“Repubblica – Palermo”
17.10.2019
PER COMBATTERE LA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE
OCCORRONO LEGALITA’ E TRASPARENZA
Sindaci, centri sociali, vescovi e parroci, genitori : tutti d’accordo nel denunziare il flusso migratorio crescente dalla Sicilia al resto del mondo. Oltre la denunzia, qualche proposta: creare “zone franche” e rafforzare altri incentivi per i giovani che vogliano aprire imprese al Sud. Tutto apprezzabile, tutto condivisibile: ma perché non partire dalle radici del dramma e non avere il coraggio di chiamare per nome i responsabili?
In questi ultimi mesi ho incrociato alcune storie di giovani che chiariscono molto più di tante statistiche.
La prima è di un ragazzo della provincia di Agrigento: tenta l’arruolamento nell’arma dei carabinieri. Supera tutte le prove ma, per due volte, viene bloccato al colloquio attitudinale (come noto, il passaggio più arbitrario e meno oggettivo). Allora si impiega in un supermercato della zona, ma il gestore, dopo pochi mesi, comincia a chiedergli straordinari gratis e per giunta a non consegnargli il salario mensile pattuito: “Che mi resta da fare, se non emigrare?”.
Un suo coetaneo, cameriere a Palermo, lo ha già fatto da un anno: ha vinto una causa in sede civile contro un ristoratore del centro storico che non gli ha pagato né le ultime mensilità né gli straordinari né la tredicesima né le ferie non godute, ma ancora non ha ottenuto un centesimo di risarcimento. Ora lavora in Val d’Aosta: “Non ci crederai, ma se hanno bisogno di un’ora in più la conteggiano in busta paga”.
A Milano ho incontrato un signore del mio quartiere a un incontro di formazione per quadri sindacali. Con le lacrime agli occhi mi ha spiegato di aver chiuso la saracinesca della ditta di famiglia perché – rifiutatosi di pagare il pizzo – era stato minacciato di morte: “Come operaio edile, anche per il freddo, fatico molto di più, ma almeno non devo temere per mia moglie e per i miei figli”.
A Berlino, poi, ho rivisto una ex-alunna di Capaci che fruiva di una borsa di studio dell’Università statale: “E’ bastato presentare un progetto di ricerca di storia della scienza medievale e mi hanno accettata. Nelle tre università siciliane non mi hanno mai degnato neppure di una risposta negativa perché non avevo nessun santo in paradiso”.
Sono storie come tante, ognuno di noi ne avrebbe altrettante da raccontare sulla base delle vicende proprie o di congiunti: costituiscono il risvolto esistenziale, biografico, esperienziale delle più astratte notizie di cronaca (dai provvedimenti giudiziari per i docenti universitari di Catania alle dichiarazioni di Cafiero de Raho sulla corruzione come metodo mafioso prevalente rispetto alla violenza armata). Se non individuiamo uno a uno i responsabili di questi sconci – e non ci decidiamo a eliminarli amministrativamente e giudiziariamente, ma direi prima ancora a ripudiarli eticamente – convegni e cortei di protesta contro la disoccupazione giovanile resteranno manifestazioni puramente simboliche. E’ comprensibile che la rabbia cerchi spazi di esplosione, ma tutti gli adulti che abbiamo un margine – anche piccolo – di azione dobbiamo aiutare questi giovani a trasformarla in progetto strategico. Una volta si chiamava politica.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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