20.3.2019
QUARESIMA: SOLO UN PALLIDO RESIDUO CULTURALE ?
La maggior parte degli italiani, probabilmente, non lo sa: ma da qualche settimana, e per qualche settimana ancora sino a pasqua, secondo il calendario della Chiesa cattolica siamo in quaresima. Soltanto un pallido residuo culturale di un passato ormai irrecuperabile?
Indubbiamente per molti di noi la suggestiva celebrazione del Mercoledì delle Ceneri con cui si apre la Quaresima è un ricordo più o meno lontano; tanti giovani, poi, non hanno idea neppure di che si tratti. Questo portato della secolarizzazione è un dato positivo?
Non si può negare che il rito ufficiale, incentrato sul monito “Ricordati, uomo, che polvere sei e in polvere ritornerai”, abbia una sua valenza pedagogica. Nell’era del salutismo eretto a nuova ascesi, della chirurgia estetica elevata a nuova religione, dei progetti scientifici e para-scientifici di immortalità terrestre, farebbe bene ricordarsi della nostra fragilità costitutiva. Essere mortali significa che il momento del decesso è differibile, ma ineluttabile. L’umiltà autentica è esattamente questo: consapevolezza di essere impastati di humus, di terra. Ed essa – indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose – potrebbe renderci meno attaccati alla proprietà, al potere, al successo, alla carriera e più propensi alla solidarietà verso chi soffre perché malato o disoccupato o migrante o emarginato.
Tutto ciò è vero, ma è la metà della verità.
Anche l’astrofisica contemporanea ci insegna che siamo letteralmente, non metaforicamente, polvere: ma polvere di… stelle. Nel nostro corpo gli atomi di idrogeno sono antichi quanto il Big Bang, gli altri atomi (l’ossigeno che respiriamo, il ferro del nostro sangue, il calcio del nostro scheletro, il fosforo del nostro cervello…) si sono formati in seguito all’esplosione di megastelle, le supernove, più antiche del nostro sole attuale. Come scrive il poeta Ernesto Cardenal, “siamo idrogeno che contempla idrogeno”. Questi dati oggettivi, incontestabili, dovrebbero riempirci di orgoglio o, per lo meno, di ammirato stupore. Molta teologia contemporanea sta cercando di recepire queste nuove acquisizioni scientifiche per recuperare un ritardo bimillenario: duemila anni di diffidenza verso la materia, di mortificazione del corpo, di deprezzamento della natura. Da qui la valorizzazione della nostra familiarità con le montagne, con le acque, con le foreste, con gli altri animali…Insomma, la convinzione che non può avere Dio per padre chi non abbia la Terra per madre.
Papa Francesco ha provato ad aprire un sentiero con la sua enciclica Laudato sii, ma – come avviene di solito per i documenti pontifici - è stata tanto più citata quanto meno letta. Sarebbe bello che di queste prospettive, in contro-tendenza rispetto alla retorica della condizione terrena come “esilio dal cielo” e “valle di lacrime”, arrivasse qualche eco nelle nostre chiese. Sarebbe bello che la polvere sul capo dei fedeli, senza cessare di essere invito alla consapevolezza realistica della nostra finitudine, diventasse il simbolo della nostra dignità di figli del cosmo e della nostra responsabilità etica verso ogni vivente.
Soprattutto nel Meridione italiano (ma non esclusivamente, come testimonia la partecipazione mondiale alla giornata di protesta del 15 marzo) questo implicherebbe una spinta preziosa a tutta la società sinora troppo pigra nella lotta all’inquinamento, nella difesa del territorio, nella denunzia dell’abusivismo, nella cura degli spazi pubblici. Una rivalutazione della ‘sacralità’ intrinseca della Terra consentirebbe di avere meno cataste di rifiuti agli angoli delle strade, senza dover necessariamente scoraggiare i cittadini più incivili erigendo statuine di Madonne, Padri Pii e sante Rosalie.
Augusto Cavadi
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