giovedì 19 novembre 2020

TRACCE PER UN'OMELIA (LAICA) NELLA DOMENICA DI "CRISTO RE" DELL'UNIVERSO (22 novembre 2020)

 

Come alcun* di voi sanno già, l'Agenzia di stampa "Adista" (Roma) pubblica, per ogni domenica dell'anno liturgico cattolico, una traccia di 'omelia' richiesta dalla redazione a qualche autore che sia "svestito: senza paramenti, dottrina e gerarchie". 

Alcuni di questi contributi (a firma, tra gli altri, di Leonardo Boff, Fausto Bertinotti, Gabriella Caramore, Anna Carfora, Giancarlo Caselli, Augusto Cavadi, Erri De Luca, Rita Giaretta, Raniero La Valle, Alberto Maggi, Lidia Maggi, Enzo Mazzi, Antonietta Potente, Sergio Tanzarella, Gianni Vattimo, Alex Zanotelli,  ...) sono stati già editi in tre volumi (relativi agli anni liturgici A, B, C), Fuoritempio. Omelie laiche, a cura di V. Gigante e L. Kocci, Di Girolamo, Trapani. 

Nel numero 37 di "Adista notizie" è stata ospitata una mia meditazione per la festa di Cristo Re (domenica 22 novembre 2020).

“Adista-notizie” 37

(14 ottobre 2020)

 

CRISTO, RE SULL’ASINELLO

 

La festività odierna può essere vissuta su due registri teologici, e direi emotivi, assai differenti. Schematizzando brutalmente, si potrebbe individuare una prima angolazione secondo il pensiero, e il sentire, di chi (papa Pio XI) l’ha istituita nel 1925 (con l’enciclica Quas primas): è la prospettiva di un papa, allarmato dal diffondersi dello spirito ‘laico’ (sia nell’accezione positiva, costruttiva, emancipatrice del Modernismo interno alla Chiesa cattolica, sia nell’accezione negativa, nostalgica, imperialistica del Fascismo da poco al potere in Italia e presto in mezza Europa), che decide di rilanciare l’immagine medievale di Gesù Cristo come  detentore del  “potere su tutte le cose temporali, dato che Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio”. Al di là dei propositi soggettivi del papa, è evidente che questa concezione comporta oggettivamente dei rischi notevoli: poiché Cristo non percorre più le strade della terra, è la Chiesa – soprattutto il suo Pontefice massimo – a poter, anzi a dover, esercitare una sorta di supervisione sulle autorità anche civili. L’ombra dell’integralismo clericale si proietta dunque, per la gioia di tutti i settori conservatori e reazionari del cattolicesimo, da questo modo di intendere la festa di Cristo Re. 

Ma, vangelo alla mano, è possibile un registro di lettura molto diverso. In Giovanni XVIII,36 l’agiografo mette sulle labbra di Gesù: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei; ma ora il mio regno non è di qui”. L’immagine del Messia che cavalca un asinello è la rappresentazione plastica della sua autentica regalità che non ha bisogno di soldati né di politici, anzi neppure di radiomarie né di banchieri, per l’instaurazione del suo “regno”. Ciò per una ragione radicale: il “regno” annunziato da Cristo, e per il quale egli è vissuto e morto, non è propriamente “suo”, ma di Dio, del Padre celeste. Come è stato notato da alcuni teologi, non è Gesù che porta il regno di Dio ma, in un certo senso, è il regno di Dio che afferra, conquista, conduce, trasporta Gesù. In questa seconda ottica si diradano molte tentazioni ecclesiastiche: i discepoli di Gesù non hanno nessuna abilitazione a sovrintendere sulle autorità umane, a legittimarle nel loro esercizio e a stabilirne i confini di competenza. Credenti, non-credenti e diverso-credenti siamo tutti invitati a lavorare per un “regno” di cui nessuna figura umana, neppure Gesù, è titolare esclusivo e interprete infallibile. 

Possiamo affermare che, da questa angolazione, non si rischiano equivoci e fraintendimenti? Purtroppo, no. Per evitare lo scoglio dell’integralismo si è sbattuto tante volte contro la rupe del soprannaturalismo. “Il mio regno non è di questo mondo” è stato inteso come invito a non occuparsi della storia, della politica, dell’economia, della scienza, dell’arte, dell’ecologia; a concentrarsi esclusivamente sull’altro mondo, sull’altra vita. Ma anche questo è un tradimento del “regno di Dio” che, stando al complesso del Secondo Testamento, si instaura o qui o in nessun luogo; o adesso o mai.  Che cresce come un piccolo seme man mano che gli affamati vengono saziati, gli assetati vengono abbeverati, ai disoccupati si propone un lavoro dignitoso, ai profughi un’accoglienza fraterna, ai disperati una prospettiva di senso: Dio regna quando gli si dà gloria ma, già nel II secolo, sant’Ireneo spiegava che “la gloria di Dio è l’uomo vivente”. Le Destre religiose e politiche (quasi sempre sovrapponibili) possono inveire quanto vogliono contro un papa che sta facendo il minimo, e il massimo, che può fare un pastore: ricordare che è troppo facile elevare proclami di devozione verso un Dio che non si vede mentre si ignorano, o si strumentalizzano, i fratelli che si vedono. 

 

Augusto Cavadi

www.augustocavadi.com

 

1 commento:

germano federici ha detto...

sono molti i versetti in cui Gesù demitizza se stesso. Che ne sia l'autore diretto o interpretato, nulla conta.
"il Padre mio è più grande di me"
"farete cose più grandi di quelle che ho fatto io".
Una sfida per tutti: avete mai sentito un prete (figurarsi un vescovo o un papa...) commentare queste frasi?
Il potere ecclesiastico (ante e intorno a Francesco? io salvo solo Papa Giovanni XXIII) è la rimozione non solo di Gesù di Nazareth, ma anche e soprattutto del Padre (mi perdoneranno le teologhe?) più grande di tutti.