martedì 23 ottobre 2018

LA RIVOLUZIONE ECOLOGICA: IDIOZIA E RISPETTO

La mia conversazione a Martina Franca (Taranto), posso la Fondazione "Miceli", per la "Giornata del creato", l'ho tenuta sulla base di questi appunti che sono stati gentilmente ospitati sul blog del mio amico Gianfranco D'Anna.

23.10.2018
                          
LA RIVOLUZIONE ECOLOGICA

      Ecologia è una delle tante parole condannate, dal successo, a essere banalizzate. L’hanno  usata all’inizio  scienziati e filosofi, poi politici e artisti; e ancora  imprenditori nel campo dell’industria e del commercio…sino ai teologi e al papa. Ma che significa etimologicamente? Come la bio-logia è lo studio della vita e la psico-logia è lo studio dell’animo, così,  letteralmente, l’eco-logia sarebbe lo studio della “casa” (oicos-logos). Ma delle nostre case non si occupano forse geometri e muratori e – nei casi più raffinati – architetti e ingegneri? Eppure non siamo abituati a chiamarli “ecologi”. 
    L’obiezione ci spinge, dunque, a riflettere più in profondità. Noi uomini abitiamo case costruite da uomini e per questo ci appartengono: possiamo modificarle a nostro gradimento, restaurarle, abbellirle, ingrandirle; persino abbatterle e ricostruirle. Ma queste case non potrebbero costruirsi senza un contesto più ampio: il terreno in cui si scavano le fondamenta e il sole che riscalda l’aria; le montagne che forniscono le pietre e i boschi da cui proviene la legna, l’acqua per impastare il cemento e il fuoco per cuocere i mattoni…Insomma: le nostre micro-case (che siano trulli medievali o grattacieli iper-moderni) riposano cullate sul grembo di un’unica macro-Casa che è il cosmo.
     L’ecologia ci ricorda, innanzitutto, una follia generalizzata: ogni individuo, ogni famiglia, si concentra sulla cura della propria casetta dimenticando abitualmente la cura della grande casa. E’ una follia perché – frane e alluvioni ce lo ricordano tragicamente – nessuna casetta minuscola può sopravvivere se la Casa maiuscola è trascurata, violentata.  Come guarire da questa follia suicida?
        Innanzitutto liberandoci dai condizionamenti mentali della tradizione individualistica in cui siamo stati allevati: dalla mentalità per cui ci interessiamo di ciò che è nostro, che ci appartiene, e trascuriamo ciò che è comune. L’ambiente naturale non è proprietà privata, ma bene comune: e, secondo la maleducazione borghese in cui siamo cresciuti, ciò che è comune non lo intendiamo “di tutti” e dunque “di ciascuno” bensì: “di tutti” e, dunque, “di nessuno”. Questa concentrazione miope sul proprio orticello è, tecnicamente, “idiota”: infatti l’aggettivo deriva dal greco idion che significa “proprio”, “particolare” (insomma il contrario di “comune”, di “generale”). Ed è idiotaper almeno due ragioni: innanzitutto perché non capisce che non si può stare a lungo bene nella propria casetta se il territorio intorno a noi è inquinato, è sporco, è deprivato di verde…Abbiamo inventato il vocabolo “appartamento” per indicare un’abitazione all’interno di un condominio, di un palazzo a più piani: ma ci possiamo veramente “appartare” dentro le quattro mura di casa senza preoccuparci se un  vicino dimentica di chiudere il rubinetto dell’acqua o del gas?  Se l’abitazione del piano-terra manifesta lesioni alle pareti? Ma c’è una seconda ragione: la mentalità che privilegia il “privato” sul “pubblico” non sa che – appunto – si “priva” (come ha notato Hanna Arendt) di esperienze preziose, di ricchezze umane. Quello che è “mio”, se lo contrappongo a “nostro”, mi privadella gioia di condividere, di cooperare: mi impoverisce di relazioni umane, senza le quali non c’è serenità d’animo né ancor meno felicità. 
   La tradizione individualistica, con l’esaltazione ossessiva della proprietà privata, si radica a sua volta in un errore: l’illusione che la nostra povertà originaria si possa colmare moltiplicando il possesso (materiale, legale) delle cose. Ma è comprando tutti i giardini della mia nazione che soddisferò la sete di profumi e di colori, la sete di bellezza? Un antico aneddoto cinese narra di un imperatore che, sceso in giardino e vedendo una rosa particolarmente attraente, esclama: “Oh, la mia rosa!”. E il giardiniere sorrise. La rosa è del proprietario giuridico del giardino o di chi la pianta, la innaffia e la cura ogni giorno, ne segue ammirato la fioritura? Per quanto strano possa sembrare, la comunione con l’universo non si stabilisce con i contratti d’acquisto o d’affitto, ma con l’esercizio della conoscenza e della contemplazione. La rosa appartiene molto più al giardiniere, che la conosce e la contempla, di quanto non appartenga all’imperatore che la possiede legalmente. In questa verità riposa il segreto del “rispetto” per la natura. Rispettare significa, etimologicamente, guardare (in latino respicere): al punto che “mi guardi il gregge” o “mi guardi il nipotino” significa, in italiano, “mi custodisci il gregge”, “mi proteggi il nipotino”.  Se l’umanità perde, ammesso che l’abbia mai avuto, il senso autentico e originario di “rispetto”, il mondo diventa solo un’immensa riserva di materiale da utilizzare. La convinzione che, nella grande Casa comune (il cosmo), le cose più preziose non siano privatizzabili (l’aria, il cielo, il mare, l’acqua dei ruscelli, il sole, la luna, le stelle…) sta già cedendo il posto all’idea che alcune Multinazionali possano privatizzare l’acqua potabile oggi, la luna e le stelle domani. Dobbiamo impegnarci politicamente, almeno, per battaglie come questa: ma il fallimento di tanti schieramenti elettorali “verdi” ci conferma che nessuna battaglia politica sarà portata sino in fondo se non si baserà su solidi presupposti antropologici, etici. Anche in questo campo, la rivoluzione non può non partire da noi, dalle nostre individualità e più ancora dalle nostre comunità. 

    Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com

https://www.zerozeronews.it/rivoluzione-e-ecologia-prendersi-cura-dellambiente-e-rispettare-la-natura/

2 commenti:

Unknown ha detto...

Caro Augusto tutto giusto ma c'è un'asterisco. La casa e il mondo restano comunque mezzi o risorse e non si possono confondere coi fini, che possono "sublimarsi" in Senso e certo tu sai di che sto parlando.... Sarò anche tragico ma se per quel Senso dovessimo sacrificare la natura e il mondo? Io, in tutta franchezza, lo farei.

Anonimo ha detto...

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