L’ARTE DI ESSERE MASCHI E
LA LIBERAZIONE DELL’UMANITA’
DA OGNI VIOLENZA E OPPRESSIONE
Augusto Cavadi in collaborazione con il gruppo “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne” ha pubblicato nell’anno appena trascorso un libro molto interessante e pensiamo molto utile per chi voglia rendersi conto dell’urgenza di cambiare il modello maschile in voga nelle nostre società occidentali, molto più diffusamente e capillarmente di quanto si sia orientati a credere. Si tratta di “L’arte di essere machi libera/mente. La gabbia del patriarcato” (Di Girolamo ed. 2020, pp 155). Il libro premette che la violenza maschile contro le donne non è una emergenza ma “appartiene alla ‘normalità’ degli usi e dei costumi dominanti”. La violenza da sommersa emerge quando “i maschi avvertono traballare la loro posizione di secolare predominio e reagiscono a quegli atteggiamenti femminili che, finalmente, si oppongono allo status quo secolare”. Con un parallelo con la violenza mafiosa, che l’autore ed il gruppo conoscono da vicino, “del sistema mafioso, come del sistema patriarcale, si può dunque asserire che ogni soggetto ne è partecipe, ma al tempo stesso vittima”. Gli uomini maltrattanti non sono un corpo estraneo, vivono in mezzo a noi, “sono il bubbone che rivela il malessere dell’intero organismo”, bollarli come “squilibrati” e “malati” è “un modo inconscio di auto-difesa psicologica e culturale; di segnare un fossato inesistente tra ‘loro’ e ‘noi’; di negare che essi sono il sintomo visibile di un sistema strutturale, persistente, invisibile di cui tutti noi maschi (e moltissime donne) siamo parte e di cui siamo corresponsabili”. E’ necessario mettere in atto non misure “eccezionali” ma “è l’intera popolazione, o per lo meno la maggioranza della popolazione, che deve assumersi le sue responsabilità ed iniziare ad agire con l’intento di coinvolgere gli indifferenti e i refrattari”
Il libro si compone di IX capitoli e di 5 allegati. Il primo, che abbiamo visto, chiarisce come la violenza sulle donne non sia una emergenza ma qualcosa di strutturale alla società. Il secondo espone alcune novità presenti nella società (Uno sguardo nuovo): i meriti del movimento femminista e i Gruppi di Uomini in Cammino e di Maschile Plurale, esperienze di auto-educazione “e solo in seconda battuta etero-educativa”. A Palermo un tamponamento può tramutarsi in rissa con insulti del tipo “sbirro”, “pentito” e non “mafioso” ad indicare che “la costruzione dell’identità e dignità di maschio si basa sulla prevaricazione di un altro maschio, sulla sua espulsione dal campo della maschilità, sulla negazione della dignità dell’altro rigettato nel campo infamante del soggetto femminile e omosessuale”. Il III capitolo “Un vocabolario aggiornato” è una sorta di glossario su cosa significhi “uomo” o “donna” con l’esplicitazione di quattro angolazioni: la struttura fisica, anatomica, biologica; l’identità sessuale (o di genere) che non coincide talora con quella organica; l’orientamento sessuale che riguarda l’attrazione. Infine, una quarta angolazione è l’identità di genere che riguarda il modo di interpretare la propria maschilità o femminilità in rapporto alle attese della società. “Le radici biologiche” della sperequazione tra i sessi sono il contenuto del IV capitolo dove si affronta il mito del sesso debole e la sua inconsistenza, l’eguaglianza tra virilità e violenza, l’asimmetria nel processo riproduttivo non riconosciuta dal maschio o vissuta come frustrazione. Il capitolo V analizza “Le radici socio-economiche” della supremazia maschile sia attraverso un interessante excursus sulle norme che regolano il rapporto di lavoro delle donne, sempre considerato di minor valore, sia il significato più o meno implicito contenuto nell’industria del sesso, pornografia e prostituzione. “Le radici giuridico-culturali” sono affrontate nel VI capitolo che richiama le norme italiane, ma non solo, che discriminano la donna e la subordinano al marito. Tra queste quelle del “matrimonio forzato”. Interessante poi il paragrafo dedicato alla solitudine dei padri separati che vengono visti come “un autogol del modello patriarcale”. Il VII capitolo analizza “Le radici simbolico-religiose” della discriminazione delle donne. Chiaramente il primo simbolismo efficiente è “Dove Dio è maschio, il maschio si crede dio”. Si richiamano poi gli elementi di conoscenza storica circa la declinazione al femminile della divinità e il tentativo di Gesù, “incompreso” secondo l’autore, dove la linea egualitaria delle prime comunità fu poi sconfitta dalla successiva strutturazione ecclesiastica. “La tradizione culturale ‘laica’ non scherza neppure” né nell’antichità pagana ma neanche nel secolo dei lumi.
Dopo aver esplorato le radici socio-economiche, giuridiche e religiose della discriminazione femminile, l’autore cerca di delineare “Un possibile itinerario”. Un primo passo proposto è assumere la consapevolezza di quale identità di genere si intende adottare: “dobbiamo impegnarci a riflettere, a conoscere, a confrontarci con altri (uomini e donne) per poter scegliere quali sono i comportamenti che ci sembrano più convincenti e più corretti” rompendo il conformismo del “vero uomo” con i suoi molteplici significati tutti però tendenti a espungere ogni evocazione di “femminilità”. Un altro passo sarà quello dell’integrazione tra la dimensione antropologica della razionalità e quella della corporeità ed affettività, cessando di proiettare quest’ultima “all’esterno nelle figure di donne con cui intratterrà relazioni sociali, ne avvertirà più o meno consciamente timore, se ne difenderà aggredendola preventivamente”. L’accettazione dei “suoi lati femminili” darà un senso di “integrazione interiore e di libertà dal timore del diverso”. E’ necessario quindi “saper riconoscere, nominare ed esprimere senza falsi pudori i propri sentimenti e le proprie emozioni”, a gestire l’aggressività “quando assume i connotati della ‘rabbia’: “la rabbia che non sa trovare più le sue radici, cioè le cause profonde che l’hanno generata, è quella che avvelena le relazioni nell’età adulta e che troppo spesso si trasforma in violenza”. C’è quindi “una espressione sana e puntuale (non a scoppio ritardato) della rabbia che andrebbe insegnata ai ragazzi, invitandoli a farne un uso creativo” evitando che si giunga ad una escalation di violenza o ad un far finta di niente. Si deve anche riconoscere che è necessaria l’integrazione con altri maschi per rompere il “silenzio maschile” sui propri sentimenti. In questo soccorre l’esperienza pluridecennale dei gruppi-uomini con le loro “regole d’oro”: parlare partendo sa sé, in prima persona, dalla propria esperienza; ascoltare senza reagire, aspettando il proprio turno; prendere la parola senza timore di essere giudicato né per il contenuto né per la correttezza espressiva; la riservatezza su quanto detto nell’incontro. Uno scambio autobiografico in modo che “la storia dell’altro diventa qualcosa su cui riflettere ma anche qualcosa che agisce dentro di me come una possibilità che non mi appartiene ma che aiuta a ripensare il vivere da uomini in maniera più ampia”. Quando ci si sente “marginali” rispetto alle idee forti ed egemoni può soccorrere “una pratica riflessiva e problematizzante”. Queste pratiche dovranno riverberarsi sul “proprio modo di atteggiarsi” a cominciare dall’atteggiarsi fisico per giungere al registro verbale. Sarà necessario “ricalibrare la divisione della fatica domestica e dell’educazione della prole” superando il fatto “che mariti sindacalisti o psicoterapeuti, sociologi o pubblicisti, siano troppo impegnati nel teorizzare in pubblico la parità dei diritti fra i generi per trovare il tempo di dare una mano alle congiunte nelle faccende domestiche”. Infine “promuovere programmaticamente una visione diversa della maschilità” facendosi “promotori di un’azione pedagogica e politica a più ampio raggio possibile” in vista di due obiettivi: “riconoscimento e decostruzione degli stereotipi di genere, con lettura dell’immaginario circa le identità di genere e le relazioni tra i generi”; “indagine sui luoghi comuni e rappresentazioni circa la violenza di genere, riconoscimento delle dinamiche della violenza per poter mettere in atto strategie di coping (=risposta) più efficaci”. “Occorre offrire ai ragazzi strumenti per riconoscere la complessità, aiutarli a far luce sul fatto che ciò che è maschile e ciò che è femminile si rivela molto meno univoco di quanto i modelli dominanti vogliono far credere; soprattutto offrire uno spazio di libertà dove i ragazzi e le ragazze possano esprimere i loro dubbi, le paure e le contraddizioni, possano scoprire e valorizzare i molteplici desideri, le possibilità e le dimensioni che li contraddistinguono”, raccontando anche storie di maschi che hanno vissuto in modo alternativo rispetto al modello unico e dominante come Capitini, Desmond Tutu, Gandhi o Milk. Il IX capitolo è dedicato a tentare di rispondere ad alcune obiezioni. La violenza non ha sesso? Questa affermazione è vera ma dedicarsi alla violenza maschile sulle donne oltre a rispondere ad una esigenza di pragmatismo risponde ad una convinzione e che cioè “non è una opzione equivalente alle altre, ma una decisione strategica lungimirante” perché “il maschilismo – come dice Peppe Sini – è la prima radice e il primo paradigma di ogni violenza, di ogni oppressione”. “Il maschilismo patriarcale è ormai superato?”: sono molti i segnali anche nel mondo giovanile che dicono di no, la condizione della donna è “comunque sufficientemente migliorata rispetto al passato. L’esperienza diretta di molti e molte di noi attesta che, specialmente ma non esclusivamente nelle fasce sociali meno istruite, permane una visione delle cose assai meno progredite”. “Femminismo e nuovo pensiero maschile vogliono perpetuare la lotta fra i sessi?” La lotta tra i sessi è una constatazione e i movimenti femministi e degli uomini consapevoli vogliono superarla e quando lo sarà saranno pronti a scomparire. “La liberazione delle donne è un problema delle donne?” Indubbiamente per l’autore “la mentalità patriarcale è una grande gabbia da cui le donne devono liberarsi non meno deli uomini per poter a loro volta agire sulle nuove generazioni di uomini e donne”. SI deve mettere in agenda il dialogo e la cooperazione fra gruppi femministi e gruppi di maschilità alternativa. Il gruppo uomini non sarà un gruppo di maschi “allarmati”, “pentiti”, “ingenui”: “emerge al contrario la scelta di non subire una strada già tracciata, di ascoltare i nostri desideri e di riconoscere quanto il nostro stesso immaginario sia colonizzato da un sistema oppressivo”.
Chiudono il libro cinque allegati dove troviamo L’Appello di Maschile Plurale per il 25 novembre 2009 (aggiornato nel 2016), l’autopresentazione del Gruppo “Noi uomini a Palermo contro la violenza sulle donne”, Statuto della stesso gruppo; un articolo di Paola Di Nicola “I pregiudizi nelle frasi di noi giudici” e un opera poetica di Umberto Santino e Andrea Cozzo “Ricordati di ricordarle”.
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