Alcune amiche e alcuni amici, che non hanno potuto partecipare a “Una montagna di filosofia / Festival delle pratiche filosofiche”, tenutosi a Polizzi Generosa (dal 10 al 12 luglio 2020), mi chiedono un resoconto e una qualche forma di bilancio.
Personalmente ho trovato questi tre giorni magici: non saprei come altrimenti qualificare un evento – un insieme di eventi – dove, per l’abilità e la generosità dei ‘facilitatori’ cui spettava il compito di avviare riflessioni e confronti, i “non-filosofi (di professione)” presenti hanno partecipato attivamente e costantemente.
Poiché come organizzatore del Festival non posso essere una voce obiettiva, preferisco dare la parola a un messaggio di commento tra i molti che mi sono pervenuti a voce, per email, per w’app e per messaggi su FB.
“E’ stata un’esperienza davvero gradevole ed intensa” mi ha scritto, ad esempio, Giancarlo Lo Curzio, architetto e instancabile operatore nel mondo del sociale e del lavoro. “In particolare” - ha proseguito nel suo messaggio – “hanno destato in chi scrive molta ammirazione gli interventi di Orlando Franceschelli (in super-forma, asciutto e ricco di ragionamenti) su come rileggere il naturalismo darwiniano alla luce dei disastri ambientali contemporanei, e di Alberto Biuso che (in ottima forma e brillante come sempre) ha illuminato con vigorosi ed efficaci stimoli il rapporto fra il mondo vissuto e la dimensione temporale. A lui si deve la piacevole partecipazione di un nutrito gruppo di studentesse e di studenti dell’Università di Catania. Bella sorpresa la grande limpidezza di Claudia Fanti, di cui sono ammirevoli la scrupolosità e la capacità di entrare nel dettaglio, obiettivamente piuttosto rare in chi oggi si occupa d'informazione. Insomma, alla domanda «Ne valeva la pena ?» non posso che rispondere che con un sì convinto”. Giancarlo non passa sotto silenzio, con tono simpaticamente ironico, un’osservazione (per altro da lui già comunicata in sede di assemblea plenaria conclusiva): “Lo spirito laico dell’iniziativa - organizzata dalla locale «Fondazione G.A. Borghese» (diretta da Gandolfo Librizzi) insieme alla «Casa dell’equità e della bellezza» di Palermo (diretta da Augusto Cavadi e Adriana Saieva) - ha sostanzialmente prevalso, anche se alcuni pensatori polizzani, fautori di una visione del mondo filtrata dalla teologia, hanno talmente insistito nella propria passione da far venire a qualcuno il dubbio che in certi momenti sembrasse più appropriato definire qualche sessione «Una montagna di teologia»…Ti passo una fotografia emblematica in cui l'espressione poco entusiasta del naturalista Orlando Franceschelli, tra due teologi, sembra confermare tale dubbio (vedi foto sopra). Eccellente il contesto locale, con la popolazione poliziana palesemente meritevole del titolo di ‘generosa’, stupendi i tanti beni culturali del luogo, e felice sede delle conclusioni la «Fondazione Borghese» che da 20 anni sviluppa una disseminazione culturale di alto livello”.
· BREVE NOTA A MARGINE: Giancarlo, opportunamente, sottolinea “lo spirito laico dell’iniziativa”. Vorrei precisare che ci sono almeno due modi di intendere la laicità. Il primo, e più diffuso, misura le parole, i concetti, i contenuti di un discorso: dunque se parlo di Platone o di Marx sono laico, se parlo di Gesù o di Maometto non lo sono, se parlo di Buddha o di Lao Tse sono nel mezzo fra laicità e non-laicità. Poiché trovo riduttivo e fuorviante questa concezione della laicità, cerco di praticarne e diffonderne un’altra che si basa sul punto di vista, sulla prospettiva critica, sul metodo con cui vengono trattati i vari contenuti. Secondo questa accezione di laicità può capitare benissimo (a me è capitato tante volte nella vita) che persone parlino di Platone o di Marx in maniera dogmatica, presupponendo che Platone e Marx abbiano detto solo cose vere e dunque indiscutibili; e che altre persone parlino di Gesù o di Maometto come di personaggi storici (conoscibili attraverso racconti più o meno leggendari, mitizzati) che hanno detto cose vere e cose false, cose condivisibili e cose contestabili. E’ chiaro che i primi, nonostante sembrino laici, in realtà non lo sono e che i secondi, nonostante sembrino non essere laici, in realtà lo sono. Chi presuppone a priori che la verità sia già contenuta negli scritti che trasmettono le idee di Platone, di Marx, di Gesù, di Maometto fa teologia (più o meno buona, più o meno interessante per un filosofo, ma fa teologia); chi non dà nulla per scontato e chiede ragione delle idee di chiunque (sia pure Platone, Marx, Gesù o Maometto) fa filosofia (più o meno buona, più o meno interessante per un teologo, ma fa filosofia). Purtroppo in Italia è difficile distinguere la laicità come a-religiosità, come diffidenza anti-teologica, come silenzio sul divino dalla laicità come apertura mentale a 360 gradi, spregiudicatezza intellettuale che non si ferma davanti a nessun totem e a nessun tabù, ma esamina al vaglio della critica razionale ogni testo, ogni evento, ogni messaggio. Eppure, quando mettiamo il naso fuori dagli ambienti provinciali della cattolicissima Italia (dove basta che un politico parli della Madonna e sventoli un rosario in piazza per identificarlo con un credente, senza interrogarci sulle cause e sugli scopi del suo discorso contenutisticamente teologico-religioso), scopriamo tutto un altro mondo: per esempio, come ha mostrato in un suo saggio il compianto Filippo Costa, che nelle opere di Kafka non si cita mai la parola Dio e c’è tanta teologia (come in un negativo fotografico) e, al contrario, Il vangelo secondo Gesù Cristo di Saramago non è certo un libro teologico, ma un capolavoro di pensiero laico e di poesia commovente. Non lasciamoci dunque ingannare dalle apparenze: la laicità non è un discorso ‘senza’ questo o quel riferimento alle Upanishad induiste o alla Bibbia ebraico-cristiana o al Corano, bensì un discorso curioso e indagatore ‘in più’ rispetto a eventuali devozioni acritiche a numi celesti o terreni.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com