Filoso/fare in tempo di pandemia
Da qualche giorno Orlando Franceschelli ha lanciato un appello ‘filosofico’ suggeritogli dalla pandemia in corso (http://franceschelli.altervista.org/foto/Pandemia_Franceschelli[6236].pdf ). Dopo aver stigmatizzato i vari “parassiti della sofferenza” che, anche in questa contingenza, non mancano di affacciarsi sulla scena pubblica per guadagnare notorietà o consensi elettorali, il noto filosofo si chiede e ci chiede: “Se proprio siamo in guerra, contro cosa dobbiamo lottare per vincerla effettivamente? Soltanto contro i virus che sulla faccia della terra ci sono da prima di noi esseri umani? O anche contro le concezioni e i comportamenti di noi ‘sapientes’ che la terra la stiamo trasformando da ambiente-dimora in ambiente-incubo per un numero sempre crescente di esseri viventi? A cominciare ovviamente dagli esseri umani e dagli animali-non-umani più deboli e più poveri”.
Affinché ciò avvenga, la tradizione filosofica occidentale può offrire preziose indicazioni operative. “Da questa pandemia usciremo migliorati se –e solo se- sapremo confrontarci criticamente con la scoperta o ri-scoperta” del “dato di fatto che «possiamo scacciare la natura col forcone, essa tuttavia ritornerà sempre/ e furtivamente si insinuerà tra gli ostacoli che le si frappongono» (Orazio, Epistole, I, 10, 24-25)”. Infatti, ammoniva all’alba della Modernità europea Baruch Spinoza, della natura noi esseri umani siamo «piccola parte», non “proprietari, dominatori, predatori”. Ma – continua Franceschelli – appartiene alla nostra specie anche la possibilità di
“migliorare concezioni, comportamenti, tentativi di essere felici, per quanto è possibile, e solidali verso ogni forma di sofferenza”.
“migliorare concezioni, comportamenti, tentativi di essere felici, per quanto è possibile, e solidali verso ogni forma di sofferenza”.
Questo appello, in quanto ‘filosofico’, può risuonare strano.
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