15.9.2019
I MAFIOSI SONO GLI ULTIMI CALVINISTI? LO SCIVOLONE DI ROBERTO SAVIANO
Nel corso della presentazione della nuova serie tv ZeroZeroZero, Roberto Saviano, autore del libro da cui è tratto lo sceneggiato, ha dichiarato tra l’altro a proposito dei mafiosi: “Sono l'ultima classe dirigente disposta al sacrificio. A loro non interessa il denaro, ma il potere e per questo sono disposti a odio, solitudine, carcere. Per questo spesso hanno una religiosità quasi mistica: i mafiosi sono - ha concluso Saviano - gli ultimi calvinisti del mondo".
Dal contesto si evince che “calvinisti” è stato scelto come (paradossale) complimento, ma non stupisce che l’accostamento a “mafiosi” abbia suscitato forti perplessità fra i…calvinisti. Per esempio Peter Ciaccio, (da alcuni anni a Palermo) pastore della Chiesa valdese, che del “calvinismo” è la confessione per così dire ufficiale, ha diramato sul sito del settimanale www.riforma.it, una nota in cui, garbatamente ma fermamente, spiega perché ha trovato l’espressione dello scrittore napoletano
“sbagliata, fuorviante e offensiva”. Infatti “la fama dei calvinisti è quella di essere sobri, puritani, dedicati al lavoro, rigorosi”; ci tengono a essere modelli di cittadinanza laica; non aspirano, in quanto chiesa, a nessun “potere politico” di cui riconoscono l’autonomia. Per cui “associare l’atteggiamento egoista, violento, idolatra, malvagio di un boss mafioso al calvinismo non è una piccola deviazione, un dettaglio sbagliato, una semplice imprecisione, ma è una sciocchezza enorme”.
Suppongo che Saviano potrebbe rispondere che egli intendeva – con un’ardita metafora – evocare un’analogia: i mafiosi si dedicano al loro lavoro (sporco) con la stessa dedizione eroica, “mistica”, con cui i calvinisti si dedicano al loro lavoro (pulito). Ma, in considerazione della scarsa familiarità media degli italiani con le figure retoriche e ancor più scarsa con le dottrine teologiche, resterebbe opportuno che Saviano di scusasse con i compatrioti di tradizione “riformata”.
Al di là dei possibili equivoci e fraintendimenti, la dichiarazione dell’autore partenopeo suggerisce – forse impone – almeno due precisazioni (senza le quali risulta discutibile non solo alle orecchie dei calvinisti, ma in sé, oggettivamente).
La prima: non è vero che ai mafiosi “non interessa il denaro, ma il potere”. Ad essi, infatti, non interessa solo il denaro, ma anche il potere: interessa il denaro per avere più potere e il potere per avere più denaro. E’ un circolo infernale di cui sono prigionieri mentalmente, prima che vitalmente.
La seconda precisazione: i mafiosi, cittadini del Meridione italiano, sono impregnati di cultura cattolica. Come ho documentato nel mio Il Dio dei mafiosi (edito dalle edizioni San Paolo di Milano), il cattolicesimo meridionale ha ereditato, anche per influenza degli spagnoli, la svalorizzazione del lavoro tipico del Medioevo. Il “santo”, il modello della vita cristiana, è l’asceta che esce dalla città, rinunzia all’impegno politico, non si occupa degli impegni familiari e mondani, meno che mai del commercio. Nell’Europa continentale la Riforma protestante – e Calvino in particolare – sconvolgono nel XVI secolo radicalmente questa mentalità: il lavoro, la tecnica, gli scambi commerciali non sono lo spazio del diavolo, ma il luogo in cui si è chiamati a santificarsi. Da allora comincia la biforcazione fra un’Europa borghese, produttiva, intraprendente (tutti sappiamo del nesso, sostanzialmente vero, individuato da Max Weber fra “etica protestante” e “spirito del capitalismo”) e un’Europa economicamente arretrata, attraversata dalla frattura fra classi parassitarie, improduttive, e classi iper-sfruttate e condannate a scarsissima mobilità sociale verticale. Solo lentamente, e solo parzialmente, l’ethos del lavoro si diffonde anche in alcune regioni cattoliche, per esempio nel Settentrione italiano: ma proprio nel Centro e nel Meridione, difeso da ogni influsso protestante, persiste la convinzione che “lavorare stanca”, anzi degrada la dignità umana; che nobile è chi vive di rendita, non si sporca le mani, ma fa lavorare altri. E proprio la “classe media” (gabellotti e campieri), da cui provengono i primi mafiosi, sfrutta i braccianti per prosperare parassitariamente.
Se queste considerazioni storiche hanno qualche fondamento, dovremmo asserire – se usciamo dal registro degli slogan ad uso dei giornalisti e delle battute ad effetto – che i mafiosi, lungi dall’essere “gli ultimi calvinisti”, sono mafiosi perché non lo sono stati mai.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Caro Augusto, avevo letto le puntualizzazioni di Ciaccio, dal suo punto di vista più che condivisibili, tuttavia mi sembra che, qui, il problema non stia nell’insipienza di Saviano, ma nella lingua italiana dove il termine calvinista significa chi professa il calvinismo, ma anche -estensione figurata presente in qualsiasi dizionario- l’atteggiamento di chi, indipendentemente dalla religione professata o non professata, è rigorosissimo, serissimo e intransigente nel perseguire dei fini. Fedeli, teologi e storici della Chiesa utilizzano il termine nella prima accezione, mentre giornalisti, TV generalista e dintorni (ed è questo l’orizzonte di Saviano), perlopiù nella seconda. Se la cosa è fuorviante -sembra che un qualche equivoco lo crei- l’estensione figurata andrebbe bandita, in ogni caso per quanto riguarda l’affermazione di Saviano mi sembra che il problema sia semplicemente semiotico più che di merito.
Augusto, io la penso come Bruno Vergani e penso anche che il tuo commento alle parole superficiali di Saviano sia giustificato. Spesso, come tu sai, quando si è sovraesposti le parole escono come fiume in piena, quando invece sarebbe proprio il momento di pesarle, le parole. Ciò non scalfisce però minimamente la stima, l'ammirazione e il sentimento solidale che ho verso Roberto Saviano, perché non si deve "mitizzare" nessuno, ma neanche "fischiare" ad ogni occasione. Spero che Saviano legga e risponda alle tue considerazioni, sarebbe una bella cosa.
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