"Repubblica" (Palermo)
20.7. 2018
L’ALTALENA DEI PROFESSORI FRA ESSERE CERBERI E "GENEROSI"
Da una parte voti altissimi agli esami di maturità (cui corrispondono numeri incredibilmente esigui di non promossi) e, dall’altra, risultati pessimi degli alunni siciliani alle prove Invalsi (italiano, matematica e inglese) . Fabrizio Lentini, su “Repubblica” di qualche giorno fa, ha, giustamente, indicato a dito i molti difetti strutturali dell’offerta scolastica nel Meridione. Ma , dopo più di sessant’anni trascorsi nelle aule da studente prima, da docente dopo, qualche altro elemento – meno appariscente - per interpretare questi dati schizofrenici non è impossibile elaborarlo.
Facendo salva l’onestà soggettiva della quasi totalità dei colleghi (le mele marce non mancano in nessuna categoria professionale, anche se incontrarle in alcune fa più male che in altre) c’è da registrare – lo faccio nelle sedi più disparate da decenni e con decrescenti speranze di essere condiviso – una sorta di perenne “doccia scozzese” pedagogica cui vengono sottoposti gli alunni dalla prima elementare all’ultimo anno della secondaria. Mi riferisco all’alternarsi, sfibrante e diseducativo, di terrorismo demotivante (nei nove mesi di scuola) e di indulgenza buonista (nelle ore degli scrutini finali). Modi da cerbero, toni di rimprovero, minacce di ogni genere; poi, alla fine, promozioni (magari con qualche materia da studiare in estate) per tutti.
Intuisco – l’ho ascoltata tante volte – l’obiezione: ma perché un professore dovrebbe essere severo sino alla durezza e poi, in extremis, diventare elastico sino alla cedevolezza? L’esperienza risponde senza difficoltà: essenzialmente è questione di debolezza caratteriale. Se tu sei insicuro, sai di essere in difetto o come preparazione disciplinare o come coerenza civica ed etica, ti viene spontaneo mostrarti aggressivo: sostituisci con l’autoritarismo l’autorevolezza che ti difetta. Poi, al momento di tirare le fila, o spontaneamente o su pressione dei colleghi e del dirigente scolastico, è facile che la tua stessa debolezza caratteriale ti induca alla clemenza permissiva.
Non così avviene se fai del tuo meglio tutto l’anno , non hai la presunzione di mostrarti infallibile, riconosci volentieri i tuoi errori, obbedisci per primo alle regole che concordi all’inizio dell’anno con la classe: puoi lavorare con allegra serenità, non avverti il bisogno di imporre un rispetto che ti viene rivolto spontaneamente. E al momento degli scrutini sai di non essere il “padrone” di nulla, ma il modesto analista dei risultati raggiunti. Se sono buoni, te ne rallegri con l’alunno e con te stesso; se sono insufficienti, lo riconosci umilmente con l’alunno e con te stesso. Il medico generoso non è quello che falsifica la diagnosi per non fare preoccupare il paziente e i familiari: se ne è capace, modifica e adegua la terapia. Quanti scimmiottatori di don Lorenzo Milani! Egli non diceva ai ragazzi di far finta di essere bravi come i compagni benestanti, ma si metteva accanto a loro a lavorare il doppio per rendere effettivamente bravi, dal punto di vista scolastico, gli svantaggiati socio-economicamente.
I nostri ragazzi avrebbero diritto a una scuola più motivante, meno pesante (troppe le ore di lezione mattutine e troppi i compiti a casa !); ma poi anche a una valutazione oggettiva, in decimi e frazioni di decimi (come in tutti i Paesi occidentali di cui ho conoscenza). Avrebbero diritto a pezzi di carta che non siano squalificati dall’inflazione. Secondo la normativa, 100 alla maturità significherebbe che uno studente ha raggiunto il massimo in tutte le prove dopo un curriculum esemplare; nella prassi, al contrario, chi ha svolto bene qualche prova e discretamente qualche altra, urla all’ingiustizia cosmica se – per caso - non trova la commissione che gli regala lo stesso 100 meritato dal compagno eccezionale. Soprattutto, per non crescere né presuntuosi né scoraggiati, avrebbero diritto a un’opinione pubblica che non chiami “buono” il maestro debole né “cattivo” il maestro preparato che misuri con relativa verità le prestazioni scolastiche di ciascun alunno; che impari, insomma, a leggere la serietà professionale dell’insegnante non come un’alternativa all’affetto per il ragazzo, ma proprio come il modo più appropriato ed efficace di esercitarlo.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Da collega, condivido nella sostanza le tue riflessioni.
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