mercoledì 16 gennaio 2019

FEDELTA' AL PARTITO PER CUI SI E' VOTATO: SINO A QUANDO?


5.1.2019

SE VOTO PER UN PARTITO, SINO A QUANDO NE DEVO SOSTENERE
LE  DECISIONI?

Ad alcune decisioni del governo Lega-Cinque Stelle bisogna riconoscere il merito di sollevare delle questioni di principio, di ordine filosofico, che si erano eclissate dal dibattito politico quotidiano.
Sulla prima di tali questioni si stanno confrontando esperti di livello notevole e su di essa mi sentirei di sottolineare solo un aspetto: che si tratta di una problematica tragica, impossibile da ridurre alla banale contrapposizione fra uno schieramento e l’opposto. Mi riferisco alla dialettica fra legalità (formale, giuridica) e giustizia (reale, etica). E’ la tensione - antica come la sofferenza della giovane Antigone combattuta fra il divieto di Creonte di seppellire il cadavere del fratello e il sentimento che le impone di dargli sepoltura -  fra l’obbedienza alle leggi dello Stato e l’obbedienza alla legge morale inscritta nella natura umana. Qualsiasi scelta, in un senso o nell’altro, è drammatica, rischiosa, lacerante: come facciano tanti miei concittadini a sposarne una delle due con convinzione quasi fanatica, questo mi sfugge.  Risolvere il dilemma facendo il tifo per Salvini che fa approvare il decreto “Sicurezza” o per i sindaci che dichiarano di sospenderne l’applicazione nel proprio comune, significa davvero tradurre una tragedia in farsa. (Personalmente sono per i sindaci, ma non penso che quanti siano di opposto parere per motivi di metodo, e non di merito, dimostrino per ciò stesso disumanità). 
Una seconda questione, molto meno dibattuta in queste ore, riguarda il senso del voto per un partito. Per alcuni la questione non si pone neppure: si vota una sigla, ci si vota a una causa e a un leader che riesce a incarnarla…e si parte dritti come una locomotiva. Più sei fedele alla tua bandiera, più sei considerato coerente. 
Per altri – per fortuna sempre più numerosi – la preferenza nell’urna elettorale è frutto di una riflessione travagliata e arriva come una sorta di compromesso fra l’ideale e il fattuale. Nell’era del grigio, si sceglie un simbolo più per esclusione del peggio che per entusiasmo rispetto al meglio. E’ come una scommessa: auspichi che quel partito realizzi, almeno in parte, il suo programma e mantenga, almeno in parte, le sue promesse. E ne segui con attenzione le mosse, sempre pronto a far sentire la tua voce. Se è una voce  di consenso incoraggiante, amici e avversari ti approvano: hai dato prova di coerenza. Se è una voce di dissenso, anche  vigoroso, difficilmente ti sarà perdonato. Vieni bollato di scarsa preveggenza intellettuale, di instabilità emotiva, di incoerenza. Devi o tacere (come se avessi delegato in maniera totale e irreversibile ai parlamentari del tuo partito il diritto di decidere) o rinnegare il voto espresso a suo tempo, chiedere perdono su tutti i social media, meglio se riconoscendo allo schieramento avversario tutti i meriti che ha (e soprattutto quelli che non ha, ma pretende di avere).  Anzi, devi perfino chiedere perdono per lo sfascio che, dopo la sconfitta elettorale, stanno subendo i partiti per cui non hai votato, dimostrando così che – dopo essere stati deludenti al governo – sono incapaci di un’opposizione organizzata, efficace, dignitosa. L’ignoranza della storia, la cecità del gregarismo, la comodità del fanatismo ti vietano ogni atteggiamento adulto, da cittadino che presta alla propria ‘parte’ una fiducia condizionata, sempre pronto a revocarla – e a restituirla – secondo le opzioni strategiche operate dal proprio partito di riferimento. Certo, il meccanismo della democrazia rappresentativa, indiretta, non prevede un cambio di appartenenza ogni settimana: i rappresentanti non sono dei semplici delegati, come nella logica della democrazia assembleare, diretta. C’è una disciplina di partito da rispettare sia da chi siede sui banchi del Parlamento sia da chi milita nella società civile. Ma là dove sono in gioco scelte di fondo e opzioni di principio, la coscienza di ognuno – se ben coltivata con lo studio, la riflessione, il dialogo costruttivo – deve essere obbedita senza “se” e senza “ma”.  

 Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

1 commento:

armando caccamo ha detto...

Caro Augusto, la narrazione che fai con chiarezza di chi, per ‘punire’ il partito o movimento che lo ha deluso, decide di affidare l’effetto del voto ad altri partiti o movimenti, che con dei programmi più o meno condivisibili si propongono come alternative non mi convince. I programmi, una volta conquistato il potere, non si cambiano solo per i meccanismi legati alla dialettica democratica, ma ahimè si cambiano, anche radicalmente, per rimanere attaccati al potere ‘tout court’. Io penso che, prima di delegare a un partito o movimento, le conseguenze del voto, si abbia il diritto/dovere di conoscerne la storia: come è nato e come vuole incassare il consenso, chi sono le forze economiche
e sociali che lo sostengono, qual è la sua struttura, chi sono i leader nazionali e locali e quale linguaggio adoperano per contrastare gli avversari politici, che mezzi usano per convincere il popolo (mezzi che, nell’era del web, sono
leciti e no).
Poi, per l’aspetto che verte alla disubbidienza civile, dico che il
paragone con il dilemma di Antigone, le cui conseguenze sono personali, a mio avviso non regge rispetto a una disobbedienza le cui conseguenze condizionano il futuro di tanta gente debole e indifesa.
Questo ti dico, ringraziandoti per gli stimoli, filosoficamente
ineccepibili, che offri a chi ti legge.
Un affettuoso saluto
Armando