“Repubblica – Palermo”
26.10.2019
DROGA E GIOVANI: PERCHE’ NON DOVREBBERO RICORRERVI ?
Quasi secondo una “armonia prestabilita”, nel Paese si alternano, di provincia in provincia, gli allarmi sullo smercio e il consumo di droghe varie. In questi giorni è stato il turno di Palermo. Come da rituale, convocazione in prefettura di esperti tossicologi, insegnanti e dirigenti scolastici e solito invito a intensificare i controlli polizieschi. Tutto giusto, tutto opportuno: anche sufficiente?
Evidentemente la partita si gioca sul piano della prevenzione. Ma è proprio qui che le tattiche mostrano la loro debolezza. Può servire qualche lezione di chimica sulla pericolosità delle droghe? Dipende. I dati scientifici sono indispensabili, ma altrettanto l’interpretazione. Spesso si enfatizzano certi pericoli (per esempio delle droghe leggere) con l’effetto di renderle ancora più attraenti e si trascurano altre forme di dipendenza non meno rischiose (dalle sigarette, dall’alcool, dalle scommesse clandestine, dalle lotterie o dal gioco d’azzardo), solo perché socialmente accettate (e vantaggiose per l’erario statale) , con l’effetto di perdere autorevolezza negli ammonimenti.
Ma, molto più radicalmente, ogni strategia preventiva dovrebbe avere la lucidità e il coraggio di risalire alle cause profonde di cui tutti siamo responsabili (i giovani meno degli adulti, essendo anzi più vittime che colpevoli). Il che equivale a porsi la domanda abitualmente censurata: perché un giovane oggi non dovrebbe ricorrere alle droghe? Che alternative più seducenti offriamo nel mondo dell’istruzione, del lavoro, della politica?
La scuola impegna troppe ore al giorno, spesso per giunta noiosamente, sino ad asfissiare ogni gusto per la ricerca. I lavori retribuiti decentemente, quasi tutti nel settore pubblico, sono accessibili ai “raccomandati”, mentre i lavori a cui può accedere chiunque, nel settore privato, sono sistematicamente sottoposti a regime di sfruttamento (paghe in nero, senza contributi previdenziali, senza straordinari, senza ferie, senza liquidazione di fine rapporto…). La politica seleziona i dirigenti o dall’alto (sulla base della fedeltà al leader di turno) o dal basso (sulla base della popolarità che si riesce a registrare fra i frequentatori del web): in entrambi i casi stenta ad appassionare se le alternative non sono la pace o la guerra, la salvezza del pianeta o la sua estinzione, la lotta alle criminalità organizzate o la difesa della legalità costituzionale, l’accoglienza razionale dei flussi migratori o lo scontro fra le civiltà, bensì la percentuale in centesimi dell’aumento del Pil o dell’indebitamento finanziario consentito all’Italia dall’Unione europea.
Nell’inadeguatezza complessiva di scuola, mondo del lavoro e organizzazioni politiche (dico complessiva, dunque senza escludere felici eccezioni che non possono da sole modificare lo scenario), le famiglie non sono certo una risorsa credibile: i genitori parlano poco a casa e non sempre, se parlano, è meglio del silenzio. O si discute di carriere (più sognate per i figli che realizzate dai padri e dalle madri) o di acquisti nei grandi magazzini: chi sarebbe oggi autorizzato eticamente, prima che professionalmente, a mettere in guardia i ragazzi dalla dipendenza dallo shopping secondo la dittatura delle mode?
L’alternativa allo ‘sballo’ che resiste al logoramento generale pare l’associazionismo. Ma anche qui non mancano i travagli. L’associazionismo religioso è in crisi perché l’interpretazione del vangelo che viene proposta abitualmente è ferma agli schemi culturali, alle categorie scientifiche e agli ordinamenti istituzionali di quattro o cinque secoli fa: i ragazzi più svegli e più dinamici latitano da luoghi in cui dovrebbero far finta di credere ai Re Magi come fossero protagonisti di eventi storici o alla “peccaminosità intrinseca” delle relazioni sessuali omoaffettive.
L’associazionismo laico – orfano anche esso di grandi “narrazioni ideologiche” (il che, da alcune angolazioni, potrebbe perfino essere un dato positivo) – naviga a vista da un obiettivo all’altro, con i rischi inevitabili del pionierismo e dello sperimentalismo: ma ciò provoca nei benpensanti continui allarmi e molto spesso le istituzioni (come è avvenuto in questi ultimi anni anche a Palermo) intervengono per ristabilire la legalità formale senza preoccuparsi di offrire, ai ragazzi che cercano spazi di aggregazione, delle alternative legali.
Parafrasando un testo di Erich Fromm di mezzo secolo fa, insomma, ci si potrebbe chiedere: la società si preoccupa di recuperare i devianti, ma chi si preoccupa di liberare la società dalle sue tossicodipendenze strutturali? Nessuno può curare gli altri da malanni di cui è affetto in misura addirittura più grave.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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