10.8.2019
SOLO LA DIMENSIONE STORICA PUO’ SALVARCI DAGLI INTEGRALISMI
Tradizionalmente il rapporto delle persone colte – credenti o meno – con il cristianesimo è stato di tipo concettuale, teoretico. Ci si è accostati ad esso, per accettarlo o per respingerlo, come a un complesso dottrinario di verità eterne accidentalmente rivelatesi nella storia del Medio-oriente venti secoli fa: dunque esso sarebbe stato sostanzialmente identico se fosse stato “donato dall’Alto” in un’altra epoca, precedente o successiva, e in un'altra regione della Terra (la Cina o l’America). Questa ottica ha sedotto soprattutto i filosofi di professione (dunque, in piccolo, anche me), tanto più che è stata adottata da giganti del pensiero come san Tommaso d’Aquino (XIII secolo) e da papi di notevole cultura teologica (un po’ meno biblica) come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI.
Ma la rivoluzione degli studi storici nell’Ottocento ha indotto anche gli studiosi di orientamento cristiano a rileggere con più realismo le fonti della fede e ciò è sfociato a metà del Novecento (1962 – 1965) nei documenti del Concilio ecumenico Vaticano II che, pur con tutte le cautele possibili, hanno evidenziato che il cristianesimo non è un sistema di idee (più o meno profonde dal punto di vista metafisico) quanto la storia di un Profeta (Gesù di Nazareth), della sua compagnia di seguaci (apostoli e discepoli, sia uomini che donne) e delle comunità costituitesi come ‘eretiche’ rispetto all’ebraismo nei primi tre secoli dell’era volgare.
Questa nuova prospettiva è stata sconvolgente e tuttora ci sono cardinali, vescovi, preti e teologi che tentano di opporvisi con tutti i mezzi disponibili: la chiesa cattolica, infatti, cessa di essere “madre e maestra” di una umanità immatura e peccatrice, ma compagna di strada di quanti ricercano la conoscenza, la giustizia, la solidarietà, la libertà, la pace, il rispetto della natura, la bellezza artistica e così via.
Papa Francesco – anche grazie a quello che è stato (un pastore in territori sperduti alla “fine del mondo”) e a quello che non è stato (un insegnante universitario dalle cento pubblicazioni accademiche) – è il primo “vescovo di Roma” che ha preso sul serio la storia come terreno di origine del cristianesimo e come banco di prova, soprattutto nel presente, della sua validità agli occhi degli esseri umani di ogni area del pianeta. Un prezioso e agile libro a cura di Anna Carfora e Antonio Ianniello (Papa Francesco e la storia della Chiesa, Il pozzo di Giacobbe, trapani 2019, pp. 186, euro 13,00) illustra, con uno stile fruibile anche dai non addetti ai lavori, in che senso – e con quali conseguenze rivoluzionarie – la “ricerca della verità storica”, al di là di “ogni tentazione integralista”, costituisca “una delle cifre più forti di questo pontificato”.
Il libro, promosso dall’Istituto di storia del cristianesimo “Cataldo Naro” della sezione S. Luigi della Pontificia Facoltà teologica dell’Italia Meridionale (Napoli), gestita dai Padri Gesuiti, raccoglie contributi specificamente redatti da alcuni degli storici più prestigiosi del panorama cattolico attuale. Come è facile prevedere alla luce di tante vicende recenti e recentissime, ancora una volta ci saranno nostalgici delle granitiche “certezze” del passato che accuseranno di “relativismo” sia il papa che questi suoi interpreti: ma, di fronte a un fiume che davvero scorra, è più vicino alla “verità assoluta” chi afferma che scorre sempre la stessa acqua o chi afferma che, nonostante le nostre convenzioni linguistiche (“questo è il Nilo”, “quello è il Po”…) , l’acqua che scorre è diversa momento per momento (e dunque non ci possiamo bloccare a un giudizio ‘eterno’ che valga per l’acqua di ieri di oggi e di domani) ? Fuor di metafora, noi usiamo un’unica parola - “Chiesa” – per indicare una realtà fluida, in continua trasformazione: per sfortuna, o secondo i casi per fortuna, la chiesa di san Francesco e di santa Chiara non è la stessa che solo pochi secoli dopo erige i roghi per eretici e streghe né quest’ultima è la stessa dell’impegno dei preti sociali alla don Luigi Sturzo per l’attivazione di cooperative e casse di risparmio a difesa dei contadini sulla scia dell’enciclica “Rerum Novarum” di Leone XIII.
Augusto Cavadi
WWW.AUGUSTOCAVADI.COM
3 commenti:
Il problema non è tanto il muoversi, ma la direzione e i traguardi da raggiungere. Rispetto all'immobilismo, cadere nel baratro è una novità tanto quanto salire all'empireo.
da un punto di vista strettamente umano ("terreno") guardando alla direzione la differenza la fa la conoscenza, in particolare della storia: conoscendo ed interpretando la storia possiamo immaginare se la direzione è verso il baratro o verso l'empireo
basterebbe ricordare (e per chi vuol) vivere l'imperativi (gli unici?) che Gesù dà all'inizio della sua predicazione: «convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,15)
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