E' in libreria, in questi giorni, Palermo. Una guida (Odòs, Udine 2018, pp. 269, euro 14,50) di Felicia Manasseri: un testo elegante, accurato, documentato. E - particolare non trascurabile - corredata da cartine topografiche e belle fotografie. Davvero utile, insomma, per chi voglia esplorare la nostra complessa città. Ospita anche alcune testimonianze di persone legate, a vario titolo, alla città siciliana; tra cui la mia (alle pp. 75-78) che riporto qui di seguito.
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Palermo sembra una città, in realtà è un arcipelago di città (con pochissimi ponti, talora nessuno, fra un’isola e l’altra). Nonè possibile conoscerla tutta se hai meno di venti anni di tempo a disposizione (io ne ho avuto quasi settanta e ancora non sono riuscito a esplorarla per intero). Se sei un visitatore che già conosce i luoghi-cartolina (giustamente celebrati nelle guide in ogni lingua del mondo), ma vuole mettere il naso in posti insoliti che valga la pena vedere una volta nella vita, ti suggerirei:
1. Non lontano dalla stazione ferroviaria centrale cerca il complesso dello Spasimo. Troverai una chiesa mozzata che, a sua volta, mozza il fiato: non ha cupola e nessuno ha stabilito con certezza se non l’ha più perché è crollata o se non l’ha avuta mai. Ma dentro e intorno s’inerpicano arrampicanti e si slanciano fusti d’albero; e di notte puoi parlare con le stelle. Me la fece scoprire, una sera di maggio, una ragazza di cui ero innamorato: purtroppo, oltre questa dritta, non ebbi null’altro di lei da conservare in memoria.
2. Dallo Spasimo, rigorosamente a piedi (e facendo moderata attenzione a zainetti, macchine fotografiche e accessori vari), puoi curiosare per il centro storico – uno dei più grandi e meno valorizzati d’Europa – in cerca di uno degli oratori impreziositi dagli stucchi di Giacomo Serpotta. Come questo diavolo l’artista, a cavallo fra il Seicento e il Settecento, abbia impastato le figure di donne e di bambini è un segreto che ha portato con sé nella tomba. Tu entra e stupisciti (se non sai quale scegliere, comincia dall’Oratorio di san Lorenzo in via Immacolatella), ma a patto di non essere in preda a strani appetiti: qualche volta vi ho accompagnato ospiti poco raccomandabili, ma sinceri, che mi hanno confessato che quei puttini danzanti, con i sederini nudi in aria, stimolavano in loro la voglia di addentarli e in qualcuno perfino di peggio.
3. A meno di un chilometro dall’Oratorio serpottiano puoi immergerti nel clima orientale di un suq (o, come scriviamo di solito in italiano, suk) inoltrandoti lungo il mercato plurietnico di Ballarò. E’ uno dei pochi posti in Europa a resistere (parzialmente almeno) alla globalizzazione: molta frutta, molti colori, molti odori, molta immondizia e soprattutto molte grida che puoi incontrare qua li trovi in poche altre città occidentali. La donna della mia vita insegnava nelle scuole elementari incistata in questa Bailamme quando l’ho conosciuta e, da allora, ho imparato a perdonare molte cose a chi vi abita, vi fatica onestamente o vi delinque abitualmente. Se poi vuoi vedere come dovrebbe essere, e solitamente non è, una celebrazione eucaristica cattolica – specialmente se i tuoi ricordi in proposito sono tanto vaghi quanto lontani – alle 11 e trenta della domenica puoi curiosare dentro la Chiesa di San Francesco Saverio e accertarti che, come al solito, tenga l’omelia don Cosimo Scordato (che prima o poi si decideranno a proclamare patrimonio vivente dell’umanità…).
4. A piedi o con un bus di linea urbana (evitare i taxi che, soprattutto per questa meta, chiedono cifre fantasiose) raggiungi il santuario di santa Rosalia su Monte Pellegrino. Ma, mentre tutti saliranno i numerosi scalini per visitare la grotta con la statua della santa in orizzontale (niente di imperdibile, ma una volta che sei là perché non visitarla?), tu procedi a piedi per circa un chilometro verso la piazzuola in cui campeggia una santa Rosalia in verticale (ancor meno imperdibile della precedente), ma da cui si ammira un panorama davvero incantevole: da una parte il golfo di Mondello, dall’altra il porticciolo di Vergine Maria (a pochi passi dal quale ho il privilegio di vivere e meditare), il cimitero dei Rotoli e in prospettiva l’intero golfo di Palermo. Quando volevo far colpo a una ragazza, specie se ospite della città, la conducevo su questa terrazza e – immancabilmente – le citavo le righe di Goethe su quel promontorio, a suo dire “il più bello del mondo”. Per ragioni anagrafiche le mie incursioni a quell’altezza si sono fatte sempre più rare…
5. A proposito di panorami: da dove osservare la città di Palermo in tutta la sua estensione? Già chi sale verso la sommità del Monte Pellegrino potrà rubare scorci notevoli. Ma ci sono almeno due altre postazioni che offrono prospettive alternative. La prima è la villa pubblica di Monreale, alla destra della porta principale (solitamente serrata) del Duomo (insomma accanto all’ingresso del Chiostro): la vista è ampia ma intravedere, fra una costruzione abusiva e l’altra, gli agrumi della devastata Conca d’Oro, fa male al cuore (la mafia non ha ucciso solo persone integerrime, ma anche territori benedetti da Dio o dal Caso). Una seconda postazione è un luogo privato ma, appartenendo a una struttura alberghiera con annesso ristorante, è aperto al pubblico: la terrazza dell’ex-convento dei Francescani di Baida cui si accede costeggiando la leziosa chiesetta nella piccola piazza del borgo (anch’essa raggiungibile con una bella passeggiata a piedi o con bus di linea). Da lì si capisce ciò che camminando per le vie di Palermo, tra palazzi antichi e contemporanei, non si sospetta neppure: che la città deve l’origine del nome – “Tutto porto” - al mare. Tornare a Baida mi intenerisce: quando era ancora un convento di frati, mi ha accolto tante volte – da solo e più spesso in gruppi – nel suo silenzio e nella sua quiete. E non smetto di sperare che qualcosa di quella pace possa infiltrarsi negli interstizi delle chiassose comitive scolastiche in gita d’istruzione che vi vengono ospitate.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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