“Repubblica” (Palermo)
10.8.2019
I MILLE ABUSI QUOTIDIANI CUI NESSUNO PONE RIMEDIO
Ad agosto si vorrebbe godere di una tregua dalle amarezze. Ma – ci si dovrebbe precludere la vista di ciò che accade fuori dalle mura di casa e la lettura dei giornali. A Palermo come altrove. Perché se, invece, non ti bendi gli occhi, le notiziacce si inanellano una dopo l’altra in un dannato filo rosso.
La Finanza entra, a caso, in alcuni ristoranti e trova che la regola sono gli addetti pagati in nero: allora la memoria ti va a quelle decine di ragazzi che hai conosciuto negli ultimi anni, che non sono stati pagati per mesi di fatiche estive senza né orari né giorni di riposo settimanale, che hanno vinto la causa contro i datori di lavoro fedifraghi e che però non hanno ricevuto – e non riceveranno mai – quanto gli spetta (perché gli avvocati non trovano conveniente difendere questo genere di clienti sino all’ingiunzione di pagamento). Su Facebook qualcuno ha scritto: “Non sono i camerieri e i raccoglitori di frutta a scarseggiare, ma gli schiavi”.
Un autista dell’Amat, scelto a caso, racconta la protervia quotidiana di ragazzacci che assalgono i bus e i passeggeri nella totale impunità: allora la memoria ti va a quelle innumerevoli volte in cui hai assistito a scene simili e hai dovuto inventarti una decisione diversa per non peccare di omissione, ma neppure aggravare le situazioni.
Le telecamere della Forestale registrano, a caso, dei negozianti che scaraventano sul letto dell’Oreto materiali ingombranti: allora la memoria ti va alla piazzetta sotto casa tua dove tutti gettano di tutto, agli inviti che hai rivolto inutilmente ai concittadini di di concordarne il ritiro con la Rap e di sentirti rispondere – e sai che non è una falsità – che i camion della Rap, ogni volta che svuotano cassonetti, lasciano scolare il percolato puzzolente che in estate rende l’aria a due passi dalla spiaggetta di Vergine Maria irrespirabile. L’anno scorso ho chiesto a un caposquadra a chi spettasse la pulizia del terreno dopo il loro passaggio dal momento che il netturbino di quartiere era attrezzato solo di scopa: mi ha alzato le spalle un po’ stupito della domanda.
Già, la piazzetta: come quasi tutta la città in mano a posteggiatori abusivi di cui devi calcolare, a occhio, la potenziale pericolosità prima di decidere come rispondere di volta in volta. A chi appartiene davvero la città? A chi questi posteggiatori – sia indigeni sia immigrati – devono pagare la percentuale dei loro incassi e fornire le informazioni necessarie a traffici ben più remunerativi? Da più di dieci anni i ragazzi di “Addiopizzo” ci ripetono che un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità: verissimo. Ma per uno straccio di dignità mi hanno già bucato le ruote della moto e rigato il cofano dell’auto: c’è un limite oltre il quale si diventa autolesionisti?
Già la spiaggetta: sarebbe pubblica, ma giorno dopo giorno è privatizzata da campeggiatori dalle tende sempre più ampie, forniti di tutto – dal frigorifero alla cucina – tranne che di servizi igienici. Chiami la Capitaneria di porto, chiami i Carabinieri, chiami la Polizia: “Sì, grazie, provvederemo”. Ma novantanove volte su cento non succede nulla. E sai, per esperienza, che, in ogni ipotesi, chi sgombra la mattina ripianterà le tende la sera stessa.
Ai Vigili urbani segnali che da anni l’unica stradina che congiunge Villa Igea con la piazza dell’Acquasanta è stabilmente occupata da macchine e moto in divieto di sosta (anzi, davanti al bar, addirittura in doppia fila !), che ciò impedisce la visuale delle auto che arrivano da via Ammiraglio Rizzo e strangola il traffico ogni volta che si incrociano due bus; ma invano. Come invano segnali che, poco dopo, in piazza Giachery, davanti all’Ucciardone, all’uscita della zona dei rifornimenti di benzina, esiste uno stop che quasi nessuno rispetta: se presumi che ciò avvenga, come di solito in Italia da Roma in su, devi essere disposto a farti fracassare la fiancata sinistra dell’auto o a farti urtare e scavalcionare dalla moto.
La considerazione più triste, più deprimente? Che, per ciascuno di questi problemi, ho constatato di persona in alcuni casi – e mi è stato riferito in altri – che la soluzione è arrivata, ma non dalle istituzione dello Stato. Ho visto con i miei occhi autisti di bus farsi coraggio e minacciare di botte le bande dei ragazzi più tracotanti; automobilisti minacciare di reazioni violente i posteggiatori se avessero trovato le auto danneggiate (“Non pago, ma se la macchina la trovo rotta, tu hai smesso di ‘lavorare’ qua”); giovani del quartiere intimare a campeggiatori abusivi di andarsene entro dodici ore (“Se non volete trovare le tende incendiate”). E un cameriere, a cui il datore di lavoro continua a negare da anni le paghe concordate nonostante una sentenza del tribunale favorevole, solo pochi mesi fa mi confidava quasi sul punto di lacrimare: “Gli unici che riescono a ottenere il rispetto dei propri diritti sono i colleghi che si rivolgono al capo mafia della zona. Ma non sanno che così si vendono per sempre la libertà ?”.
Ogni tanto ritorna la querellese l’antimafia debba essere monopolio di alcuni schieramenti politici o patrimonio condiviso. Sommessamente direi che la questione si può risolvere solo con i dati di fatto. Un ministro degli interni di destra, un sindaco di sinistra, un prefetto che dovrebbe coordinare tutte le forze dell’ordine in difesa della legalità democratica a prescindere dai riferimenti ideologici e partitici: che aspettano per liberare il cittadino comune dall’infernale alternativa di subire l’impunità sistemica dei prepotenti oppure entrare in meccanismi perversi che hanno distrutto la convivenza civile?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Nessun commento:
Posta un commento