“Il Gattopardo”
(Sicilia)
1.7.2018
IL SENSO DELLA MORTE NELLA TRADIZIONE SICILIANA
Il turista può imparare molto, anche su di sé, da un siciliano capace di osservare e di riflettere. Ma almeno altrettanto può imparare, sulla propria fisionomia culturale e psicologica, un siciliano da un turista saggio e acuto (come sono spesso i grandi artisti). Questa considerazione mi è tornata in mente leggendo delle note del regista Wim Wenders, autore del film Palermo shooting: “Non credo di conoscere nessun'altra città in cui il senso della vita è così forte. Forse perché è altrettanto forte il senso della morte. Solo a Palermo il protagonista capisce come vivere il presente. La questione del tempo sta diventando centrale nella mia vita. E ogni volta che vengo a Palermo per me significa fare un salto in un tempo diverso: è come se in questa città si fosse costretti a entrare in contatto con il tempo presente. Qui ci sono le catacombe, la festa dei morti, un dipinto come Il trionfo della morte, un affresco che è stato come un enorme testo per il film. Io credo che una città possa avere un forte diritto alla morte solo se ha un forte rapporto con la vita”.
Ho trovato le parole del regista tedesco interessanti da più punti di vista.
Innanzitutto valgono un po’ per l’intera Isola e non solo per il capoluogo: se solo Palermo ha catacombe e affreschi rinascimentali dedicati alla Signora del nulla con la falce in mano, in tutto il resto della Sicilia è ancora diffuso il culto dei morti e gli stessi protagonisti del racconto evangelico (Gesù, la Madonna e Giovanni Battista in primis) sono rappresentati e venerati o da morti o da “addolorati” per la morte altrui. Così come in tutta la regione, nella notte fra il 1 e il 2 novembre, ai bambini i parenti defunti portano doni di ogni specie: una sorta di strategia pedagogica per legare il dolore e il lutto alla sorpresa gioiosa. Sino ad oggi, almeno, l’ Halloween statunitense si è aggiunto, senza scalzarla, alla notte dei regali dall’aldilà.
Questo senso così egemone, talora soffocante, dell’imminenza della morte può spiegare – come ci suggerisce inoltre Wenders – una concentrazione sul “presente”: ma di che genere è questa “concentrazione”? C’è qualcosa di animalesco in essa. E, dunque, secondo i gusti personali di ognuno di noi, di attraente e di preoccupante. Il siciliano, spesso, cancella ogni progettualità per il futuro. Non mette da parte volentieri il denaro, non ama rinunziare all’uovo oggi per avere la gallina domani: ciò lo difende dall’avarizia, ma lo espone all’imprudenza. Difficile che rinunzi a spendere tutti i risparmi degli ultimi dieci anni per una strabordante mangiata con familiari e amici in occasione di battesimi o prime comunioni o nozze: sarebbe davvero da ingenui ignorare che, in questi casi di spreco, la fede in senso religioso giochi un ruolo trascurabile rispetto alla motivazione edonistica dell’afferrare il giorno che sfugge.
Più in generale, ciò che Wenders non scrive, ma che a me palermitano risulta evidente, è che questa familiarità con la prospettiva della morte, anche improvvisa, ha agito e agisce nella società siciliana come una lama a doppio taglio. Da una parte, infatti, sostiene e incentiva lo sprezzo della vita (propria oltre che altrui) di tanti criminali, specie se organizzati in cosche mafiose; ma, dall’altra, sostiene il coraggio di tantissime persone – uomini e donne – che hanno affrontato lo strapotere mafioso con la piena consapevolezza dei rischi che correvano e che corrono.
Augusto Cavadi www.augustocavadi.com
1 commento:
A proposito del siciliano che non progetta il suo futuro, faccio notare che le nostre parlate dialettali mancano del verbo al tempo futuro.
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