“Poliedro”
Novembre 2019
QUALE SAREBBE LA VERA FEDE DA CUSTODIRE E PROMUOVERE?
Ho trovato molto interessante, nel numero di ottobre del Poliedro, la replica di Salvatore Muscolino all’intervento precedente di don Francesco Conigliaro sui giudizi, contrastanti, che vengono espressi, già all’interno della stessa Chiesa cattolica, su papa Francesco. Il professore dell’Università di Palermo, evitando le secche della contrapposizione un po’ da stadio tra fan e avversari di Bergoglio, formula con lucidità il cuore della preoccupazione dei più onesti fra i molti critici dell’attuale papa: “Se la collegialità è senza dubbio un valore da coltivare altrettanto lo dovrebbero essere la chiarezza e l’assunzione di responsabilità da parte di chi è il custode del Depositum fidei. Penso che oggi ancor più di ieri, la chiarezza sia importante considerato il compito principale del successore di Pietro sia <<confermare nella fede>> il popolo cristiano” (p. 58).
Personalmente trovo ineccepibile questo principio: un papa è papa, prima di tutto ed essenzialmente, perché guida e incoraggia i fedeli a seguire la fede – la retta fede: ‘ortodossia’ – e non perché è un abile politico capace di far crollare imperi o un dotto teologo in grado di scrivere volumi ponderosi. La questione cruciale è questa: cosa intendere per fede, per retta fede (‘ortodossia’)?
Qui inizia una biforcazione che segna, radicalmente, due diversi (e a mio avviso incompatibili) “paradigmi”.
Se la fede è accettazione di una dottrina che rivela il Mistero divino e prescrive dettagliatamente le norme morali che ogni fedele deve seguire per unirsi a tale Mistero, allora custodire il Depositum fidei significa individuare le eresie, avallare alcune interpretazioni bibliche e condannarne altre, prescrivere ciò che è giusto e ciò che non è giusto dalla culla alla tomba (passando soprattutto per il letto). Se l’ortodossia è questa, papa Bergoglio non è un buon papa; se non cattivo, è almeno “ambiguo”.
Ma questa concezione della fede non è l’unica possibile. Ci sono alcuni che la ritengono troppo moderna, troppo recente, poco tradizionale. Per costoro – sulla base della Scrittura, della storia dei primi Apologeti e dei Padri della Chiesa (dal I secolo sino al VI-VII) – la fede, secondo la mentalità ebraica ereditata e rilanciata da Gesù e dai suoi apostoli, non è accettazione di dottrine sovrannaturali ma accoglienza dell’Amore assoluto e traduzione in gesti, in opere, di tale Dono incondizionato. In questa ottica, l’ortodosso si riconosce non dalla correttezza formale delle sue tesi, ma dalla generosità oblativa delle sue azioni. Non si tratta di contrapporre all’ortodossia l’ortoprassi: si tratta di capire che, per il filone profetico ebraico-cristiano, di cui Gesù costituisce una tappa decisiva, non c’è altra ortodossia pensabile fuori dall’ortoprassi. “Non chi dice: Signore, Signore ! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7,21 in parallelo con Luca 6,46). E fare la volontà di Dio non significa “profetare” né “scacciare demoni” né “compiere molti prodigi”, (così Matteo nelle righe immediatamente successive), ma dare da mangiare agli affamati (di pane e di giustizia) e vestire gli ignudi (privi di abiti, di casa, di terra dove vivere in pace, di difese d’ogni genere).
Non sono così pavido da nascondere la mia profonda, sofferta, appassionata adesione alla seconda delle due concezioni della “fede”, ma neppure così stupido da presumere di poter argomentare in poche pagine la mia preferenza. Mi limito a una constatazione che mi sembra inoppugnabile: se per caso avessero ragione non gli innovatori dal XVI secolo in poi (dal Concilio di Trento in poi), ma – come propendo a ritenere - i tradizionalisti radicali (dal I al VII secolo), allora papa Bergoglio non sarebbe un papa incerto e criticabile, ma uno dei pochissimi che in questi due millenni ha capito la sua missione. Immerso nel pluralismo dialettico delle chiese dei primi secoli, ne respira a pieni polmoni la libertà interpretativa e creativa. Non una libertà libertina né liberista, ma la libertà dei figli di Dio che riconoscono nella gioia di dare ciò che ricevono dalla Vita l’unico comandamento davvero “non negoziabile”. Dunque una libertà che fa paura perché è molto più comodo avere una famiglia da cui allontanarsi (trasgredendone le norme) e a cui far ritorno nei momenti forti (battesimi, matrimoni e funerali) che doversi assumere, giorno dopo giorno, l’onere di capire cosa sia bene e di operarlo davvero. Forse ha ragione l’attuale vescovo di Palermo quando scrive nella sua seconda Lettera ai giovani: “Papa Francesco sta donandoci la chiave per leggere il Vangelo al di là di ogni pregiudizio, di ogni chiusura. E per questo il suo magistero incontra resistenze così forti, perché le strutture che abbiamo creato tolgono al Vangelo la sua forza rivoluzionaria”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
mi verrebbe da dire che mentre c'è sempre ortodossia dove c'è ortoprassi, non è assolutamente vero il contrario.
Quando l'ortoprassi cede all'emozione, all'irrazionale, perde lo spirito critico e diventa mero e fanatico aiuto ai più deboli, cibo per gli affamati, vestiti per gli ignudi, ecc ecc, il magro effetto che ne sortirà sarà di lasciare cotanti disperati deboli, affamati, assetati, ignudi e soprattutto perennemente dipendenti a carico dei loro presunti benefattori. E' l'abbaglio di confondere la tattica con la strategia. Ergo a posteriori (che è già adesso) emergerà il vero disastro, che l'essenza di ragione e metodo poteva e doveva già individuare a priori.
Guido Martinoli
non vedo come l'ortodossia possa rimediare ai presunti (???) difetti dell'ortoprassi, se ve ne sono, come tu indichi. Se è ortoprassi, non può che essere intelligente e ben sapere che insegnare a pescare (e a voler pescare e a dotarsi degli strumnenti necessari) è molto meglio che regalare pesce. Ma preferisco sbagliare con l'ortoprassi (facendo qualcosa) che aver ragione con l'ortodossia (non facendo nulla), a causa della quale in due millenni si sono affamati e annientati popoli come effetto collaterale delle proprie presunzioni di verità.... La confessione del dogma della Trinità non riempirà mai le pance dei fedeli e servirà sempre ad armare i potenziali assassini.
I missionari cattolici (ma non solo) l'hanno capito da circa un secolo. Ma noi?
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