giovedì 12 novembre 2020

ANIMALI E DINTORNI: IN DIALOGO CON ALBERTO G. BIUSO

 

Sul numero del 1.11.2020 di "Dialoghi mediterranei" ho pubblicato un'ampia recensione del volume di Alberto G. Biuso, Animalia, Villaggio Maori Edizioni, Valverde 2020, pp. 184, euro 16,00. 
Subito dopo il link che consente la lettura integrale della mia recensione (http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/la-questione-animale-e-la-critica-allantropocentrismo/) trovate il testo di una e-mail che mi ha spedito Alberto come commento al mio...commento. Non tutto ciò che egli mi obietta  mi convince, ma desidero informarvi del suo punto di vista per ricordarci - tutti quanti - della complessità di certe questioni su cui non si finisce mai di indagare.
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Caro Augusto, 
ho letto la recensione ad Animalia e ti ringrazio molto per essere tornato sul libro con un approfondimento teoretico e critico. Ho molto apprezzato il riferimento all’ontologia medioevale e a Spinoza, la spiegazione del principio biocentrico, gli accenni alla sperimentazione/tortura degli animali nei laboratori.

Temo invece di non essere stato abbastanza chiaro su alcuni aspetti epistemologici. Il brano di Wilson che citi è uno dei tanti nei quali questo biologo espone la sua tesi NON riduzionistica. Infatti il brano continua in questo modo: «I geni e la cultura sono dunque collegati in modo inscindibile. Ma il collegamento è flessibile, in termini finora quasi del tutto incommensurabili. Ed è nel contempo tortuoso». 
Quando Wilson parla di riconduzione di ogni accadere alle «leggi della fisica» enuncia il banale asserto secondo cui ogni fenomeno materiale è sottoposto alle leggi di gravitazione, inerzia, impenetrabilità dei corpi e così via. E altro non potrebbe pensare, anche per il fatto che non è un fisico ma uno dei maggiori sociobiologi contemporanei. 
In ogni caso, e al di là di Wilson o di chiunque altro, tu stesso osservi giustamente che nel libro «si afferma con forza l’inscindibilità del corporeo e del mentale, del fisico e dello psichico». Ed è questa, per l’appunto, la mia posizione: un materialismo non riduzionistico che ritiene la materia una e insieme molteplice. E che è molto attento a salvaguardare sia ontologicamente sia epistemologicamente le differenze.  Non citerei mai, condividendolo, uno scienziato o un filosofo che riduca la psicologia alla biologia, la biologia alla chimica, la chimica alla fisica. Proprio perché il riduzionismo è l’opposto concorde del dualismo. Il primo elimina la differenza, il secondo cancella l’identità.

Devo invece respingere con forza l’accostamento a Sartre e, peggio, al cosiddetto ‘assurdismo’. 

Non ho stima di Sartre e in generale dell’esistenzialismo. Nello specifico, Sartre mi sembra più un letterato (con tutto il rispetto, naturalmente) e un militante politico che un filosofo. Io credo che l’essere sia colmo di un senso intrinseco che è la potenza della materia/luce/energia. Lascio l’assurdo agli psicologi e ai nichilisti. L’osservazione, che citi in parte, secondo la quale «la pretesa umana di considerarsi lo scopo dell’esistenza appare del tutto antiscientifica. La dismisura delle nostre ambizioni si manifesta in tutta la sua portata se appena solleviamo lo sguardo al di sopra dell’orizzonte angusto del nostro pianeta. La nostra unicità e dignità nell’universo si rivela, allora, per quello che è: una insignificante goccia di vita nel volgersi eterno e senza scopo delle galassie. Allo stesso modo dell’uomo, vale a dire con la più totale mancanza del senso della misura e del limite, la formica può immaginarsi come lo scopo della vita nel bosco o il corallo come la ragione del rigoglio delle acque. È ora di porre fine a questa dismisura antropocentrica, all’infantile pretesa che il mondo sia stato fatto per l’uso esclusivo di una specie, che il volgere delle galassie e della materia sia finalizzato al progresso della vicenda umana. La nostra specie non è l’apice, il fine e il senso di tutto ciò che è, non costituisce l’intenzione segreta verso cui la materia tende e non rappresenta certo il culmine della vicenda biologica sul pianeta Terra» (pp. 148-149 del libro) a me sembra una semplice e persino banale evidenza, già sostenuta da Senofane, che certo non è sospettabile di assurdismi o nichilismi contemporanei. È una semplice evidenza, naturalmente, per chi non ritenga l’essere umano ‘sacro’ se non all’interno della sacralità dell’intero.

La questione del mettere al mondo altri mortali è più delicata. Rinvio a quanto ne ho scritto qui: Nascere? e a un mio testo in uscita sullo stesso tema :-)
Infine, ti ringrazio per l’accenno alla cura e all’eleganza del volumetto -merito dell’editore- e, per quanto riguarda la chiusa della recensione, devo dirti che io ‘prediligo’ qualunque lettore aperto a prospettive non ovvie e soprattutto non confortevoli ma critiche e coraggiose. Perché credo che la filosofia possa costituire anche una ‘consolazione’ del dolore d’esserci soltanto se riconosce in piano la potenza del limite. 
Ti ringrazio per avermi letto perché so che sei uno di questi lettori.
Alberto

Catania, 2.11.2020
 


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