Su gentile richiesta della direttrice, Elena Ciccarello, ho inviato al
bimestrale "La via libera" (Torino) questo editoriale che è stato pubblicato sul
numero 5 (settembre/ottobre 2020):
UOMINI, COLTIVIAMO IL FEMMINILE CHE E' IN NOI
A 25 anni dalla conferenza mondiale di Pechino sulla condizione
delle donne qualcosa in meglio è cambiato; ma troppo poco. Femminicidi e varie
modalità di violenza ai danni delle donne (fisica, psicologica, socio-economica,
verbale…) sono la punta dell’iceberg: il sintomo di un assetto culturale e
istituzionale che, da alcuni millenni, implica come ‘normale’ lo squilibrio di
opportunità, di fatiche, di rischi fra maschi e femmine. Questo sistema sbilenco
– virilista, maschilista, fallocentrico o come altrimenti si qualifichi – è
certamente svantaggioso per le donne: che infatti, grazie al movimento
femminista (il più esteso ed efficace movimento rivoluzionario del XX secolo),
si sono mobilitate – e continuano a mobilitarsi – per scardinarlo. Ma è, invece,
vantaggioso per gli uomini? Da una trentina d’anni, anche in Italia, alcuni
maschi si sono convinti che la gabbia del patriarcato imprigiona e mortifica gli
uomini almeno quanto le donne, proprio come i mafiosi sono condannati dal
sistema criminale all’infelicità non meno delle loro vittime. Solo maschi
incompleti, scarsi di risorse psicologiche, insicuri, sentimentalmente
analfabeti, emotivamente imbranati possono ricorrere al linguaggio (parole e
gesti) violento per esprimere ciò che provano: solo chi non ha accettato e
coltivato il femminile in sé può aver paura, e conseguentemente demonizzare, il
femminile che incontra fuori di sé. Alcuni uomini consapevoli che ogni forma di
sopraffazione ai danni delle donne è, prima di tutto e radicalmente, un problema
del ‘genere’ cui appartengono hanno dato dunque vita al movimento nazionale
“Maschile plurale”: per aiutarsi (con sessioni di autocoscienza e di
autoformazione) e aiutare altri maschi (con interventi e testimonianze nelle
scuole, nelle università, nell’associazionismo) a inventare e sperimentare modi
alternativi di essere uomini. Non più solo il mono-tipo dell’uomo determinato,
impositivo, efficiente, produttivo, immune da ogni commozione, alieno da ogni
tenerezza, “l’uomo che non deve chiedere mai”; ma anche altri tipi di uomo:
dialogici, autocritici, collaborativi, empatici, sensibili, inclini alla cura
dei malati o all’educazione dei bambini… Un percorso di conversione
antropologica in questa direzione consentirebbe lo sradicamento di un sistema,
come l’attuale, in cui la sottomissione (per fortuna sempre meno agevole) delle
donne costituisce una sorta di palestra per addestrarsi ad altre forme di
violenza (contro gli altri animali, l’ambiente, i ‘diversi’, gli stranieri, i
‘nemici’…) e impoverisce l’umanità intera, privandola delle ricchezze che - in
un regime di sinergia delle differenze – potrebbero equamente sperimentare
uomini e donne.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Grazie, Augusto. Sono riflessioni molto attuali.
A presto,
Serena
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