10.11.2018
Uomini e dei. 19
CALAMITA’ NATURALI E COLPE DEGLI UMANI
Dai tempi di sant’Agostino (IV – V secolo), sino a quando andavo al catechismo per prepararmi alla Prima Comunione, alla domanda sul perché avvenissero cataclismi, terremoti, eruzioni vulcaniche e disastri naturali simili, la Chiesa cattolica rispondeva: “Conseguenze del peccato originale compiuto da Adamo ed Eva”. Il padre della Chiesa africano, immigrato a Milano, aveva dato la formula-chiave: “Da quando l’anima si è ribellata a Dio, il corpo si è ribellato all’anima e la natura si è ribellata al corpo”. Secondo molti teologi contemporanei questa spiegazione non regge più per almeno due ragioni. Il primo è che, studiando la Bibbia con metodi esegetici rigorosi, si scopre che essa non insegna questa concatenazione di cause ed effetti; il secondo è che l’evoluzione delle scienze antropologiche rende incredibile la tesi che una coppia primitiva, appena un po’ più evoluta dei primati, abbia potuto rendersi responsabile di scelte catastrofiche per la propria esistenza e per il destino di miliardi di discendenti umani.
La dottrina del peccato “originale”, scartata come dispositivo argomentativo per spiegare i fenomeni naturali che provocano enormi danni agli esseri umani (anche se si tratta di fenomeni che hanno una propria logica e svolgono una funzione evolutiva), va dunque gettata nel cestino dei rifiuti? Sinceramente penso di no. Essa, del tutto inaccettabile se si tratta di spiegare i comportamenti della natura, aiuta ancora a capire gli effetti dolorosi per noi uomini di quei comportamenti fisiologici (in sé innocenti). Le alluvioni di questi giorni, dalle Alpi alla Sicilia, ne sono una chiarissima, anche se dolorosa, conferma.
Infatti che le piogge provochino l’ingrossamento di fiumi e ruscelli, sino al punto da farli esondare sui terreni adiacenti, è un fenomeno in sé ‘normale’: non lo si può certo addebitare a chi sa quali peccati compiuti, milioni di anni fa, da sconosciuti progenitori abitanti in caverne. Che tali esondazioni distruggano case e stalle, soprattutto vite umane e di altri animali, non ha invece nulla di ‘normale’: è scandalosamente patologico. Ma accadrebbe se generazioni di cittadini avessero rispettato le leggi dello Stato e se, più radicalmente, le leggi dello Stato avessero rispettato le leggi della natura? Questa duplice insubordinazione possiamo anche chiamarla con termini meno teologicamente caratterizzati del vocabolo “peccato”; possiamo chiamarla arroganza, tracotanza, colpa, illegalità o a-legalità, delirio di onnipotenza, oblio dei propri limiti ontologici, ubriacatura antropocentrica, disprezzo della logica, ignoranza scientifica, sete smisurata di profitti, complicità nella corruzione tra governanti e governati…possiamo chiamarla come vogliamo ma, nella sostanza, è proprio ciò che indica il vecchio semantema “peccato”. Già all’alba della Modernità il filosofo inglese Francis Bacon avvertiva che la natura la si comanda solo obbedendole. In tantissimi campi, dall’inquinamento atmosferico all’insozzamento degli oceani con rifiuti plastici, istituzioni e privati – quasi re Mida maledetti - stiamo allegramente pervertendo tutto ciò che arriviamo a toccare. Possiamo continuare a sorridere ironicamente di “virtù” come la sobrietà, la capacità di autocontrollo, la temperanza, il gusto contemplativo, il rispetto delle leggi naturali e positive…; ma non possiamo pure stupirci se ogni tanto paghiamo il conto di tanta irresponsabilità. Non tutti allo stesso livello, ma tutti in qualche misura, siamo gli assassini di delitti vicini o lontani nello spazio e nel tempo.
E’ comodo versare, a puntate, lacrime di coccodrillo. Efficace, però, solo la “conversione” – qui e subito – verso stili di vita individuale e di governo pubblico che la saggezza laicamente alimentata dall’informazione scientifica ci impone ancor prima di eventuali consapevolezza religiose.
AUGUSTO CAVADI
1 commento:
Considerazioni illuminanti. Grazie.
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