con passione anche quanti, pur al di fuori della ricerca teologica propriamente detta, vogliono sentirsi vicini <<alla Vita che Gesù ha difeso e a cui ha dato dignità>>, come spiega nel suo modo impareggiabile, nel secondo capitolo di questo libro, la giornalista e scrittrice cubana-nicaraguense Marìa Lòpez Vigil” (p. 18).
Procedendo in ordine, il primo teologo che incontriamo è il vescovo Spong: prima attraverso il profilo biografico-intellettuale di don Sudati (che vede in lui “lo specchio in cui il vecchio cristianesimo riflette le proprie contraddizioni e quello nuovo le sue potenzialità”, p. 66), poi grazie alle “Dodici tesi” da lui appese, nel 1998, “alla maniera di Lutero, all’ingresso principale della cappella del Mansfield College, all’Università di Oxford, nel Regno Unito” (p. 70). Esse esortano tutte le confessioni cristiane a ripensare, profondamente, la formulazione teologica dell’unica fede evangelica in considerazione della insostenibilità del “teismo” tradizionale; della dottrina cristologica della “incarnazione di una divinità teistica”; della mitologia pre-darwiniana del “peccato originale”; della “nascita verginale” di Gesù “intesa in senso biologico letterale”; delle “storie dei miracoli del Nuovo Testamento” interpretati come “avvenimenti soprannaturali”; della “interpretazione della croce come sacrificio per i peccati” (“basata su concezioni primitive di Dio”); della risurrezione di Gesù concepita come “un risuscitare fisico all’interno della storia umana”; del “racconto dell’ascensione di Gesù” inintelligibile in una visione post-copernicana del cosmo; della morale come insieme di princìpi etici rivelati in maniera definitiva da Dio; della preghiera intesa come “petizione” a un Dio esterno alla storia umana perché agisca in essa; della dottrina del rapporto fra morale terrena e condizione post-terrena; della legittimazione di ogni discriminazione sulla base delle opinioni teologico-religiose di ciascuno. La conclusione dell’autore è icastica: “Le dodici tesi stanno ora davanti alla chiesa. Il futuro del cristianesimo dipenderà da come questa sarà capace di rispondere” (p. 120).
Segue un articolato e argomentato intervento – provocatorio, e insieme incoraggiante, sin dal titolo - di Maria Lòpez Vigil: Beati gli atei perché incontreranno Dio. Sulla base della propria esperienza biografica, l’autrice racconta perché non riesce più a “credere a questo incomprensibile linguaggio dogmatico, amalgamato a una filosofia superata” (p. 122) , di cui si servono tutte le chiese cristiane; ma anche perché Gesù di Nazareth resti il suo “riferimento religioso e spirituale”, il suo “riferimento etico”, quello “più familiare per provare a percorrere il cammino che (la) apre al mistero del mondo” (p. 123).
Sul tema dell’incompatibilità con la modernità non del cristianesimo, ma della teologia cristiana bimillenaria, insiste Lenaers; a giudizio del quale, infatti, la fede cristiana (spogliata dagli involucri culturali con cui si è storicamente impastata) e la modernità “si completano e si arricchiscono vicendevolmente. La fede cristiana arricchisce la modernità liberandola dalla sua cecità di fronte a una Realtà che ci trascende totalmente e al tempo stesso ci abbraccia. Senza questa intuizione, l’affermazione umanistica del valore assoluto della persona e dei diritti umani perde il suo indispensabile fondamento. (…) D’altro lato, la modernità arricchisce la nostra fede e la completa, liberandola dall’immagine antropomorfica di un Theos nell’alto dei cieli che è stata ricevuta in eredità dalle generazioni preistoriche e che ancora non si osa abbandonare, per quanto non sia stato altro che il frutto di pura ignoranza. Questa immagine, in realtà, è stata uno schermo fra noi e l’Amore assoluto” (p. 157).
Il penultimo contributo al volume, di J. M. Vigil, si concentra sulla pars costruens del paradigma “post-religionale” (p. 159) : una volta che le funzioni “accidentali” (p. 171) delle religioni tradizionali risulteranno superflue – o addirittura dannose – ad esse non resterà che tramontare o riscoprire il loro “servizio essenziale, centrale”: alimentare “la spiritualità dell’essere umano”. Con questo termine l’autore non rimanda a nessuna dimensione “a- mondana, incorporea, extracosmica” (p. 172) bensì a quanto “vi è di più profondo in noi stessi, quello che ci fa essere ciò che siamo, quello che ci rende umani, la stessa specificità umana” (p. 173). Chiaramente si tratta di “una spiritualità non religiosa, semplicemente umana, propria dell’essere umano in quanto tale, prima di qualunque adesione religiosa confessionale” (p. 188) se è vero – come è vero – che non si può essere religiosi se non si è spirituali, ma si può essere spirituali anche senza essere religiosi.
L’ultimo saggio, del medesimo J. M. Vigil, in qualche modo esplicita il presupposto scientifico di tutti i discorsi precedenti. Esso infatti informa sul “nuovo paradigma archeologico-biblico” (p. 201) ossia sulla vera e propria rivoluzione interdisciplinare che ha ormai indotto la stragrande maggioranza degli studiosi di storia a negare che la Bibbia racconti avvenimenti e personaggi realmente esistiti: “il nuovo paradigma archeologico c’invita a decostruire tanta sicurezza e dogmatismo edificati su basi d’argilla, mitiche, oggi messe a nudo, per rivalutare la validità del nostro patrimonio simbolico e procedere con molta più umiltà, chiedendo inoltre perdono a tutti coloro che lungo il cammino abbiamo umiliato perché la pensavano in maniera diversa” (p. 233).
Già: atei e agnostici, seguaci di religioni pagane o panteistiche, persino monoteisti di confessione diversa dalla propria sono stati – e in talune frange fondamentaliste continuano a essere – oggetto di vere e proprie persecuzioni morali (e, là dove possibile, materiali). Sorte non migliore è riservata a quanti, pur dichiarandosi della nostra stessa confessione monoteistica, osano contestare questa o quella interpretazione autoproclamatasi l’unica ortodossa. Per questo tutti gli autori di questi saggi, e non pochi tra i lettori che hanno vissuto e vivono fasi di transizione intellettuale e spirituale analoghe, non avranno difficoltà a condividere quanto scrive – non senza allusione agli attacchi teorici e agli attentati fisici effettivamente subiti – il vescovo Spong: “Viviamo in un momento critico della storia cristiana. Il nostro tempo esige guide eroiche che probabilmente andranno incontro al rifiuto di coloro che si considerano ‘i fedeli’. La salvezza del cristianesimo merita lo sforzo e il costo? Credo di sì. L’appello a una riforma radicale è la sfida cui la nuova generazione deve rispondere” (p. 92).
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