E’ on line (da leggere o scaricare
gratuitamente) il numero di gennaio 2018 del periodico “Dialoghi mediterranei”.
Esso ospita, fra gli altri saggi, una mia recensione di uno degli ultimi libri
di Spong (La nascita di Gesù tra miti e
ipotesi), pubblicata con il titolo redazionale Risalire alle fonti:
http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/risalire-alle-fonti/
RISALIRE ALLE FONTI
Nel numero
precedente di Dialoghi mediterranei
(novembre 2017), a proposito dei tentativi – ormai indilazionabili – di
liberare la dottrina cristiana da superfetazioni dogmatiche che appesantiscono,
sino a renderlo irriconoscibile, il messaggio originario di Gesù di Nazareth, ho
avuto modo di presentare e discutere il primo libro tradotto in italiano di
John Shelby Spong ( Un cristianesimo nuovo
per un mondo nuovo, Massari, Bolsena 2010).
Chi fosse
stato interessato - o per lo meno
incuriosito – da questa operazione teologica gradirà apprendere che, intanto,
la medesima casa editrice e il medesimo curatore italiano (don Ferdinando
Sudati) hanno tradotto un altro testo del vescovo episcopaliano statunitense: La nascita di Gesù tra miti e ipotesi
(Massari, Bolsena 2017). Nel saggio (preceduto da una lunga e istruttiva
prefazione del curatore: I vangeli
dell’infanzia per i cristiani di oggi, pp. 7 - 38) l’autore esamina
essenzialmente i brani degli unici due vangeli (in ordine cronologico: Matteo e
Luca) che contengono una narrazione della nascita e dei primi anni di Gesù
detto il Cristo. Con un’erudizione formidabile, che non diventa mai pesante né
spocchiosa grazie a uno stile espositivo brillante e sottilmente umoristico,
Spong dimostra – utilizzando le acquisizioni dell’esegesi moderna e
contemporanea – che i racconti dei due evangelisti (redatti, rispettivamente, fra
l’82 e l’85 e fra l’89 e il 93, dunque in ogni caso circa mezzo secolo dopo la
morte del protagonista) non appartengono al genere storico: si tratta, infatti,
di “narrazioni interpretative” (p. 63) attraverso le quali gli autori (che la
tradizione chiama Matteo e Luca) esprimono la propria convinzione di fede che
Gesù fosse il messia designato da Dio sin dalla nascita.
Quanti siamo
nati e cresciuti in ambienti cristiani (sia cattolici che ortodossi, anglicani
o protestanti) avvertiamo una semi-cosciente resistenza ad applicare i metodi
dell’analisi storico-critica anche a quei testi, come i vangeli dell’infanzia,
che evocano atmosfere familiari di forte tonalità affettiva, se non addirittura
romantica. Abbiamo paura, in tempi di secolarizzazione galoppante, che ci venga
strappata pure la poesia del natale. Questo prezioso testo di Spong, però,
dimostra che si tratta di una paura infondata: studiare in dettaglio i racconti
di Matteo e Luca, sino al punto da trascendere una lettura ingenuamente
cronachistica o letteralistica o fondamentalistica, non significa rischiare di
disaffezionarsene. Anzi, capire come e perché i due autori abbiano costruito
queste pie leggende (o, più tecnicamente, questi “pezzi di sapiente intarsio
artigianale di midrash aggadici”, p.
139) ci consente di penetrarne il senso nascosto e di gustarne il messaggio
autentico: “più andiamo a fondo in questi testi, più essi diventano
affascinanti” (p. 63).
Solo qualche
esemplificazione. Consideriamo i primi 17 versetti del primo capitolo del
vangelo secondo Matteo: tradizionalmente considerati “i versetti più noiosi
della Bibbia, il ‘chi ha procreato chi’. Nessuno veniva incoraggiato a
studiarli o a prenderli sul serio” (p. 88). Ma potremmo chiederci perché Matteo
ricostruisca, nel suo prologo apparentemente burocratico e insignificante, la genealogia di Gesù citando antenati assai
poco raccomandabili (come l’incestuosa Tamar, la prostituta Raab, la seduttrice
Rut e l’adultera Betsabea) e tacendo su re e regine di ben altra fama. Perché - contro i detrattori della moralità di Gesù
e della madre – egli, Scrittura alla mano, vuole dimostrare che “Dio è in grado
di santificare un intero assortimento di umane situazioni pregiudizievoli” (p.
94). Ipotizzare una nascita verginale del Messia, sconfitto vergognosamente
sulla croce, è un modo per Matteo di dire ai propri correligionari ebrei che
“da una linea genealogica segnata da incesto, prostituzione, seduzione e
adulterio”, il Santissimo è in grado di suscitare una “vita santa” (ivi).
E Luca ? La
sua narrazione (l’unica, oltre Matteo, che tratta nascita e infanzia del Cristo
su cui invece avevano taciuto sino ad allora gli scritti neotestamentari di
Paolo e di Marco, redatti nei decenni precedenti) diverge da quella di Matteo
“in maniera netta” (p. 115). La ragione principale delle discordanze è la
diversità di target: “l’uditorio di
Matteo era composto da una comunità ebraica molto più tradizionale, che vedeva
in Gesù la realizzazione delle speranze e dei sogni degli ebrei. L’uditorio di
Luca era piuttosto una comunità fatta da ebrei disuniti, che si erano adattati
sostanzialmente al mondo prevalentemente gentile [pagano] in
cui vivevano. Essi vedevano Gesù in termini molto più universali, come colui
che aveva trasceso tutte le barriere umane e aveva fatto rinascere un’umanità
contrassegnata da un senso di unità più profondo” (ivi).
Nonostante la diversità di
destinatari, Matteo e Luca sono accomunati dalla consapevolezza di creare
“storie memorabili, coinvolgenti e fantasiose” che né essi stessi né i loro
ascoltatori/lettori avrebbero considerato “la registrazione di qualcosa di
realmente accaduto al tempo della nascita di Gesù. Erano consapevoli di creare
racconti in cui utilizzavano simboli per interpretare l’esperienza che, da uomini adulti, i capi
della comunità avevano avuto a contatto con una persona chiamata Gesù di
Nazareth” (p. 121). Entrambi utilizzano “storie tratte dalle Scritture
ebraiche, e non racconti di testimoni oculari, per fornire il contesto delle
loro narrazioni della nascita” ed è “un’avventura appassionante districare
questo giallo biblico” (ivi).
Se “non è stata mai
intenzione degli autori sia di Matteo sia di Luca fare storia”, conclude Spong:
“E’ un peccato che i gentili [i greci e in genere i non-ebrei di cultura
ellenistica e latina], che divennero la maggioranza e la corrente dominante
della Chiesa cristiana poco dopo il 150 circa d. C., non conoscessero le
Scritture ebraiche abbastanza bene da capire ciò che volevano dire le storie
originali. Il letteralismo non è solo un’espressione d’ignoranza biblica, ma è
una distorsione del vangelo talmente pericolosa da diventare distruttiva per il
cristianesimo stesso” (p. 133).
L’edizione italiana di questo
libro, tanto illuminante quanto godibile, riporta anche una scelta di e-mail che Spong ha ricevuto sul suo blog (john-shelbyspong.com) e a cui ha,
sinteticamente, risposto. Quasi una conferma che, in ogni ambito del sapere, la
ricerca è costitutivamente sempre aperta.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Gentile Augusto Cavadi,
desidero farle i complimenti per la recensione dedicata al libro «natalizio» di Spong. Ampia, efficace e soprattutto ben mirata. Se la cultura italiana cattolica o acattolica fosse in grado di capire il messaggio che attraverso i libri di Spong e di altri autori (una decina di libri del mio catalogo per ora) si può ancora ricavare dalla lettura dei materiali neotestamentari, staremmo tutti un po' meglio.
Lei ha colto la sostanza e quindi mi felicito. Inoltre le auguro un buon Anno nuovo.
Roberto Massari
Vengo a scoprire che dev’esserci il carisma di recensione! Che tu hai, tra i tanti altri. Grazie, allora, Augusto anche per questo tuo supporto a far conoscere letteratura teologica, che è in linea con la tua visione delle cose.
Buon proseguimento nell’Anno nuovo, con qualche consolazione o benedizione che dir si voglia.
dFS
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