Sono molto felice quando qualcuno degli amici commenta sul mio blog un articolo perché così mi rassicura di aver raggiunto lo scopo: suscitare riflessione critica, "mettere in movimento" il pensiero altrui e, grazie ad esso, mantenere attivo anche il mio.
Di solito i commenti appaiono calce all'articolo cui si riferiscono (chi trovasse difficoltà tecniche nel pubblicare direttamente il suo commento può sempre inviarmelo attraverso il 'vecchio' sistema della posta elettronica: a.cavadi@libero.it), ma qualche volta sono troppo estesi rispetto allo spazio che il sistema ha previsto automaticamente (dunque, indipendentemente dalla mia volontà).
Per questa ragione, tutte le volte che un commento 'lungo' risulta anche d' interesse generale mi preoccupo di rilanciarlo come nuovo 'post' a parte.
E' il caso, ad esempio, del contributo del mio caro amico Mario Mulé, psichiatra e psicoterapeuta, che con la moglie Giovanna Bongiorno gestisce, con delicata generosità, la "Fattoria sociale" a Bruca, nei pressi del Tempio di Segesta (Trapani):
Caro Augusto,
ho letto ciò che hai scritto in merito a quanto stiamo vivendo in questi giorni. Mi riferisco al tuo articolo “ Pandemia e altre calamità: un ‘peccato’ tutto moderno”.
Mi piace aggiungere qualche mia riflessione alle tue.
Mi considero autorizzato ad intervenire perché conosco la tua disponibilità all’ascolto di “ non filosofi”, quale io sono; tante volte l’ho sperimentato negli incontri avuti in questi anni con te, con Orlando Franceschelli, Alberto Biuso e tanti altri eminenti “ filosofi di strada”.
D’accordo con te sulla improponibilità del peccato originale come giustificazione e spiegazione di questo e di altri eventi catastrofici che hanno colpito l’umanità nel corso dei secoli.
D’accordo anche con l’opportunità di non liquidare superficialmente e sbrigativamente il mito del peccato originale, cercando invece di cogliere il senso cui la metafora allude.
La lettura che io preferisco è quella che ci ha fornito E. Fromm, che ha scritto: “Se una volta l’uomo nel Paradiso ha mangiato dall’albero della conoscenza, non può più fare ritorno all’unità primigenia…essere nel mondo senza fratture, senza il sentimento di estraneità: questa unità non può essere ristabilita…Eppure esiste la possibilità che l’uomo, sviluppando la propria ragione e la propria capacità di amare, riesca a ricostruire una nuova unità con il mondo, seppure diversa.”
Il mito, a parere di Fromm, ci parla dell’emergere della coscienza. Un dono immenso, ma non privo di “effetti collaterali”, dal momento che ci rende consapevoli di essere mortali, soggetti a malattie e altre sofferenze, a volte impotenti nei confronti del nostro destino.
Ma perché poi la disubbidienza è un peccato così grave e imperdonabile, da scontare “ nei secoli dei secoli?”
Forse ci parla di un mondo patriarcale, dove l’ubbidienza era uno dei primi comandamenti: non solo veniva comandato “Onora il padre e la madre”, De Andrè aggiunge “anche il loro bastone”. C’era anche l’imperativo di una ubbidienza assoluta, senza eccezioni: Abramo doveva ubbidire anche quando gli veniva chiesto da Dio di commettere il crimine più orrendo, di sacrificare il proprio figlio Isacco.
Ma disubbidire, ovvero trasgredire, può assumere oggi tutt’altro significato. Basta inserire un trattino tra trans e gredire; avremo allora l’invito a trans-gredire, ad andare oltre, a cercare , a conoscere.
Ma mettiamo da parte la metafora che, in quanto tale, si presta a molte altre interpretazioni e torniamo a questi nostri giorni.
Sto seduto nella verandina di casa mia, con vista sul giardinetto e guardo le piante di gerani: quanti colori, quante sfumature e combinazioni, un vero piacere per gli occhi. E poi garofani fuxia, gialli, porpora e più in là nel giardino condominiale, grandi alberi che si muovono al vento. Ma anche tanti animali, lucertole, uccelli, insetti…In questo piccolo lembo di città quante forme di vita!
Frutto dell’evoluzione, delle tante mutazioni che hanno inventato innumerevoli forme di vita, alcune delle quali hanno avuto la sorte di incontrare l’ambiente favorevole per espandersi e riprodursi.
Ed io che sto guardando e sto pensando? Sono anch’io il frutto di una evoluzione?
Sembra proprio che sia così. Un autorevole studioso ( Michael Tomasello ) “ha argomentato in maniera assai convincente che un singolo adattamento darwiniano…deve avere aperto la strada che conduce dalla evoluzione biologica alla evoluzione culturale tipica della specie umana, connessa alla capacità ( esclusivamente umana ) di percepire l’altro come simile a sé nell’intenzionalità” (G.Liotti ).
Da questo adattamento darwiniano si è poi sviluppata la coscienza che consente di definire la nostra specie come Homo sapiens sapiens.
Quindi che sa di sapere, ma che ancora non sa quali siano i correlati biologici della coscienza!
Dunque le mutazioni sono continue, numerose, sotto gli occhi di tutti. A volte ci gratificano, come hanno fatto i fiori per me, ma ricordiamoci anche che la natura è “dell’uomo ignara e delle etadi” (Leopardi), che opera al di fuori della moralità e quindi non ha senso attribuirle finalità.
Perché mutano anche i batteri, diventando resistenti agli antibiotici, mutano anche i virus; e qualcuno di essi trova come habitat ideale il corpo umano per riprodursi e moltiplicarsi.
Niente di strano, niente di eccezionale: è la natura, è la vita.
Hanno detto che il virus è “ scappato” da un laboratorio cinese. Può essere solo una manovra propagandistica, visto il personaggio che l’ha diffusa, non potremo certo verificarlo. Possiamo però utilizzarla come una metafora, perfetta nel descrivere l’uomo “apprendista stregone”, adoratore della tecnica che può rivoltarsi contro di lui.
Comunque ormai il virus è tra di noi. E’ il nostro “nemico”, cui dobbiamo fare "guerra”.
L’uso di questi termini mi preoccupa. Temo che possa essere un linguaggio che esprime un modo di essere e di pensare in cui ci sono “ nemici”, “noi” contro di “loro”. Spero di sbagliarmi ma mi lascia inquieto.
Sento spesso fare la domanda “agli esperti” su cosa ci lascerà questa esperienza: nell’economia, nella vita sociale, nel nostro futuro. Molti pensano che non sarà più come prima.
Ma abbiamo mai avuto la capacità di leggere il futuro? Forse è più saggio cercare di capire cosa ci sta succedendo oggi, di porci qualche domanda, di guardare dentro ed attorno a noi.
Una prima domanda ( di ispirazione evoluzionista) potrebbe essere la seguente:
Se il covid 19 viene percepito come pericolo per la nostra stessa vita, come minaccia di morte, è inevitabile che attivi il nostro sistema di allarme, molto attento e potente ( ha circa 500 milioni di anni, è nato con i rettili ed è presente nel nostro cervello rettiliano). Con quali conseguenze?
Che emozioni, che pensieri, che comportamenti mette in azione dentro di noi?
Un’altra domanda possibile: le forti limitazioni della vita sociale, così fondamentale nell’esistenza umana dove l’intersoggettività è costitutiva e sta alla base della nostra stessa fondazione umana, che effetto stanno avendo sulla qualità della nostra vita? I rapporti per via telematica possono essere sostitutivi di incontri in carne ed ossa ?
Ed ancora: le restrizioni imposte dal virus hanno interrotto bruscamente modalità di funzionamento automatizzate, hanno messo in crisi ruoli predefiniti, ci hanno costretto ad interrompere una vita imperniata sul “ fare” più che sull’ “ essere”.
Come stiamo reagendo a tutto questo?
Porci qualche domanda, cercando di essere curiosi e consapevoli, guardando a noi stessi ed agli altri forse potrebbe farci bene.
Vorrei fare ancora qualche riflessione.
Anche in questo evento, come è già successo dopo altri grandi disastri, vediamo fiorire iniziative ispirate ad empatia, altruismo, solidarietà. Molti studiosi stanno lavorando alacremente ed in modo cooperativo per offrire cure efficaci a questa umanità spaventata e smarrita; senza barriere nazionali, senza obiettivi di lucro, quasi a testimoniare che l’affermazione della antropologia evoluzionista che ha definito la specie umana “ipersociale” abbia colto nel segno.
Sono sentimenti e comportamenti che testimoniano di capacità umane fondamentali, forse quelle su cui puntare per scongiurare altre catastrofi, certo più gravi, che possono realizzarsi con la complicità dell’uomo.
Le neuroscienze ci confermano quello che antiche sapienze avevano già capito e cioè che queste qualità possono essere coltivate e sviluppate, che la mente può guidare il cervello, che certi stati ( per es. la compassione ) se coltivati possono diventare tratti durevoli, aspetti stabili della nostra personalità.
Tutto questo rimanda alla necessità di una profonda riforma dell’educazione, che equilibri le conoscenze tecniche con quelle emotive (provenienti dal “cuore”) attraverso programmi ormai disponibili e sperimentati e che hanno confermato di essere efficaci nel favorire la crescita umana.
Capacità e qualità che possono svilupparsi se, ma soltanto se, vengono riconosciute come indispensabili e coltivate con grande impegno e convinzione.
Un abbraccio, Mario
6 commenti:
Grazie a Mario per le sue feconde e intriganti riflessioni. E grazie -ovviamente! - ad Augusto per averle condivise.
Grazie
Grazie
Condivido appieno le riflessioni del collega. Grazie. In tanti ci poniamo domande sul significato che l'avversità del momento, oppure la rinnovata possibilità di cambiamento ci chiede. Si perchè penso che la Vita stia chiedendo un reale cambiamento. Ognuno come meglio crede può fare la propria parte perchè ciò avvenga. Abbiamo pubblicato su Zero Zero news "Cinque passi per prendersi cura dell'umanità", unico giornale web che l'ha accolto, un documento da loro definito appello e magari lo è, al fine di confrontarci
con la gente attraverso riflessioni, domande , proposte sulla realtà attuale.
Penso quindi che sia arrivato il momento di invertire la rotta e puntare la prua della nostra barca comune verso mete che ci rinnovino in toto ed in meglio, ricordando che siamo parte integrante della Natura e non i padroni di essa.
Grazie Mario per queste tue riflessioni questo evento ha confermato in pieno quello che le filosofie orientali affermano da millenni e cioè la profonda interconnessione dei fenomeni e degli esseri viventi. Il gruppo di cui faccio parte insieme a voi e ad Augusto credo che abbia ormai sviluppato quella coscienza di stare nell'esistenza senza crearsi alibi di impotenza o di immobilismo perchè non si può cambiare niente. Al contrario il tuo invito come di altri a potenziare il meglio delle capacità umane attraverso il riconoscimento di chi siamo veramente, ad ascoltare il cuore che ci collega al nostro vero se,a sviluppare la compassione individua i passi verso il cambiamento di questa società. Ritengo che questa consapevolezza impedisca ad associazioni,gruppi, individui che tendono all'evoluzione dell'essere umano e della sua coscienza il ritorno alla c.d. NORMALITA' che ha condotto a questa catastrofe
Grazie Mario. Mi mancano molto gli incontri alla fattoria.
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