1.5.2018
PER UN DIALOGO SULLA VITA TRA LAICI E CATTOLICI
E’ solo
dal 1970 che, grazie a un saggio dell'oncologo statunitense Van
Rensselaer Potter, il termine “bioetica” è entrato – con l’accezione di branca
della riflessione etica sui problemi posti dalle varie tappe della vita
biologica umana – nel vocabolario comune. Non che, prima, mancassero i trattati
di morale “personale”, soprattutto sessuale, in ambito laico e soprattutto religioso;
ma l’esplosione delle tecnologie mediche ha comportato una comprensibile
enfatizzazione di questo settore interdisciplinare. E non siamo che all’inizio
di un percorso terribile e affascinante ! A prima vista sembrerebbe logico
ipotizzare che quanti si dedicano a queste problematiche possano collaborare
sulla base dei dati scientifici e del buon senso comune; ma, a osservare le
cose da vicino, non sono andate così. Quando si tratta della nascita e della
morte, della pulsione sessuale e della malattia, scienza e buon senso non sono
gli unici fattori a entrare in gioco: per fortuna, o per sfortuna, si attivano
memorie ancestrali, mitologie archetipiche, tradizioni teologiche, consuetudini
etniche, fantasie letterarie, condizionamenti pedagogici, angosce e speranze
ugualmente intense e ugualmente difficili da argomentare. Non è strano, perciò,
che in bioetica si registrino posizioni differenti, non di rado opposte, tra le
quali al cittadino “medio” non è agevole
orientarsi. Eppure si tratta di questioni in cui tutti noi, prima o poi,
personalmente o in virtù di relazioni familiari, ci imbattiamo: e non sarebbe
sintomo di saggezza occuparsene solo nel vivo delle situazioni, quando
l’assedio delle emergenze e lo sconvolgimento delle emozioni non favoriscono la
ponderazione delle alternative possibili.
Per queste ragioni, all’appuntamento
quindicinale delle “Cenette filosofiche per non…filosofi (di professione)” che
da molti anni ormai si svolgono presso lo studio dell’avvocato Pietro Spalla a
Palermo, i partecipanti si sono assegnati – come testo base per le loro
conversazioni serali – il volume (curato da Giovanni
Fornero e Maurizio Mori) Laici e
cattolici in bioetica: storia e teoria di un confronto (Le Lettere, Firenze
2014). In esso vengono ripresi e integrati alcuni contributi di vari esperti apparsi nella
rivista “Bioetica. Rivista interdisciplinare” a partire da un articolo di
Fornero: Perché continuare a negare
l’evidenza? Realtà e senso della distinzione paradigmatica fra bioetica “cattolica”
e bioetica “laica”? (2009, 3, pp. 457 – 471).
Il primo
contributo è di Maurizio Mori che traccia una parabola storica: la nascita
(anni ‘50-’60 del XX secolo) del “paradigma della convergenza” e suo declino (con
la crisi del ’68 sul piano socio-culturale in generale e con l’Humanae vitae sul piano bioetico in
particolare; poi con la crisi aperta nel 1973 dalla liberalizzazione
dell’aborto della Corte suprema degli Stati Uniti d’America; infine, negli anni
Ottanta, con la sostituzione della
triade Krusciov- Kennedy- Giovanni XXIII con la triade Thatcher-Reagan-Giovanni
Paolo II). Siamo alla “Nuova Destra” in campo politico e alla “rivincita di
Dio” in campo teologico-morale. Nell’ambito cattolico è l’era funesta della
dittatura ideologica di Giovanni Paolo II supportato dal cardinale Ratzinger, a
sua volta eletto papa. Intanto, con il crollo dell’Unione Sovietica, tra la
fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta, “è finita un’epoca nella
storia del mondo” e “ne è iniziata una nuova”( E. Hobsbawm): non più dialogica
e pacifica, però, perché avviene “come se fosse crollata una diga che conteneva
le divergenze, lasciando che esse
diventassero esplicite e palesi” (p. 37).
Questa
radicalizzazione si registra anche all’interno della Chiesa cattolica: falliti
i tentativi di protesta dei teologi di molte nazioni, il Magistero romano
ribadisce che ci sono atti (rapporti sessuali che precludono intenzionalmente
la fecondazione del partner all’interno della coppia coniugata; rapporti tra
omosessuali; fecondazione assistita; aborto; eutanasia) “intrinsecamente
cattivi” (intrinsece malum) e dunque
proibiti “semper e pro semper, senza
eccezioni” (p. 46). Questa “riaffermazione netta della tesi circa i divieti
assoluti o gli atti intrinsecamente cattivi segna la fine del paradigma della
convergenza e l’affermazione della divergenza morale” (pp. 46 – 47).
Il duplice
sigillo di questa “divergenza tra la
bioetica laica e quella cattolica” (p. 62) è costituito sia dai documenti di
varie conferenze internazionali dell’ONU sia dal rifiuto dei Paesi europei di
introdurre, nella “Carta europea”, il tema delle “radici cristiane” come
fondamento dell’antropologia e dell’etica. Né la stessa Italia ha registrato
una significativa eccezione rispetto al panorama europeo: infatti il governo
Berlusconi ha fatto approvare la legge 40/2004 fortemente limitativa della
fecondazione assistita e l’anno dopo la Conferenza episcopale, guidata dal
cardinale Ruini, si spese – con successo – per evitare che si raggiungesse il quorum al referendum abrogativo.
In
conclusione: se la spaccatura in bioetica fra paradigma cattolico e paradigma
laico c’è (il libro che stiamo esaminando è del 2012, anche se ristampato nel
2014: Francesco I è stato eletto nel
2013), perché – si chiede l’autore – molti la negano? E risponde con una
rosa di ipotesi (non necessariamente alternative): “per inerzia con l’immagine
ricevuta dagli anni ’60 ed entrata nell’immaginario collettivo”; “per ignoranza
della dottrina cattolica romana”; “per la presenza di <<due
chiese>>: una caratterizzata da <<appartenenza parziale>>”;
“perché l’etica è branca della filosofia che è disciplina <<non
aggettivata>>”; “perché parlare di <<bioetica cattolica>> è
impreciso in quanto i valori proposti sono ippocratici, cioè umani e non
specificamente cristiani o confessionali”; “perché parlare di <<bioetica
cattolica>> è ghettizzante”; “perché l’etica non è questione astratta ma di ubbidienza norme precise”; “perché la contrapposizione è
<<provinciale>>, forse limitata all’Italia”; ”perché la vita
sociale necessita di valori condivisi” (pp. 71 – 77). Tuttavia nessuna di
queste risposte convince Maurizio Mori.
La questione
occupa il resto del volume: Fornero ri-espone la sua tesi centrale e risponde
alle obiezioni di critici di varia provenienza culturale, basandosi sulla
convinzione di fondo (anticipata già nella Prefazione):
che “fra la bioetica di indirizzo laico-secolare e quella di indirizzo
cattolico-ufficiale esista una diversità <<paradigmatica>> che
genera i persistenti contrasti che si presentano in materia” (p. VII); che
questa “diversità” fra i due paradigmi non vada “misconosciuta o celata, ma
francamente ammessa”. E ciò non per alimentare a tutti i costi la polemica
culturale-politica ma perché è “solo sulla base di una lucida consapevolezza
della situazione che si può pensare di promuovere una eventuale ricerca di convergenze basate
sul rispetto reciproco delle diversità” (p. VII).
La differenza
fra il paradigma bioetico cattolico e il paradigma bioetico laico dipende dalla
differenza fra le visioni filosofiche (epistemologiche e antropologiche
soprattutto) di bioetici di matrice religiosa e bioetici di matrice
a-religiosa. Infatti ciascuna delle due prospettive adotta uno specifico, e
alternativo all’altro, “tipo” o “modello” di “razionalità etica” (p. 89): la
bioetica cattolica lavora con una razionalità etica aperta al Trascendente e
ispirata alla rivelazione biblica, la bioetica laica lavora con una razionalità
etica che non tiene in conto né Dio né
la sua eventuale rivelazione. Quasi nessuno dei punti qualificanti la
prospettiva cattolica “ufficiale” (“creaturalità dell’essere”, “sacralità” e
“indisponibilità della vita”, “unitotalità della persona”, “progetto di Dio”
sull’universo e in particolare sulla vita umana; “significato morale” dei
“dinamismi biofisiologici”, “primato della verità sulla libertà” di coscienza
soggettiva, “intelligibilità e finalità del reale”, “esistenza di una legge
morale <<naturale>>”, “esistenza di norme etiche assolute”,
“esistenza di atti <<intrinsecamente malvagi>>, “esistenza di beni
non-negoziabili”, “idea che la legge civile non debba mai contraddire i
precetti della legge naturale”, pp. 91-92) è presente nella tavola dei punti
qualificanti della bioetica laica. La quale, al contrario, si sviluppa
nell’orizzonte della “ragione secolare” (Rawls) (p. 96): dunque “procede programmaticamente
etsi Deus non daretur” (p. 98) o,
come tradurrebbe il papa Leone XIII (ovviamente con disapprovazione), “senza
alcun riguardo a Dio e all’ordine da Lui stabilito” (p. 100).
La tesi
principale di Fornero è oggetto di
discussione da parte degli altri studiosi intervenuti nel dibattito: pochi la
condividono, molti la contestano (più o meno profondamente). Tra quanti
sostengono che la differenza radicale di paradigmi bioetici è un dato di fatto
che può piacere o dispiacere, ma che non può essere negato, vi sono sia autori sommariamente
catalogabili come “laici” (Sergio Bartolomei) che autori sommariamente
catalogabili come cattolici (il cardinale Elio Sgreccia e Salvino Leone); così
pure, tra gli studiosi che continuano a ripetere – con sfumature differenti - che
la differenza “non c’è” o “è ormai superata” (p. VII), troviamo tanto autori
“laici” (Maurizio Balistreri) che autori dichiaratamente credenti in senso
confessionale (Francesco D’Agostino, Stefano Semplici,, Luciano Sesta, Michele Aramini, Stefano Fontana).
Nell’impossibilità di ripercorrere dialogo per dialogo le molteplici
interlocuzioni fra Fornero e i suoi colleghi, mi limito a due esemplificazioni.
La prima riguarda uno studioso che consente con la diagnosi di Fornero, la seconda
uno studioso che ne dissente.
In un
contributo significativo, Salvino Leone – rispondendo alla domanda Può esistere una “bioetica cattolica”? (pp. 264 – 273) – risponde distinguendo il
punto di vista “de iure, cioè in
linea teorica o di principio” (da cui risponde negativamente dal momento che
“la bioetica è assolutamente laica o per lo meno non connotata
ideologicamente”) dal punto di vista “de
facto, cioè nella prassi e nel pensiero corrente” (da cui esistono
più “bioetiche”, col rischio di far scadere il dibattito sui temi in questione
a slogan di fronti contrapposti per motivi extra-scientifici e
extra-filosofici) (p. 264). La sterile contrapposizione socio-culturale fra due
o più bioetiche potrebbe superarsi puntando su due aspetti. Il primo di
“carattere prettamente filosofico” : “l’universalizzabilità dei giudizi morali”
(p. 268) o, in parole più semplici, la convinzione che un valore etico è tale
in sé, a prescindere dal riconoscimento statistico delle maggioranze, per cui
il dialogo ha senso fra posizioni differenti. Infatti non si tratta di piegare
l’altro al nostro valore o di essere
piegati a valori altrui, ma di
pervenire a valori validi potenzialmente validi per tutti tramite “un confronto
dialogico (al quale il pensiero cristiano partecipa in modo paritario anche se
interiormente consapevole del dato rivelato)” (p. 268). Il secondo aspetto su
cui puntare riguarda invece la prospettiva teologica: riscoprire un
atteggiamento cristiano autocritico nei confronti della propria tradizione e
sinceramente disponibile a trovare “semi di verità” contenuti nelle opinioni di
tutti.
Giovanni
Fornero, nella sua Risposta a Leone
(pp. 149 – 153), apprezza che lo studioso cattolico, a differenza di altri,
ammetta la contrapposizione di fatto, se non di diritto, di etica cattolica versus etica laica. E apprezza altresì
che Leone miri alla “reductio ad unum” (p.
153) di bioetiche che, pur nella varietà
dei punti di vista, possono convergere sinergicamente anziché polemizzare
reciprocamente.
Se il
dialogo con Leone parte da una
constatazione comune, non così avviene con Luciano Sesta. Alle pp. 242 – 251 è
riprodotto l’articolo di quest’ultimo intitolato La
bioetica “cattolica” e il mostro di Lochness. In dialogo con Giovanni Fornero.
In esso il filosofo palermitano sostiene che Fornero ha ragione di
diagnosticare la contrapposizione irriducibile fra due paradigmi bioetici, ma
non altrettanta ragione di denominarli l’uno cattolico e l’altro laico. Infatti
esiste senza dubbio “un insegnamento pubblico e autorevole della Chiesa in
materia di bioetica”, ma tale insegnamento – non avendo (e non volendo avere)
carattere “filosofico e scientifico” , bensì solo “dottrinale ed esortativo” –
non può essere considerato un “paradigma bioetico” (cattolico) (p. 245) : tale
denominazione può essere riservata, invece, a quelle proposte disciplinari che,
pur se elaborate da cattolici, accettano le regole della bioetica in generale.
Dunque se propongono un discorso che “non presuppone la fede dei destinatari”,
ha “come oggetto i problemi della
biomedicina, come metodo la
riflessione filosofica e interdisciplinare, e come fine la formulazione di criteri morali di discernimento pratico”
(p. 246). Si potrebbe dire che esistano delle prospettive generali – e generiche
– del Magistero cattolico ufficiale in campo filosofico e specificamente
bioetico, ma una molteplicità di filosofie e di paradigmi bioetici prodotti, in
autonomia di pensiero, dai vari filosofi e bioetici di area cattolica.
La risposta
di Fornero alle obiezioni di Sesta la troviamo alle pp. 133 – 148. Essa è
sintetizzabile in alcune tesi: non è vero che il Magistero quando parla di
etica si rivolge solo ai credenti, ma esplicitamente anche ai non-credenti che
vogliano usare la “luce della ragione” (Giovanni Paolo II) (p. 135); non è vero
che il Magistero si astiene dal proporre concretamente (sia pur in maniera non
tecnicamente argomentativa, come sono obbligati a fare tutti i filosofi) una
serie di “assunti-base” ritenuti veri “per tutti e per sempre” (quali “la
sacralità, inviolabilità e indisponibilità della vita”, “l’idea di un ‘progetto
di Dio’ sulla vita e sulla realtà”, “l’esistenza di una legge morale ‘naturale’
” e così via) (p. 136); non è vero che i documenti del Magistero non abbiano, in
comune con tutte le altre teorie bioetiche, “l’oggetto di analisi” e il “fine
della ricerca” (cioè la “formulazione di criteri morali di discernimento
pratico”) (p. 138).
Leone, Sesta
e pressoché tutti gli altri interlocutori sono comunque convinti che fra
bioetici, comunque catalogabili per ragioni di sistemazione storiografica, sia
indispensabile perseverare nel confronto. Convinzione condivisa dallo stesso
Fornero che, infatti, dedica al tema del dialogo fra le bioetiche di fatto
esistenti un intero, apposito, capitolo con
il quale si chiude l’intero volume: E’
possibile – e a quali condizioni – un superamento dei contrasti bioetici fra
cattolici e laici? Ipotesi e modelli a confronto (pp. 295 – 364). Lo
studioso piemontese individua alcune “ipotesi” o “modelli” :
a)
richiamarsi a una
“serie di principi e valori comuni (dignità,
libertà, integrità, eguaglianza ecc.)” che possano “costituire una sorta di
linguaggio universalmente accolto dall’umanità contemporanea” (p. 300). Punto
di forza di questo metodo: costruisce una sorta di “grammatica comune” fra
culture diverse; punto di debolezza: ognuno di questi “principi generali” viene
interpretato e applicato “in modi differenti
e talora opposti” (come per
esempio nel caso del “concetto-valore di dignità”
[p. 301] da cui possono trarsi
conseguenze divergenti nella valutazione dell’eutanasia volontaria [pp. 317 - 320])
b)
Un secondo
modello di superamento della contrapposizione fra paradigmi bioetici diversi è
il cosiddetto “modello per intersezione”: stabilire “i contenuti minimi di una
bioetica adeguata ad un Paese democratico”
sintetizzabili nell’idea del “rispetto per tutte le persone in quanto
libere ed egualmente degne” (p. 322). Punto di forza: i seguaci di filosofie
diverse “possono accordarsi su taluni
principi di base” (p. 323) pur con giustificazioni teoriche differenti; punto
di debolezza: l’accordo sottoscritto può rivelarsi precario quando si tratta di
passare dalle enunciazioni di principio all’applicazione concreta (là infatti
possono emergere le incompatibilità fra le “dottrine comprensive” [John Rawls] che “condizionano” le
opinioni politiche di ciascuno [p. 325])
c)
Un terzo modello
di superamento della “dicotomia fra la bioetica cattolica ufficiale e la
bioetica laica” consiste nella ricerca
di “vie intermedie” o “terze vie” fra l’una e l’altra (p. 326). Questa
strategia, adottata quasi sempre da studiosi cattolici, al di là delle lodevoli
intenzioni di conciliare la “dignità e inviolabilità della persona” (care ai
cattolici) con “l’autonomia e qualità di vita dell’individuo” (care ai laici)
(p. 327), finisce con il conseguire un risultato paradossale: trasformare
l’opposizione diadica in dissidio triadico (fra cattolici, laici e esponenti
della terza via o, meglio, delle terze vie) (p. 328)
d)
Un quarto modello
prevede che i cattolici rinunzino al proprio paradigma per assumere senza più
riserve il paradigma laico (in nome della “libertà di scelta” o “pro-choice”) o i laici rinunzino al
proprio paradigma per assumere senza più riserve il paradigma cattolico (in
nome del “valore-vita” o “pro-life”)
(p. 334)
e)
una quinta
prospettiva ritiene che “l’auspicato incontro fra i due schieramenti (e quindi
fra le istanze pro-scelta e pro-vita)” (p. 342) lo si possa raggiungere solo
mediante “uno slittamento dal piano
etico” (teorico, filosofico) al piano “giuridico-politico” (p. 343). Pur
configurandosi, in molti casi, come “l’unico modo per ‘avvicinare’ di fatto le posizioni e per conseguire
il maggior grado possibile di
condivisione bioetica”, anche questo “modello di composizione pragmatica dei
contrasti presenta alcuni elementi intrinseci di debolezza” (p. 345): infatti si tratta di un metodo più
facile da teorizzare che da applicare.
Il
quadro complessivo che emerge dall’intero volume non è confortante: secondo Fornero il dissenso fra paradigmi
bioetici esiste e non sembra facilmente superabile. Un accettabile compromesso
potrebbe venire dalla condivisione di un contesto di tipo “liberale” o
“pluralista” basato sul principio: “Tu sei libero di pensare come ti pare, ma
non devi esigere che anche gli altri la pensino come te” (pp. 347 – 348). Ma la
Chiesa cattolica, almeno sino a papa Benedetto XVI e al cardinal Ruini, può
accettare che una legge civile - per quanto consenta, senza imporli,
comportamenti da essa ritenuti immorali – sia approvata e rispettata dai suoi
fedeli?
Come si evince da questa sin troppo scarna sintesi, Fornero e Mori hanno
offerto al lettore abbondanti materiali per maturare un proprio giudizio
personale. Nel mio caso sono arrivato alla conclusione, forse un po’ banale,
che la bioetica, come la medicina o la filosofia o la psicoterapia, in astratto
non è che “una” perché “una” è la ragione comune agli uomini che la esercitano
nei diversi campi con i diversi metodi; ma – per sfortuna (è segno della
debolezza della ragione che arriva sempre a risultati parziali e provvisori,
anche perché condizionata in ognuno di noi da fattori pre-razionali ed extra-razionali)
e per fortuna (è segno della libertà e creatività della ragione che, per
fedeltà al suo fine ultimo, è in continua ricerca autocorrettiva) – esistono
tante bioetiche, come tante medicine o filosofie o psicoterapie quante sono le
teste pensanti (e operanti) nella storia e sul pianeta. A ciascuno il compito,
gravoso ma appassionante, di non sposare in maniera monogamica e indissolubile
nessuna bioetica (né medicina né filosofia né psicoterapia…) ma, pur
riconoscendosi in ogni fase dell’esistenza in questa o in quell’altra
prospettiva, resti in attento ascolto dialogico con le prospettive alternative.
Potrebbe scoprire o di aver imboccato una strada sbagliata o di aver imboccato
una strada conducente ma di aver bisogno, passo dopo passo, di nuove informazioni
integrative e di nuove correzioni di rotta.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Grazie Augusto; in quanto vecchio "cenacolante" del martedì, non posso che esserti grato per questo magistrale "riassunto" del libro che abbiamo letto e commentato. In vista del futuro incontro di martedì prossimo e stimolato dalla prevista presenza di autorevoli bioeticisti, denuncio la mia posizione di massima sugli argomenti da te trattati: credo che partire da paradigmi filosofici, teologici, religiosi o laici, sia fuorviante e che il corretto percorso, soprattutto quando si devono affidare i comportamenti dei cittadini a leggi socio-politiche, è partire dalla prassi, da ciò che in realtà succede nelle case, negli ospedali, e in tutti quei luoghi in cui si fanno le scelte bioetiche, al di là dei paradigmi, e al di qua delle circostanze, delle esigenze, delle emergenze, delle sofferenze, delle problematiche che la vita ci impone. Da questa prassi si deve partire per conciliare idee, credenze e paradigmi. Altrimenti si rischia di fare accademia. Così la penso. Armando
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