1.1.2019
FARE TEOLOGIA IN SICILIA
“Ricerca di Dio, passione per l’uomo”: queste due coordinate centrano, nel punto d’incontro, la cifra dell’esistenza di un prete particolare della diocesi di Palermo considerato da alcuni (pochissimi) un pericoloso eretico e da altri (moltissimi) un dono della provvidenza divina. In che senso ‘particolare’? La chiesa cattolica conta fra i suoi presbiteri un numero considerevole di ministri fedeli al magistero ufficiale, piuttosto influenzabili dal vento che tira in Vaticano (ora di accelerazioni progressiste ora di frenate conservatrici), tutto sommato funzionari diligenti che lavorano con generosità per la Ditta. Una minoranza di preti ha perduto, in cuor suo, le motivazioni originarie della gioventù, ma resta al suo posto per mancanza di alternative professionali: si arrangia alla meno peggio ma è esposta a tentazioni di ogni genere, alcune delle quali insopportabilmente gravi. C’è, infine, una minoranza ancora più sparuta di preti che, avendo maturato delle posizioni critiche nei confronti della dottrina e dell’insegnamento della chiesa cattolica, ne hanno tratto le conseguenze operative: o fondando “comunità di base” ai margini della vita ecclesiale o rinunziando esplicitamente al ministero presbiteriale per farsi una famiglia e/o dedicarsi a un lavoro alternativo.
Don Cosimo Scordato (Bagheria, 1948) non rientra in nessuna di queste categorie sociologiche. Non ha interrotto mai, neppure per un giorno, il suo servizio presbiteriale; è docente dalla fondazione della Facoltà teologica di Sicilia a Palermo; presiede, in una chiesa settecentesca del capoluogo siciliano, delle celebrazioni eucaristiche domenicali che non hanno nulla di anomalo dal punto di vista liturgico. Eppure…eppure, in questo quadro di ‘normalità’ giuridico-istituzionale, egli ha saputo inserire un esprit eccezionale, originale. Che, come ogni dimensione immateriale, è difficile da definire e da comunicare. Si potrebbe dire, approssimativamente, che si tratta della risultante di vari fattori, tra cui la trasparenza, la trasformazione nella continuità, la laicità. La trasparenza perché è una persona che non avverte la necessità di scindere i suoi sentimenti personali dagli atteggiamenti esteriori, di mascherare ciò che pensa e vuole con l’immagine stereotipata di ciò che la società si attende da un prete. E ciò che egli sente, pensa e vuole - pur essendo aperto a ogni genere di sollecitazione – ha mantenuto nei decenni una sostanziale continuità: figlio spirituale del Concilio Vaticano II, è rimasto fedele a quel momento magico della storia cattolica anche durante il lungo inverno di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. L’elezione di Francesco a vescovo di Roma non l’ha trovato impreparato: a differenza di altri suoi confratelli, non ha bisogno di convertirsi al nuovo stile pastorale testimoniato dal papa che viene dagli estremi confini della Terra. La trasparenza del tratto e l’apertura cordiale alle ragioni e alle istanze degli altri, esercitata costantemente, restituiscono un’idea di don Cosimo come persona essenzialmente laica: non solo attenta ai bisogni del laos, del popolo, ma convinta di essere parte del laos, del popolo. Senza cattedre sopraelevate né posti di comando; senza posizioni di condiscendenza verso i poveri né, ancor meno, verso coloro che si dichiarano atei o agnostici.
Queste caratteristiche antropologiche si sono riverberate anche nelle decine di testi che, in stretta correlazione con le iniziative sociali realizzate, egli ha pubblicato nell’ultimo mezzo secolo. In occasione del settantesimo compleanno (30 settembre 2018) alcuni amici abbiamo pensato di regalargli una raccolta di sue pagine che, ai nostri occhi, sono risultate più significative. E’ nato così un libro (“ A insaputa dell’autore” !), generosamente edito dalle edizioni “Il pozzo di Giacobbe” di Trapani, intitolatoUn Dio simpatico. Sguardo teologico sul contemporaneo(pp. 134, euro 15,00), che vorrebbe servire un po’ da presentazione sintetica di ciò che egli ha scritto e un po’ da invito a risalire, dai brani prescelti, alle opere originali integrali.
Il filo rosso di questa antologia, non priva di pretese di una qualche sistematicità?
In un certo senso è già indicato sin dalle prime pagine dove don Scordato spiega il suo “debole” verso le teologie della liberazione dell’America centro-meridionale: “Le situazioni che consentono alla teologia la sua possibilità di avvio sono stati chiamati nel gergo teologico loci theologici, ‘luoghi teologici’: la Sacra Scrittura, la tradizione teologica e dogmatica, il magistero, la ragione teologica…A me pare legittimo assumere come luogo teologico anche lo spazio, il luogo in cui ciascuno vive la sua storia. E’ strano che di tanti loci si è parlato in teologia (brani della Bibbia, opere dei Padri della Chiesa, documenti papali, teorie di teologi prestigiosi, formule liturgiche, esperienze di mistici…) e molto poco del luogo in senso proprio, cioè della situazione effettiva in cui si vive: dello spazio, del tempo, di quelle coordinate che sono i rapporti concreti con le persone, le relazioni vitali, l’habitat. Sono convinto che tutto ciò debba essere opportunamente tematizzato dalla teologia” (p. 19).
I poli del discorso teologico sono dunque Dio e l’uomo. La teologia parla di Dio “solo perché ed in quanto Dio ha parlato di Sé; essa non è un discorso (seppure nobile)suDio, ma è un pensare e un discorrere a partire dal fatto che Dio si è veramente comunicato e donato all’uomo” (pp. 28 – 29). L’uomo, da parte sua, è un viandante: “l’avvenimento umano del viaggio assurge a metafora illuminante nei confronti del senso della vita. Dal fatto occasionale di un viaggio testimoniato biblicamente, da un frammento di vita ci si apre alla comprensione della vita nella sua globalità: in essa infatti c’è un punto di partenza e un punto di arrivo, l’uno e l’altro interdipendenti” (p. 31). Tra Dio e l’uomo ci sono vari ponti, ma il cristiano ritiene che Cristo costituisca il caso esemplare di questa mediazione fra cielo e terra: “Gesù di Nazareth è, appunto, il capolavoro di Dio, la sua grande opera compiuta del settimo giorno” (p. 36). E “non è un caso che Gesù, il Risorto, ci presenti una dinamica nuova della vita, alla quale non siamo preparati” e che richiede, perciò, un profondo “cambiamento di mentalità” (p. 41).
Una vita rinnovata dall’accoglienza del vangelo nella concretezza quotidiana è caratterizzata, tra l’altro, dall’ebbrezza del canto (che “non solo consente il coinvolgimento di tutta la persona attraversata in tutto il suo spessore di conscio e di inconscio, di intelligenza e di sentimento nel ‘risuonare’ intimo ed esterno di un avvenimento ma rende anche possibile di entrare in ‘sintonia’ con gli altri, senza togliere, anzi intensificando la risonanza profondamente personale”, p. 47); dal travaglio della sofferenza (che, secondo Teilhard de Chardin , non è provocata dal peccato, ma da esso è resa ancora più insopportabile); dall’avventura del rapporto di coppia (che nella liturgia matrimoniale conosce non il compimento, bensì l’avvio di una lunga e incerta celebrazione); dall’esperienza di una comunità credente (a guida della quale potrebbe benissimo trovarsi una donna); dalla malattia (che, in fasi terminali, può comportare un’eutanasia intesa non tanto come “lasciar morire” quanto come un “con-morire” e un “lasciare che avvenga”, pp. 90 – 91).
Don Cosimo Scordato ha sempre vissuto la dimensione del “noi” (pp. 95 – 99) non esclusivamente all’interno dell’orizzonte ecclesiale. Il suo impegno, con laici di varia ispirazione, a fondare e gestire il Centro sociale (a-confessionale) “S. Francesco Saverio” all’Albergheria di Palermo ne è una delle numerose conferme. In questa esperienza sociale, ormai più che trentennale, si prova a coniugare un sano strabismo: un occhio alqui del territorio circoscritto di un quartiere, un altro al vasto pianeta dove avvengono mutamenti epocali (cfr. pp. 101 – 104). Attenzione al territorio significa anche, soprattutto ma non esclusivamente nel Meridione italiano, fare i conti con la violenza criminale organizzata. Come è avvenuto già ad alcuni fra i preti che non si sono trincerati nello stretto ambito liturgico-sacramentale (se non addirittura devozionale) ma hanno attivato una vera e propria “resistenza ecclesiale”: “la testimonianza martiriale di presbiteri come don G, Puglisi o don G. Diana, se non vuole essere considerata un incidente di percorso, va assunta allora in tutta la sua plausibilità e sensatezza; il loro impegno ordinario e quotidiano di parroci si è spostato dalla sagrestia al luogo di vita della propria comunità, accettandone tutti i rischi e pericoli; d’altra parte, non deve il pastore accompagnare le sue pecore ovunque si trovino? Qui lo scontro è stato considerato inevitabile da parte di chi si è considerato giudicato nella sua pretesa di assolutezza, di arroganza, di dominio” (p. 110).
Questi troppo rapidi cenni possono però, forse, bastare a misurare la veridicità di alcune righe che recentemente, “Repubblica – Palermo” del2.10.2018ha dedicato proprio alla figura del nostro autore in un pezzo dal titolo eloquente: Don Scordato, la furba saggezza che unisce le mille isole di Palermo. “ Questo brillante settantenne” – scrive Gery Palazzotto - “è la dimostrazione semplicissima di una cosa complicata: un saggio può essere furbo, difficile il contrario. La saggezza di don Scordato è un incrocio di cultura e passione. La grande preparazione teologica e la curiosità verso l'arte in tutte le sue forme hanno dato corpo alla sua voce anche in momenti complicati, lo hanno aiutato a navigare controcorrente nei canali impetuosi di una città arcipelago dove le mille isole delle diversità difficilmente vedono un traghetto. La sua furbizia è invece il mezzo col quale ha saputo mettersi al riparo dal fuoco di fila che gli si è scatenato contro ogni volta che ha deciso di affrontare una situazione difficile. Quando, ad esempio, invitò la sua comunità a pregare per una coppia di lesbiche che di lì a poco si sarebbero unite civilmente, si mosse con grande abilità in un campo minato. Fece esattamente quello che voleva, sollevò un problema senza mai pizzicare una dottrina che conosce assai meglio dei suoi detrattori. È questo il metodo Scordato: mai determinazione senza chiarezza, mai coraggio senza preparazione. In altre parole, imprudenza questa sconosciuta. L'uomo che ha ospitato Franco Scaldati e il suo teatro, che ha narrato la grandezza del Serpotta, che ha portato all'università ragazzi che prima non arrivavano manco alle elementari, che ha aperto alle assemblee cittadine e chiuso alla protervia della malapolitica, che ha inventato un ristorante e che ha usato l'accoglienza come arma contro la discriminazione, è un simbolo di ciò che noi potremmo chiamare globalizzazione della carità e dell'assistenza e che lui chiama più semplicemente mondialità. Dall'Albergheria al Congo alla Tanzania, la tela intessuta da Cosimo Scordato è fitta e senza strappi: una scuola qui, un pozzo lì, un pronto soccorso da un'altra parte. Sempre in movimento. I soldi non ci sono ma si trovano, perché la fiducia è una forma di fede (in Dio, negli altri, in se stessi). Ed è contagiosa. Non c'è isola di Palermo che non lo conosca e che non abbia qualcuno che frequenta le sue messe: borghesi e poveri, ricchi e pregiudicati, martelli e chiodi storti trovano a San Saverio le porte aperte”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Ottima sintesi. Complimenti, Cavadi! Grazie di esistere, a te e a don Cosimo!
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