16.3.2019
LE INTIMIDAZIONI TEOLOGICHE DEL PARROCO DELLA KALSA
Quando ho letto della minaccia del frate carmelitano della Kalsa, Mario Frittitta, al mio amico Salvo Palazzolo di “Repubblica”, che era andato a intervistarlo su una messa in suffragio del boss Tommaso Spataro, sono rimasto incredulo. La frase riportata come titolo della notizia era esplicita (“Stia attento a come parla, perché altrimenti Lei la paga! ”): molto esplicita, anzi troppo. E, proprio per questo, sospetta. Un prete che, come lui, ha frequentato certi ambienti (sino a incorrere in una condanna di primo grado per favoreggiamento del latitante Pietro Aglieri, poi annullata in appello) conosce le regole: dunque sa, dovrebbe sapere bene, che le intimidazioni efficaci non sono mai così sboccate. Bisogna dire e non dire, alludere: mica siamo in un film western !
Ho voluto dunque ascoltare la registrazione audiovisiva dell’intervista pubblicata sul sito on line dell’edizione palermitana di “Repubblica” e, in effetti, la versione integrale restituiva l’inconfondibile ambiguità del codice mafioso: “Stia attento a come parla, perché altrimenti Lei la paga…perché il Signore fa pagare queste cose”.
Ah, ora mi oriento meglio.
Il buon “padre” non si era abbassato a livello di delinquenti comuni, non si era ridotto a parlare come un ragazzaccio di borgata in lite con il coetaneo per questioni di soldi o di donne. No: in perfetto stile mafioso ha dato generosamente un consiglio per il bene dell’interlocutore. Per il bene terreno e, in omaggio al proprio ministero, per il bene ultraterreno.
Apparentemente questa formulazione – per altro scaturita all’impronta, spontaneamente, sulle labbra del parroco – ridimensiona la gravità della minaccia; ma, nella sostanza, rivela una profondità teologica spaventosa. Qui, infatti, non si suppone che a difendere l’onore di un padrino defunto da un mese esatto possano essere altri padrini, o i familiari, o gli eredi della cosca. Qui si afferma, come fosse una verità evidente, che a difesa del buon nome di Tommaso Spataro, dei suoi congiunti, della comunità raccolta in preghiera per la sua anima, sarà Dio stesso in prima persona. Un Dio che, dispostissimo ad accogliere fra le sue braccia un pluriassassino, sarà invece inesorabile nei confronti di un giornalista nell’esercizio delle sue funzioni. Insomma: padre Frittitta, cappellano di padrini, ha fede incondizionata in un Dio padre-padrino (padre comprensivo con chi passa la vita a schiavizzare gli altri, padrino inflessibile con chi passa la vita a fare il proprio dovere civico e professionale). L’arcivescovo Corrado Lorefice, che nel discorso di presentazione alla città citò il vangelo e la costituzione repubblicana, don Puglisi e Peppino Impastato, ha prontamente stigmatizzato le parole del parroco. Ma – anche se, in quanto appartenente a un Ordine religioso, Frittitta non dipende direttamente dall’arcivescovo di Palermo - non sarebbe il caso che questi esercitasse una pressione morale sui Superiori carmelitani affinché il reverendo padre venga trasferito altrove, per eccesso di “compatibilità” ambientale?
Sappiamo tutti che a Palermo ci sono preti, suore, catechisti distanti mille metri dalla mentalità e dal linguaggio di frate Frittitta: ma lo sono davvero tutti, tutte? O, anche in buona fede, permane in molti contesti un’immagine del Divino contrassegnata da quei caratteri aggressivi, vendicativi, di cui la Bibbia è zeppa (anche se non priva di quelle valenze di misericordia e di compassione su cui tanto insiste l’attuale papa Francesco)?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Caro Augusto condivido il contenuto del tuo articolo e il tuo appello all'arcivescovo Corrado Lorefice. Non sono sicuro che abbia un seguito.
Enrico Cillari
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