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del 29.10.2018
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SI PUO’ ESSERE CRISTIANI E LAICI ?
Si può essere cristiani e laici ? Preciso subito che darò una risposta assai poco ufficiale: una risposta, intendo, che vale esclusivamente come testimonianza di un travaglio (in atto) del tutto personale, che non pretende di dare voce a nessuna chiesa (né cattolica né protestante).
Per rispondere con un minimo di sensatezza si deve chiarire l’accezione semantica dei due termini in gioco: “cristiano” e “laico”. Infatti, se si assumono nel significato abituale, dominante, la risposta è evidentemente negativa: non posso essere un cristiano e un laico nello stesso momento e nella stessa situazione. Ma ci sono altri modi d’intendere sia l’essere cristiano che l’essere laico.
Cristiano: in che senso ?
Per quanto riguarda il primo termine mi riconosco, essenzialmente, nell’asserzione fulminante di Nietzsche: “C’è stato un solo cristiano nella storia ed è morto in croce”. Infatti, dopo la crocifissione e la nascita delle prime comunità ebraiche convinte che il Maestro non fosse rimasto per sempre nello sheol(“regno dei morti”) ma fosse stato “risvegliato” a nuova vita da Jahvé, il primo autore di cui sono rimasti testi scritti è Paolo di Tarso, considerato non a torto il vero “fondatore del cristianesimo” (come recita il titolo del celebre libro di Charles Dodd): e tutti sappiamo quante volte gli scritti da lui vergati, o per lo meno a lui attribuiti, siano un’eco dell’insegnamento di Gesù e quante altre volte ne siano una deformazione o, almeno, una declinazione opinabile. Ma Paolo è solo l’inizio di una lunga storia bimillenaria che ha appesantito l’originario – semplice, essenziale – annunzio gesuano dell’imminenza del “regno di Dio” con una complicata costellazione di dogmi e con un pesante “fardello” di precetti e divieti morali. Un “fardello” che il mio amico Ortensio da Spinetoli, nel libro postumo pubblicato in questi anni, qualifica come “inutile” (nel titolo) e come dannoso (nel testo). Questo è un punto decisivo che meriterebbe ben più ampia trattazione (qualcosa l’ho pure scritto nel mio In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani). Mi limito a due osservazioni. La prima è sintetizzata nella ormai arcinota espressione di Alfred Loisy: “Gesù annunziò il regno e, invece, venne la chiesa”. Almeno da Hegel in poi sappiamo che il passaggio da movimento spontaneo a istituzione è fisiologico e che, senza la costruzione di una chiesa, oggi di Gesù non avremmo memoria (come non abbiamo memoria di tanti sedicenti messia prima, durante e dopo la vicenda storica di Gesù). Quindi, a mio modesto parere, i guai non sono dovuti alla nascita di una organizzazione ecclesiale, ma alle modalità con cui questa organizzazione è avvenuta. Il caso più eclatante è certo costituito dalla Chiesa cattolica, ma – in misura talora minore talaltra maggiore – nessuna delle altre Chiese cristiane di mia conoscenza è del tutto immune da queste modalità dottrinarie e pratiche. Perché? Cosa è successo? Qui, per brevità, passo alla seconda osservazione riprendendo la tesi di fondo de L’inutile fardellodel p. Ortensio da Spinetoli: da Paolo in poi il cristianesimo, sempre vigile nel condannare le eresie, si è configurato esso stesso come una prima, radicale, eresia rispetto a Gesù Cristo. La fatica teologica, ma anche pastorale e direi spirituale, dovrebbe essere concentrata nello sforzo di liberare Gesù dalla gabbia dorata dei dogmi e dei codici per restituirlo alla sua vera identità di “figlio dell’Uomo” che annunzia un messaggio assolutamente condivisibile da ogni essere umano di buon senso: la libertà, la uguaglianza dei diritti, la fraternità, l’apertura al Mistero, l’attenzione ai più deboli, la donazione gratuita…
E’ di questo cristianesimo - o se preferiamo di questo gesuanesimo– che ci chiediamo se possa entrare in conflitto con la laicità.
Laico: in che senso?
La risposta dipende dall’accezione semantica del secondo vocabolo-chiave: laicità. Nell’uso linguistico prevalente, la categoria della “laicità” si è costruita in senso negativo, polemico, antitetico: i “laici”, nella Chiesa cattolica, sono i “non-preti”; nella società, sono i “non-cattolici”; nel Consiglio superiore della Magistratura, sono i “non-magistrati”…Se questa accezione di “laicità” fosse l’unica, o almeno la migliore, possibile, il cristiano (nel senso gesuano in cui mi sono sforzato di determinarlo) non potrebbe dirsi “laico” perché, in quanto cristiano, non è l’opposto, il “non”, di nessuno. Ernesto Balducci l’ha saputo dire con rara efficacia: “E’ vicino il giorno in cui si comprenderà che Gesù di Nazareth non intese aggiungere una nuova religione a quelle esistenti, ma, al contrario, volle abbattere tutte le barriere che impediscono all’uomo di essere fratello all’uomo e specialmente all’uomo più diverso, più disprezzato. Egli disse: quando sarò sollevato da terra attirerò tuti a me. Non prima, dunque, ma proprio nel momento in cui, sollevato sulla croce, egli entrò nell’angoscia ed emise il suo spirito, spogliato di tutte le sue determinazioni. Non era più, allora, di razza semitica, né ebreo, né figlio di David. Era universale, com’era universale la qualità che in quell’annullarsi divampò: l’amore per gli altri fino all’annientamento di sé. E’ in questo annientamento per amore la definizione di Gesù, uomo planetario”. Da qui la conclusione, splendida, del presbitero cattolico che ci interessa: “Chi ancora si professa ateo, o marxista, o laico e ha bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentanze sul proscenio della cultura, non mi cerchi. Io non sono che un uomo” (così nel suo intramontabile L’uomo planetario).
Ma c’è un’altra accezione di laicità che non è incompatibile con questo modo di essere cristiani. E’ un’accezione in positivo, non-polemica. Norberto Bobbio ne è uno dei rappresentanti più convincenti che conosco. In questo senso, il laico è davvero – etimologicamente – uno del “popolo” (laos): uno che non ha né troni né cattedre. E’ uno che cerca di capire con la propria testa, che dialoga volentieri con chi la pensa diversamente, che promuove la solidarietà umana. Il mio amico Orlando Franceschelli, “naturalista” ateo o per lo meno “scettico”, ne ha delineato ancora una volta l’identikit nel suo libro più recente (In nome del bene e del male): sperimenta e testimonia “il bene della laicità” ( o “la virtù della laicità”) chi, in una prospettiva “non ostile alle e non condizionate dalle fedi religiose”, identifica il “sommo bene con la fioritura della felicità possibile a cui ogni essere senziente aspira, e del sommo male morale con l’indifferenza egoistica verso la sofferenza a cui ogni essere senziente è esposto”.
Con questo modo di intendere la fede cristiana e con questo modo di intendere la laicità penso alla domanda iniziale si possa rispondere: non solo si può essere cristiani e laici, ma – secondo la testimonianza storica di Gesù (che non fu né sacerdote né teologo cattedratico) - lo si deve.
Augusto Cavadi
3 commenti:
Ecco, io per anni ho tenuto sul giornalino della parrocchia una paginetta intitolata "opinioni di un laico". Mi ritrovo esattamente in quello che dici. Grazie Mauro Avi
Che bello trovare le parole per esprimere quello che condivido appieno attraverso le tue splendide parole!
Caro Augusto,
il problema che sollevi è di estrema importanza e attualità, direi soprattutto umana. Lo vivo quotidianamente a Vicofaro nel Centro di accoglienza. Mi ha all'inizio quasi sorpreso che la stragrande maggioranza dei collaboratori si definiscano "laici" o "non credenti" o addirittura "atei". Allora mi sono domandato: perché si impegnano in un servizio che ha come sede proprio una chiesa, quella di don Massimo Biancalani, ormai notissimo "prete pro-migranti"? Proprio nel lavoro giornaliero fianco a fianco, ho imparato che l'umanità di Cristo - sottolineata continuamente in tanti passi del Vangelo - ci accomuna tutte/tutti aldilà delle differenze di sesso, di opinioni, di grado di istruzione in una continua ricerca di senso alla vita che viviamo. Grazie della tua riflessione.
Mauro
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