sabato 24 novembre 2018

DAL SEMINARIO DI FIRENZE: LA FILOSOFIA NEI LUOGHI DELLA SOFFERENZA

www.zerozernews.it 
24.11.2018

Gianfranco D'Anna mi ha chiesto, gentilmente, un pezzo sull'esperienza che sto vivendo a Firenze in questi giorni e l'ha ospitato sul suo blog giornalistico. 
Qui di seguito il testo originario spedito da me (al netto di alcune foto e di alcuni titoli e sottotitoli da lui scelti).
                                                             ***
E’ in corso in questi giorni a Firenze uno dei Seminari nazionali periodicamente organizzati da “Phronesis” 
(http://www.phronesis-cf.com), la più antica e la più prestigiosa associazione professionale di consulenti filosofici in Italia. Questo convegno (intitolato “Esperienze. Filosofia in azione”)  è incentrato sul racconto di alcuni filosofi consulenti che svolgono, ormai da anni, la loro attività con operatori in ambito sanitario, con parenti di malati gravi o con detenuti nelle carceri. Ma in cosa consiste, propriamente, il lavoro di un consulente filosofico?
       Non è facile rispondere. Bisogna, infatti, smontare alcuni   pregiudizi su questa professione fondata una quarantina di anni fa in Germania da Gerd Achenbach e importata in Italia, due decenni or sono, da alcuni pionieri come Neri Pollastri. Nell’immaginario collettivo, infatti, un consulente filosofico viene scambiato con molte altre figure, non del tutto lontane dalla sua, ma quasi mai identificato per ciò che davvero è. Certe volte lo si immagina come un esperto di filosofia a cui rivolgersi nel caso che, leggendo testi filosofici, ci si imbatta in passi oscuri: ma questo è il compito tradizionale dei professori di filosofia. Altre volte lo si ritiene uno psicoterapeuta,  o meno impegnativamente un counselor,  che usa gli strumenti classici della tradizione filosofica: ma il consulente filosofico non ha né l’intenzione né i mezzi per curare chi bussa alla porta del suo studio così come non intende consigliare, orientare, supportare emotivamente nessuno. 
        E allora? Per quanto strano possa sembrare, il consulente filosofico è – essenzialmente e semplicemente – un filosofo che si mette a disposizione di chiunque voglia affrontare la propria vita consapevolmente. E’ un filosofo che, invece di dedicarsi esclusivamente o prevalentemente a formare nuovi filosofi (a questo pensano già le università e le accademie), si dedica a chi non è filosofo – anzi, spesso, non ha mai aperto un libro di filosofia in vita sua – ma non per questo vuole rinunziare a pensare con la propria testa: a vivere i passaggi problematici dell’esistenza (una difficoltà matrimoniale, un dilemma etico nel lavoro, un periodo di malattia…) non chiudendo gli occhi e gettandosi in avanti in nome del “come va, va”, ma aprendoli bene e cercando di capire con maggiore lucidità possibile a quali personali criteri di giudizio intende ispirarsi. L’ospite o visitatore o interlocutore del filosofo consulente (dovrebbe essere ormai chiaro perché non si chiama cliente né tanto meno paziente) è uno che non intende vivere alla giornata, seguendo passivamente le tradizioni del passato o le mode del presente, ma è deciso ad avere una propria visione-del-mondo maturata criticamente  e a sforzarsi di condurre l’esistenza in coerenza con le proprie concezioni. 
   Quali risultati ci si aspetta da uno o più colloqui (in nessun caso una serie “interminabile”) con il consulente filosofico? Di diventare un po’ filosofi; di imparare a guardare le proprie situazioni problematiche da punti di vista insoliti; di maturare, senza fretta, una propria saggezza (questa è la traduzione più ricorrente della parola greca “phronesis”) che non elimina gli interrogativi anche angoscianti ma consente di convivere con essi dignitosamente. 
   Le esemplificazioni di questi giorni sono illuminanti. Medici e infermieri hanno a che fare ogni giorno con la sofferenza e con la morte; congiunti di ammalati di Alzheimer o di tumori maligni sono sottoposti ogni giorno a dubbi pesanti; detenuti in galera per reati più o meno gravi sono quasi costretti dalla condizione di isolamento dal contesto affettivo precedente a ripensare il film delle proprie scelte: i filosofi consulenti non possono certo offrirsi come juke-box in grado di rispondere alle esigenze di senso, esplicite o represse, che assediano questi concittadini. Ma possono mettersi al loro fianco, anzi meglio al loro cospetto, e co-riflettere insieme a loro affinché ciascuno, gradualmente, intraveda una propria interpretazione degli eventi che sperimenta.
  Che esista una professione del genere ancora molti non lo sospettano neppure e, tra quei pochi che vengono ad apprenderlo – forse anche per via di un articolo come questo che state leggendo – sono ancora di meno quelli che vogliono fruirne: nella società del pret à porter è molto meglio cercare un guru o un coach onnisciente o un esperto (più o meno televisivo) a cui delegare la fatica della risposta. Tuttavia ci sono anche in Italia persone che, in assetto uno-a-uno o in piccole comunità di ricerca, non intendono rinunziare al diritto/dovere di riflettere, di confrontarsi in condizioni di assoluta libertà di parola, di trasformare il mondo trasformando intanto il piccolo pezzettino di mondo costituito dalla loro vita e dalla vita delle persone con cui sono in relazione quotidiana.  Habermas le chiama “minoranze morali” e confida che la loro azione capillare possa, gradualmente, incidere sulla macro-politica: sulle decisioni epocali che riguardano la distribuzione delle ricchezze all’interno degli Stati e fra gli Stati,  i flussi migratori, gli organismi internazionali destinati a eliminare definitivamente la possibilità di conflitti militari, il futuro dell’ambiente. 

Augusto Cavadi 
www.augustocavadi.com


https://www.zerozeronews.it/filosofia-e-intelligenza-artificiale-snodo-esistenziale-dellumanita/

3 commenti:

Maria D'Asaro ha detto...

Ecco il possibile spunto per la mia (futura) tesi da aspirante counsellor: quali i punti di contatto e quali i punti di differenza tra il counsellor (generico!) e il consulente filosofico?

armando caccamo ha detto...

dopo vent'anni il fatto che ancora non ci siano idee condivise sul significato di "consulenza filosofica", significa che si fa fatica a pensare che l'uomo 'non filosofo' possa vivere la sua vita 'filosoficamente'. Si dovrebbe coniare un altro termine che sostituisca la parola "consulente". Il consulente (counsellor) è inteso come la persona che, spesso professionalmente, da consigli, indirizza il cliente (o l'interlocutore) a prendere una decisione anziché un'altra, forte del fatto riconosciuto di essere competente di una materia o di un'altra. A mio parere il "consulente filosofico" invece non consiglia, non indirizza ma aiuta a far trovare un metodo per poter scegliere un comportamento o un altro che sia più soddisfacente per vivere serenamente e questo metodo è il "metodo filosofico razionale si, ma che da conto anche l'emozione che con la ragione si accompagna vivendo. Il metodo è neutro, non da soluzioni, il metodo è un cammino in cui con ci sono tappe precise o traguardi determinati ma spesso la scelta del cammino può aiutarci a farci capire che le tappe si possono trovare in cammino, come quando ci si ferma attratti da un panorama mentre si percorre una strada di montagna, a volte un panorama ci può salvare la vita. Grazie ad Augusto e a Maria.

a.c. ha detto...

Scusatemi, ho scritto il commento precedente "di getto" e qualche errore di forma ci può stare!