28.7.2019
ATTACCARE IL VESCOVO PER COLPIRE IL PAPA
Come è noto, in Italia c’è stata una correlazione di destini fra la destra ‘politica’ e la destra ‘ecclesiale’. Non poco stupore suscita, dunque, la constatazione che i consensi verso Salvini crescono e, invece, il numero dei fautori della destra teologico-religiosa ristagnano. L’enigma si spiega, in larga misura, con la situazione paradossale dei conservatori cattolici che devono contestare il simbolo più tradizionale del conservatorismo ecclesiale: il papa. Un papa alla Giovanni Paolo II o alla Benedetto XVI sarebbe stato un ottimo pendant per il populismo identitario – tendenzialmente reazionario – dei nostri giorni. Non così un papa Francesco che vuole sottoporre alla critica del vangelo le pratiche, anche secolari, degli apparati ecclesiastici e dei movimenti nostalgici delle istituzioni medievali e tridentine.
Da qui i tentativi sempre più insistenti di organizzare campagne tese a destituire l’attuale vescovo di Roma, mostrando o l’illegittimità della sua elezione o la perdita di legittimità a causa di posizioni eretiche. Non soddisfatti di questa strategia – per la verità un po’ contraddittoria – alcuni gruppi di fondamentalisti cattolici provano ad accerchiare papa Francesco attaccando, più che lui stesso direttamente, le persone che egli ha promosso in punti nevralgici. Ad esempio l’arcivescovo di Palermo.
Un’associazione romana di inspirazione integralista – a cui non farò pubblicità riportando nome e indirizzo telematico – ha recentissimamente dedicato su internet un pezzo giornalistico a don Corrado Lorefice, accusandolo di aver dato del noto Festino in onore di santa Rosalia (15 luglio) una lettura secolare, teologicamente povera e spiritualmente banale. Egli sarebbe l’ennesimo prova che “un tempo i Vescovi si preoccupavano delle anime e della loro salvezza. Oggi invece parlano di politica e di immanenza”. Infatti, nella sua omelia per la patrona di Palermo, si è detto preoccupato “non per la generale perdita della fede, non per la secolarizzazione rampante, non per il laicismo imperante, non per la morte portata da aborto ed eutanasia, non per la nuova schiavitù degli uteri in affitto e della fecondazione in vitro, non per i cristiani perseguitati in ogni angolo del mondo, bensì per un generico riferimento ad un vago «sistema economico planetario che schiaccia i poveri e ferisce la natura» e per l’«esclusione del diverso, dell’altro». In questo crescendo programmatico più simile ad un comizio della «Festa dell’Unità» che ad un’omelia, il presule ha proposto la stessa figura della Patrona come esempio di chi seppe «opporsi ad interessi di classe» in un’inedita, impensabile ed improbabile riedizione marxista, distonica per tempi e contenuti all’esempio lasciato dalla Santa in pieno Medioevo, nonché condotta ad innaturale apoteosi con la citazione non di testimoni della fede, bensì di Enrico Berlinguer e di Aldo Moro, politici proposti come modelli in quanto “campione” della «responsabilità etica» il primo contro la «politica delle invettive e degli insulti» e paladino del «cambiamento profondo» e dei «tempi nuovi» il secondo contro «storture e ingiustizie»”. Questo articolato e dettagliato atto di accusa contro l’arcivescovo Lorefice si conclude con un sarcastico: per lui c’è bisogno di politici come Moro e Berlinguer, ma “ciò ch’è certo è che, di contro, nella Chiesa non v’è alcun bisogno di Vescovi, che propongano la fede così”.
Questi attacchi, per quanto sgradevoli, vanno prima di tutto compresi. Persone che sin dall’infanzia sono state educate non a leggere ‘scientificamente’ (intendo con gli strumenti dell’esegesi scientifica) i vangeli, ma a imparare formule dogmatiche e precetti moralistici o mandano tutto al…diavolo o, se restano nella Chiesa cattolica, identificano la loro adesione di fede con l’attaccamento a un complesso dottrinario e prescrittivo in cui hanno trovato (almeno l’illusione della) certezza teorica e pratica. Una gabbia ideologica che ha, tra l’altro, il vantaggio di santificare lo status quocapitalistico in cui i ricchi sono sempre più ricchi (e minori di numero) e i poveri sono sempre più poveri (almeno relativamente, talora in assoluto, e maggiori di numero).
La conversione di questi cattolici, più devoti che istruiti, più assetati di sicurezza che di avventura spirituale, è estremamente difficile: un papa ha il dovere di provarci, ma anche di non farsi troppe illusioni. La religione bimillenaria che protegge in terra dalle disgrazie e assicura un posticino in cielo è troppo più comoda del messaggio essenziale di un rabbino errante che non offre nulla, né in terra né in cielo, tranne la verità che prendersi cura degli altri – anche lontani, anche stranieri, anche nemici – è il modo migliore per dare senso e gratificazione alla propria vita.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
E vero, lo dice troppo bene Augusto, pure io avverto in giro un diffuso (e confuso) senso di paura, che si traduce in bisogno di sicurezze e, quindi di gabbie ma, anche, in odio verso chi ti prospetta libertà (e responsabilità) che non vuoi.
Però in campo spirituale tutto questo fa ancora più impressione ...
Pienamente d'accordo con il pensiero di Cavadi
In effetti è l'avventura spirituale non ancorata alla dottrina ed alla traduzione che sta frantumando la Chiesa. Ma essendo la Chiesa di Cristo, agli avventurieri della nuova spiritualità modernista è rivolto il "non prevalebunt"
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