25.2.2018
IL FINALE
APERTO DI UNA STORIA TRISTE
A Trapani una maestra osserva che, nelle
ore di compresenza, alcune colleghe maltrattano – anche con punizioni corporali
– i bimbetti di scuola elementare. Ovviamente esprime il proprio dissenso, ma
ottiene risposte evasive e da qualcuna quasi ironiche. Constatata l’inanità dei
suoi interventi amichevoli ritiene suo dovere morale avvisare la dirigenza la
quale, opportunamente, chiede che si mettano per iscritto questi rilievi. Una
volta ricevutili, la dirigente scolastica non può fare a meno di applicare le
norme previste dalla legge e dal buon senso: dunque di avvisare le Forze
dell’ordine che, raccogliendo autonomamente le prove dei ripetuti
maltrattamenti mediante intercettazioni ambientali, chiedono e ottengono dal
magistrato la sospensione per un anno delle quattro insegnanti (registrate in
flagranza di reato). Questa la cronaca unanimemente riportata da tutte le fonti
d’informazione.
Logica vorrebbe che in molti (colleghi e
genitori, prima di tutti) si stringessero intorno all’insegnante che ha avuto
il coraggio civile di denunziare la situazione indecente; che si attivassero per
esprimerle pubblicamente solidarietà e per sostenerla psicologicamente, proprio
come hanno fatto sinora i funzionari di polizia che hanno seguito le tappe della
vicenda. Sino a oggi, però, di questo supporto nessuna traccia. Anzi si sa con
certezza che alcuni congiunti delle insegnanti indiziate di reato hanno
clamorosamente protestato contro i provvedimenti giudiziari; che qualche voce “pietosa”
si è sommessamente levata per compiangerne la sorte; che un avvocato ha
addirittura avanzato il sospetto che le denunce siano partite per risentimento
dovuto a contrasti pregressi fra colleghe. Insomma: per l’ennesima volta si
corre il rischio di vedere biasimato non chi infanga un’istituzione, ma chi si
permette di scoperchiare il marcio, infrangendo il comandamento tacito che
impone omertà.
Questa triste storia di una donna siciliana che
– invece di girarsi dall’altro lato, come è avvenuto e avviene già tante volte
in tutta Italia – ha preferito obbedire alla
sua coscienza civica (una storia paragonabile a quanti si ribellano al pizzo o
accettano di testimoniare in un processo di mafia) è ancora aperta a due esiti.
O l’isolamento sociale da parte di chi cerca alibi alla propria viltà o il
riconoscimento dei meriti di un’educatrice che, pur non avendo figliuoli propri
a rischio, si è preoccupata di tanti figliuoli altrui che, oggi e nel futuro,
avrebbero continuato a subire traumi.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com