16.8.2018
RITA BORSELLINO: NON SOLO “LA SORELLA DI PAOLO”
Subire l’assassinio per mano mafiosa di un familiare è un’esperienza doppiamente dolorosa: per la perdita del congiunto e per l’assurdità della motivazione. Un’esperienza che la vita ha risparmiato a me, ma non a una miriade di amici, conoscenti, colleghi di scuola, alunni…Il familiare di vittima di mafia è ormai una vera e propria tipologia sociale su cui moltissimi – più o meno attrezzati culturalmente – hanno avuto da criticare, da consigliare, da commentare.
La morte di Rita Borsellino costituisce un’occasione inevitabile per riflettere su ciò che è successo, che succede e che (si spera) non debba più succedere: ma a patto di limitarsi a considerazioni oggettive che prescindano, rigorosamente, dal giudizio sulle coscienze individuali nel cui sacrario è sconcio voler penetrare.
Schematizzando molto, la fenomenologia del parente di mafia registra tre sottogruppi principali. Al primo appartengono quanti sono stati ammutoliti dal dolore, paralizzati dallo sgomento e dalla rabbia: soggetti sensibili, temperamenti particolarmente delicati, che si sono chiusi in un riserbo senza fessure e senza eccezioni. Ad altri – che si collocano in un sottogruppo per così dire opposto – questo ripiegamento nel privato è sembrato quasi una resa alla prepotenza mafiosa: hanno ritenuto opportuno proseguire e rilanciare la battaglia dei congiunti caduti, assumendo ruoli pubblici sempre più vistosi e impegnativi. Non di rado hanno acconsentito all’invito degli schieramenti partitici di candidarsi ai consigli regionali o direttamente al Parlamento, organi istituzionali nei quali per la verità non si sono mai segnalati per particolari doti di propositività.
Tra i silenziosi appartati e gli impegnati esposti si è andata distribuendo una serie – per così dire intermedia – di persone che hanno, faticosamente, cercato un proprio equilibrio. Rita Borsellino è stata, a mio avviso, tra quelle persone che lo hanno anche trovato. Da una parte, infatti, non ha accettato di continuare a svolgere il ruolo di madre e la professione di farmacista come se nella sua cerchia familiare non fosse successo niente di anormale. Ma – vorrei sottolineare questo aspetto che mi consta personalmente - sin dai primi mesi successivi alla strage di via D’Amelio del 1992 ha capito che onorare la memoria e l’impegno del fratello Paolo non significava accontentarsi di sbandierare il cognome Borsellino come un brand autosufficiente. Questo l’avrebbe esposta a essere strumentalizzata da gruppi politici di vario colore e, in ogni caso, al rischio di dire sulla mafia e sull’antimafia delle sciocchezze trite e ritrite. Perciò ha iniziato un percorso, radicato in un atteggiamento di sincera consapevolezza dei propri limiti, di studio e di azione nel sociale.
Ciascuno di questi tre aspetti merita una breve sottolineatura. La consapevolezza dei propri limiti o, nel linguaggio di una cattolica democratica sincera come lei, l’umiltà: una caratteristica davvero rara in tanti parenti di vittime di mafia che si sono, spesso sinceramente, illusi che la propria vicenda esistenziale costituisse di per sé un titolo di competenza e di autorevolezza. “Mio padre diceva sempre…mio fratello pensava che…mio marito riteneva che…”: e giù luoghi comuni, talora vere e proprie castronerie, che gli illustri congiunti defunti avrebbero avuto difficoltà a sottoscrivere. Rita non era così banale. Ricordo la sorpresa di una sua telefonata non molto tempo dopo il 1992 quando ricevette l’invito del Parlamento europeo a fare un intervento sulle donne e il sistema mafioso: “Non vorrei dire cose scontate, retoriche. Se hai delle idee, mi passi qualche appunto?”. Glieli passai volentieri e soprattutto, per non cadere nell’errore che lei voleva evitare per sé, le suggerii dei testi scritti da altre donne che da molti anni riflettevano sull’argomento. Dunque l’impegno serio, quotidiano, a informarsi sulla storia della mafia e sulle analisi scientifiche che si andavano producendo: ai convegni partecipava, prima che come testimonial, come attenta ascoltatrice e direi quasi discepola.
Questa stessa serietà la indusse a scegliere, come campo d’azione, non l’adesione a un partito (che le avrebbe fornito senza problemi uno scranno in Parlamento) bensì a un’associazione, anzi a un’associazione di associazioni antimafia come “Libera”. Molti ricordano la sua candidatura alla Presidenza della Regione e alla Sindacatura di Palermo, ma dimenticano due caratteristiche fondamentali: non furono candidature di un partito, bensì richiestele per superare conflitti e particolarismi di varie sigle “progressiste”; soprattutto, furono candidature che vennero dopo molti anni di volontariato antimafia che la videro pellegrina su e giù per l’Italia. La sua libertà interiore da cariche onorifiche, più o meno remunerate, fu totale: e quando si andò profilando un compromesso con i suoi principi etici non ebbe esitazione a dimettersi persino dalla vice-presidenza di “Libera”.
Insomma, Rita Borsellino ha segnato una strada che – senza diventare canonica per nessuno – può costituire un’ipotesi per quanti, più o meno prossimi a vittime di mafia, intendono evitare sia una clausura che potrebbe sembrare rinunciataria sia un iperattivismo che potrebbe sembrare carrieristico.
Augusto Cavadi
ALLEGATO da un mio commento su FB:
Allora si disse che non era il caso di votarla perché era una donna, era sorella di un magistrato ucciso (dunque sospetta di carrierismo sulla pelle di un familiare illustre) , non aveva un'esperienza politico-partitica alle spalle e non garantiva ai cattolici la "difesa dei valori non negoziabili". In qualsiasi Paese di buon senso i quattro demeriti sarebbero state delle ragioni decisive per votarla. La maggioranza dei siciliani preferirono Cuffaro: un maschio, un sospettato di collusioni mafiose (poi confermate in due gradi di giudizio), un praticone che aveva scalato piano piano tutte le gerarchie politico-partitiche e un cattolico doc che, appena eletto, ha consacrato la Sicilia alla Madonna delle lacrime di Siracusa (il dettaglio delle lacrime era l'unica opzione davvero indovinata). Adesso quella maggioranza di siciliani maschilisti, paramafiosi, clientelisti e bigotti avranno il buongusto di tacere? Spero di sì ma temo di no.😥
1 commento:
Grazie di queste considerazioni. E del bel ricordo che ci consegni di Rita Borsellino.
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