22.6.2019
SULLA TEOLOGIA DI JORGE MARIO BERGOGLIO
Sia i sostenitori che i detrattori di papa Francesco (e pochi papi nella storia hanno acceso così vivacemente tifoserie opposte) avrebbero da guadagnare in consapevolezza se riflettessero su alcuni elementi della sua biografia e della sua formazione teologica. Figlio di emigrati italiani, ha vissuto esperienzialmente in Argentina la condizione dello straniero più o meno emarginato per il solo fatto di essere straniero (indipendentemente dalle condizioni socio-economiche modeste ma non misere). Si forma in un’area geo-culturale (l’America Latina) , e in un periodo storico (la seconda metà del XX secolo) , in cui si configura e si diffonde la Teologia della Liberazione che conta, tra i suoi “martiri” più illustri, proprio cinque suoi confratelli gesuiti, assassinati all’alba del 16 novembre 1989 insieme a due donne (Elba Ramos e Celina Ramos) che si occupavano di governare la casa religiosa: Ignacio Martín-Baró, Ignacio Ellacurìa, Segundo Montes, Juan Ramòn Moreno, Amando Lòpez Y Lòpez.
Non sembra che Bergoglio abbia abbracciato totalmente la Teologia della Liberazione, ma – come afferma un proverbio siciliano di difficile traduzione in italiano – il carbone, anche quando non tinge, imbratta: insomma, in un certo clima culturale, si respirano idee e sentimenti che vengono interiorizzati anche senza essere accettati integralmente dal punto di vista della consapevolezza razionale. E quali sono i lineamenti essenziali della Teologia della Liberazione che hanno, sia pur parzialmente, influenzato l’approccio di papa Francesco alla vita e al mondo?
Proprio uno dei cinque martiri dell’Università Centro-americana “José Simeòn Cañas” di El Salvador, in un testo recentemente pubblicato in italiano ( Ignacio Martín-Baró, Psicologia della Liberazione, a cura di Mauro Croce e Felice Di Lernia, introduzione di Amalio Blanco, con uno scritto di Noam Chomsky, Bordeaux, Roma 2018), riferisce le “tre intuizioni più importanti” a giudizio di uno dei massimi “teorici della liberazione”:
1. “L’oggetto della fede cristiana è un Dio che è vita e, pertanto, il cristiano deve assumere come suo primario compito religioso il promuovere la vita. Da questa prospettiva cristiana, ciò che si oppone alla fede in Dio non è l’ateismo bensì l’idolatria, cioè la credenza in falsi dei: dei che producono morte. La fede cristiana in un Dio che è vita deve cercare, di conseguenza, […] la liberazione dalle strutture, prima sociali e poi personali, che mantengono una situazione di peccato, ovvero di oppressione mortale delle moltitudini” (p. 83);
2. “La verità pratica ha la precedenza sulla verità teorica, la ortoprassi sull’ortodossia. Per la Teologia della Liberazione più importanti delle affermazioni sono le azioni, e una miglior espressione della fede è fare piuttosto che dire. Pertanto, la verità della fede deve mostrarsi in realizzazioni concrete che evidenzino e rendano credibile l’esistenza di un Dio che è vita” (pp. 83 – 84);
3. “La fede cristiana chiama a realizzare una scelta preferenziale per i poveri. La Teologia della Liberazione afferma che Dio bisogna cercarlo tra i poveri e gli emarginati, e con loro e a partire da loro vivere una vita di fede. La ragione di questa scelta è multipla. In primo luogo, perché questa fu, di fatto, la scelta di Gesù. In secondo luogo perché i poveri costituiscono la maggioranza dei nostri popoli. In terzo luogo perché i poveri permettono condizioni oggettive e soggettive di apertura all’altro, soprattutto a colui che è radicalmente altro. La scelta per i poveri non si oppone all’universalismo salvifico, però riconosce che la comunità dei poveri è il luogo teologico per eccellenza dal quale realizzare il compito della salvezza, la costruzione del regno di Dio” (p. 84).
Bastano questi pochi cenni per intuire la distanza abissale di questo pontificato dallo stile dottrinario e di governo di papi come il polacco Giovanni Paolo II (comprensibilmente preoccupato di erigere barriere contro i nemici storici di impronta comunista) o come il tedesco (nato e cresciuto nel privilegiato “centro” politico e economico dell’Occidente). Perciò o si accetta che anche la Chiesa cattolica è un organismo storico che vive non solo nel tempo ma anche temporalmente (e allora si avrà verso papa Francesco un atteggiamento di simpatia critica, vagliandone di volta in volta pregi e lacune) o si vedrà in ogni trasformazione ecclesiale un attentato all’immutabilità della fede e della morale (e allora si individuerà il papa venuto “dalla fine del mondo” come un alieno pericolosamente sovversivo).
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Se l'ortoprassi spazza via l'ortodossia e perciò san Giacomo banalizza San Paolo, la teologia si ignora o dissolve ed ecco Papa Francesco. Povera chiesa cattolica romana!!
I vangeli ci parlano di molta ortoprassi e di ben poca ortodossia di Gesù, almeno per come la intendevano i correligionari depositari del vero.
Papa Francesco non può toccare l'ortodossia cattolica (?), ammesso che lo voglia, ma punta tutto sul messaggio centrale di Mt 25,31-46: "avevo fame e mi avete dato da mangiare, ecc. ecc.". Le ortodossie (siamo sicuri?) del papa polacco e di quello emerito sono molto meno rilevanti sia sul piano teologico che su quello morale e quindi sociale. Le ortodossie in sè non sono mai salvifiche. Anzi.
germano
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