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22.1.2018
“CONFESSIONE DI FEDE DI UN ERETICO” (DON FRANCO BARBERO)
La maggior
parte dei cristiani, soprattutto se appartenenti alla confessione di fede
cattolica, hanno delle nozioni teologiche così vaghe e imprecise che
difficilmente possono essere scossi dalle novità in campo esegetico, biblico,
storico. Tuttavia ce ne sono alcuni che, avvicinandosi all’età adulta, non si
accontentano delle formulette catechistiche infantili e si chiedono cosa
significhi davvero che esiste Dio, che Gesù era il figlio di Dio, che ha
fondato una Chiesa indefettibile et cetera.
Se lo studio personale, il dialogo con gli esponenti autorevoli, i confronti
comunitari li convincono, aderiscono davvero alla Chiesa originaria;
altrimenti, più o meno radicalmente, se ne vanno.
In quelli che
restano con convinzione, e per convinzione, è frequente che il fuoco della
ricerca teologica e spirituale non si spenga; che continuino a cercare; che,
agostinianamente, dopo aver capito per credere, credono per capire meglio. Don
Franco Barbero è stato, ed è, uno di questi infaticabili cercatori: e quando le
gerarchie ecclesiastiche gli hanno intimato di fermarsi nella ricerca teorica e
pratica, ha preferito pagare tutti i prezzi necessari per mantenere la libertà
di pensiero e di parola. Dopo decine di libri pubblicati, esce adesso la sua Confessione di fede di un eretico
(Mille, Torino 2017, pp. 188, euro 18,00): una sorta di piccola summa delle
numerose acquisizioni maturate nei lunghi anni di studio e di esperienza
ministeriale con le persone di ogni orientamento ideale e sessuale.
Senza perdersi
in discussione su dogmi cristiani periferici (alcuni dei quali, come la
verginità della Madonna o l’infallibilità del papa, non sono neppure comuni a
tutte le chiese ma solo alla Chiesa cattolica romana) l’autore va
dritto al centro della fede comune a tutte le confessioni cristiane: chi è
stato davvero Gesù di Nazareth? Con il sostegno di decine di pubblicazioni di
teologi cattolici, protestanti, anglicani (ormai tradotte in diverse lingue del
pianeta) egli risponde: è stato un “figlio di Dio” nell’accezione semantica che
la formula aveva nel I secolo della nostra era. Egli, molto probabilmente, non si è mai definito tale; ma se lo avesse
fatto – e comunque i primi discepoli lo hanno così definito – la denominazione
si riferisce a qualcuno che Dio ha “investito di una specialissima funzione, di
un particolare ‘potere’ liberante”, e che può adempiere tale missione solo se
“vive una intimità e una prossimità straordinarie con Dio” (p. 47). E’ perciò filologicamente
scorretto affermare, come hanno fatto le chiese cristiane dai concili del
quarto e quinto secolo in poi (per altro non senza forti resistenze ‘interne’),
che “figlio di Dio” significhi che Gesù è Dio, della stessa “natura” o
“sostanza” del Padre, che vada adorato come l’Unigenito dell’Unico.
Ma allora, in
cosa crede un eretico come don Franco Barbero? Che, per i cristiani, “Gesù è la via che conduce a Dio e la strada e la
causa di Gesù sono la strada e la causa di Dio. Nell’esistenza storica del
profeta di Nazareth noi incontriamo davvero il testimone di Dio, colui che ci
manifesta la sua volontà, le scelte e l’amore con cui Dio ama” (p. 19).
Troppo poco?
Per i signori dell’ortodossia, certamente. Ma per i ricercatori s-pregiudicati, al contrario, è troppo. La
benedetta e illuminata “eresia” di Barbero si è forse fermata prematuramente?
Non ha ancora davanti agli occhi e, soprattutto, al cuore degli interrogativi
ulteriori che si impongono come macigni? Ne segnalo due tra quelli che, da anni
ormai, mi affaticano.
Il primo: in
che senso Gesù non è “una” via ma “la” via verso Dio? Barbero finemente precisa
che ciò vale “per noi cristiani”. E cita un altro illustre eretico
contemporaneo, il vescovo episcopaliano Spong: “Non affermerò mai più che il
mio Cristo è l’unica strada per arrivare a Dio, perché ciò sarebbe un atto
estremo di umana follia. Dirò, comunque, che questa è l’unica strada per me,
poiché questa è la mia esperienza” (cfr. p. 52). Ma la questione, se non erro,
è così solamente spostata: se Gesù è una delle tante, possibili, strade per
entrare in comunione con Dio, per quale ragione mi dico cristiano e non
islamico o induista? Di solito si risponde (ma non so se questa sia anche la
risposta di Barbero o di Spong): perché sono nato in una tradizione cristiana. Una
simile risposta non mi convincerebbe: non più in un’epoca di pluralismo etnico
e religioso ormai dilagante, almeno
nella zona nord-occidentale del globo. Nell’attesa di una risposta più
convincente sono arrivato alla conclusione di evitare ogni ambiguità: se essere
cristiano significa ritenere che Gesù
sia “la” via verso Dio (o oggettivamente o soggettivamente), non sono più
cristiano. (In questa posizione sarei, mi pare, in buona compagnia: a partire
da Gesù stesso. Esperti come Paul Knitter mostrano come tale pretesa di
esclusività o di netta superiorità rispetto ad altri percorsi non appartenesse
al Gesù storico: è sorta con l’apostolo Paolo e si è ingigantita con l’autore
del vangelo secondo Giovanni. Insomma è una pretesa che viene attribuita a Gesù
dai fondatori del cristianesimo come si è andato strutturando effettivamente: del cristianesimo, direbbe
Ortensio da Spinetoli, come prima e fondamentale ‘eresia’ rispetto alla fede
“di” Gesù e al suo messaggio originario). Sarei allora un post-cristiano o
addirittura un a-cristiano o un anti-cristiano? Per nulla. Rispetto al
cristianesimo storico mi considero piuttosto un oltre-cristiano (cfr., ad esempio, il mio In verità ci disse altro. Oltre i fondamentalismi cristiani,
Falzea, Reggio Calabria 2007): sono serenamente convinto che Gesù di Nazareth sia
“una” via significativa e coinvolgente, come in altre culture e per altri
temperamenti possono esserlo Buddha o Mosé, Platone o Maometto. Questo non lo
penso in chiave relativistica, bensì prospettivistica: ogni grande maestro
dell’umanità ha evidenziato aspetti veri, ma parziali, dell’Assoluto. Ed è
stato grande perché non si è limitato a insegnare a parole quello ‘scorcio’ del
Divino che ha intravisto, ma lo ha incarnato esistenzialmente. Capisco che,
dopo una vita di appartenenza al mondo cattolico, prima, e poi, più ampiamente,
cristiano-ecumenico, sia sentimentalmente difficile ammettere di non
appartenervi più: ma nella babele attuale delle lingue, il minimo che si possa
fare è cercare di calibrare con cura le parole.
Il secondo
macigno su cui mi sono imbattuto nella ricerca di Dio - macigno su cui il pastore d’anime don
Franco Barbero si imbatte tragicamente e generosamente ogni giorno – è ancora
più ingombrante: che Gesù sia “la” strada o “una” strada per accedere al
Mistero di Dio come “Amore”, è legittimo ritenere che questo Volto di Dio sia
reale? Non sto contestando il dato biblico che, nell’annuncio cristiano, il
centro e il culmine consistano nella confessione di Dio come Agape, Dono
incessante e gratuito di sé (anche se non mancano dei passaggi di segno
diverso, talora opposto); mi chiedo, invece, se questo annuncio sia compatibile
con il mare di sofferenze (non solo innocenti, ma anche inevitabili) che si
verificano sul pianeta sotto i nostri occhi e che, secondo le scienze naturali,
hanno segnato il cammino dell’evoluzione animale e umana. Desidero essere più
preciso possibile: mentre, sia pur con difficoltà, riesco ad ammettere
l’ipotesi che un Dio-Amore possa convivere con lo strazio provocato dagli umani
per propria insipienza (anche se le prime forme umane forse non avevano neppure
la possibilità di comportarsi in maniera meno crudele), mi riesce molto più
difficile ammettere la compresenza di un Dio-Amore con il dolore sperimentato
nel passato, nel presente e nel futuro da miliardi di viventi senzienti come
effetto delle leggi naturali. Mi si potrebbe obiettare: è vero che scienze e
speculazioni filosofiche ci pongono davanti a un universo che attesta tanto la
provvidenza quanto la sovrana indifferenza divina, ma chi accetta la
testimonianza di Gesù – esegesi vivente del Dio invisibile – può trascendere il
livello dei dubbi e attingere la verità ultima del Dio amorevole. Questo
passaggio aveva una sua logica quando si riteneva di avere elementi per
ammettere che in Gesù si fosse incarnato, puntualmente e integralmente, il
Verbo; ma se Gesù è solo un essere umano e fallibile, come tutti noi, il suo
messaggio teologico ha lo stesso valore ipotetico di qualsiasi altra asserzione
su Dio. Il criterio di accettazione di tale messaggio va dunque cercato
altrove, non può essere autoreferenziale: per esempio se esso conferma le acquisizioni della
ricerca scientifica e filosofica o, per lo meno, se non confligge con esse. Insomma: a me pare
che la questione cristologica rimandi alla questione ‘teo-logica’ e che libri come Oltre le religioni, con tutte le
possibili riserve che suscitano, hanno il coraggio di andare sino a quel fondamento radicale. Il futuro della
religione mi appassiona poco (e, nonostante il titolo dei saggi raccolti, non è
a mio parere il cuore del volume); molto di più cercare di capire il futuro
della fede in un Principio di vita e di amore in un orizzonte conoscitivo in
cui sembrerebbe non esserci frammento di
luce e di bene che non comporti il risvolto del buio e del male.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Augusto Cavadi – Alcune considerazioni su «Confessione di fede di un eretico » di Franco Barbero.
7 commenti:
Grazie, Augusto, grazie e ancora grazie!
Caro Augusto,
indichi un orizzonte conoscitivo che ha il coraggio di indagare, visitare, vivere, quei territori che esistevano prima dell’ideazione di homo sapiens di un Padreterno e che si spinge fino a dimensioni cosmiche dove la differenza fra soggetto e oggetto e, per certi aspetti, anche quella tra male e bene, vacillano. Non so se e quanto sia possibile, in linea di principio, essere prete cattolico - che è già una risposta che preclude la spregiudicatezza dell’indagine, dove il grado di eresia o di ortodossia sono bazzecole da cortile rispetto al compito da affrontare - e onorare il tuo invito.
Fraterno amico, tecnicamente don Franco è stato "ridotto" (o, come preferisco esprimermi in linguaggio non canonico, "promosso") allo "stato laicale". E' vero, però, che egli continua a dirsi prete e a ritenere che un prete cattolico possa intendere la divinità di Cristo come l'ho brevemente tratteggiata; che possa essere sposato come lo è lui etc etc. Comunque spero che mi offra, ci offra, altri elementi utili di riflessione. Intanto desideravo ampliare un po' la telegrafica risposta alla sua telegrafica affermazione rivoltami a dicembre dopo la mia relazione al convegno nazionale di Rimini: "Ah, ecco, bravo! Finalmente hai fatto outing e ti sei deciso a non dirti cristiano. Mi pare un atto di chiarezza!".
Troppo stimolante la riflessione di Augusto per non tentare pure io una profana riflessione. Barbero non è abbastanza eretico per Augusto anche perchè non ha avuto il coraggio di chiedersi ed indagare se il volto di Dio come “amore” che Gesù ci ha indicato è davvero reale.
La ricerca di Augusto, effettivamente, è più coraggiosa e non si ferma di fronte ad un interrogativo: come può essere compatibile un Dio-Amore con il dolore ingiusto e straziante provocato dalla sua stessa creazione e dalle leggi naturali?
E in effetti mi sono sempre chiesto come mai questi interrogativi siano così poco frequenti in persone pur interessate ai problemi religiosi e come mai per i credenti il massimo della virtù sia amare incondizionatamente Dio, “a prescindere”. Ma un simile atteggiamento di ossequio e sudditanza psicologica, come può essere scambiato per amore? In realtà un Dio padre-padrone che si offende e ti fulmina se non obbedisci ed osi criticarlo avrebbe bisogno, più che di obbedienza, di un sussidio psicologico appropriato e, forse sarebbe meglio che ci aprissimo alla possibilità di uno scenario spirituale ben diverso e composito, retrostante al mondo sensibile...
Ciao Augusto,
vorrei condividere con te e con altri un episodio, che mi è accaduto in Ruanda, quando con mia moglie ho incontrato i superstiti del genocidio del 1994. Uno degli episodi che mi ha più colpito, è stato l'incontro con un uomo ridotto sulla sedia a rotelle da un genocida. Questo, dopo avergli confessato che insieme ad altri aveva ucciso il cognato, gli ha detto che era pentito e che voleva portarlo sulla fossa comune dove l'aveva gettato. Invece ha spinto proprio lui da un ponte provocandogli gravissime lesioni. Quando il criminale è stato catturato e portato dall'uomo ormai ridotto a un tetraplegico, questo ha detto di non ucciderlo: la sua morte non gli avrebbe restituito la salute ed era più importante che lui si rendesse conto del Male che aveva fatto e che finalmente scoprisse il Bene. Quest'uomo, nella sua semplicità, aveva capito il significato del Bene e del Male!
Mauro
Ho letto con grande interesse la tua recensione. Il tema affrontato m’incoraggia ad esprimere delle mie convinzioni. Vorrei cercare di alleggerire quei macigni che tanto ci affaticano, descrivendo le mie idee in modo semplice e diretto.
Per la nostra religione Dio è l’origine dell’amore. Di conseguenza, il nostro amore assume le caratteristiche proprie dell’amore cristiano che richiede la donazione di sé e il proprio sacrificio, come è stato per Gesù, in attesa di una salvezza futura. Tutto viene da Dio e tutto ritorna a Dio, sembra che non ci siano altre possibilità.
C’è una divinità esterna, in un altro mondo, che chiamiamo Dio, ma non sappiamo cosa sia, che ci fa dono di un amore prestabilito (agape) che noi dovremmo accettare e realizzare; se questo non avviene, è perché esiste il male, spesso rappresentato con figure immaginarie e ridicole, che acquistano addirittura fisicità.
Nella logica abituale, l’amore a Dio e l’amore di sé è il fondamento per ogni altro amore altruistico. Qui mi sorge qualche dubbio. Se io non conosco me stesso, se non conosco l’origine e la complessità della vita, quale amore posso diffondere? E’ la fede in Dio che mi fa scoprire l’amore? Condivido la tua affermazione: “conta molto di più cercare di capire il futuro della fede in un Principio di vita e di amore in un orizzonte conoscitivo”. Ricordo una frase del fisico Marchi alla fine del documentario “Un altro mondo” : “Quando abbiamo capito che cos’è l’amore, noi abbiamo capito noi stessi”.
Penso che Il genere di amore che contraddistingue credenti e non credenti, nato e diffuso dal fondamentalismo religioso, non sia né libero né liberante, non possa avere futuro. La storia è piena d’ingiustizie e di tragedie incredibili: perché quest’amore “agape” non ha prodotto pace, giustizia, felicità all’umanità e rispetto per la natura che ci circonda? Evidentemente questo genere di amore che viene da fuori, da un altro mondo, che, come sappiamo oggi non esiste, non ci coinvolge, poiché non nasce da una nostra interiorità, da una spiritualità che ha origine cosmiche evolutive. Diarmuid O’Murchu, esprime efficacemente questo pensiero:
“Questa nuova immagine dell’universo conduce a una nuova idea di religione in cui predominano l’esperienza olistica dell’immersione nella Divinità, la relazione con il tutto oltre le differenze, la solidarietà interumana e in ultima istanza l’esperienza dell’amore, inteso come energia creativa che da senso alla vita degli esseri umani attraverso l’unione con la natura”.
Il nuovo paradigma richiede una radicale modifica interpretativa dell’amore:
“Il Cosmo si distende e si dilata, non può restare fermo, deve essere in espansione” ( Carlo Rovelli ).Nella mia esperienza di vita ho realizzato che l’amore come agape, andrebbe superato da un amore che descrivo come: “ amore espansivo ”.
L’amore espansivo, non come aggettivo ma come sostanza, non più come dato o dono di un essere superiore che sta in alto o fuori, ma dal basso o meglio da dentro quell’energia che sta all’origine del cosmo e che, attraverso le nuove conoscenze, possiamo concepire nell’interiorità della nostra coscienza. Un'energia vitale che si auto/genera e, allo stesso tempo, per espandersi, ha bisogno della nostra partecipazione: non sarebbe possibile sottrarsi dato che è l ’unica sostanza di vita esistente per il tutto. Solo entrando in una dimensione cosmica, evolutiva, espansiva noi potremmo ridare senso a un amore universale nuovo che ci permetterà di capire di più cosa è la vita. Una presa di consapevolezza ulteriore rispetto al passato che darebbe all’umanità una speranza e una responsabilità che fino ad ora sono mancate.
Sono convinto che siamo all’inizio di un nuovo risveglio della nostra coscienza,
tanti valori che parevano incrollabili – tanti macigni -- si stanno sgretolando. Ci sono tante piccole realtà nel mondo che stanno costruendo un nuovo paradigma: morale, mentale, filosofico, spirituale. Ci vuole impegno per capire tutto questo ma il premio è la bellezza e occhi nuovi per guardare il mondo.
Un abbraccio, Onorio.
Intanto ringrazio Cavadi per la sua gradita recensione. Voglio raccogliere la “provocazione” dei due “macigni” sui quali mi sollecita a proseguire il confronto.Gesù è per me la via? Nessun pensatore mi è più caro di Knitter che,dopo aver riconosciuto il dono ricevuto dalle altre tradizioni, conclude riconoscendo la sua identità cristiana: “Vi sono stati molti casi in cui ho riconosciuto che il Buddismo possa offrire a noi cristiani un'intuizione più profonda, una verità più chiara. E tuttavia, a fine giornata, la casa dove torno è Gesù. Vi è una profondità, qualcosa di speciale, una storia che ho con Gesù che non trovo da nessun'altra parte, che è effettivamente contrassegnata da una certa esclusività, richiesta, e che meglio somiglia all'intimità e all'esclusività che sento per mia moglie”. Ho appena terminato all'Unitre di Pinerolo le cinque conversazioni che ho proposto sul pensiero di Knitter. La sua tesi veicola un riferimento che elimina ogni pretesa di esclusività o di qualsivoglia superiorità. Il suo pensiero, abbandonato ogni cristocentrismo, coincide con la mia ricerca degli ultimi cinquant'anni, di realizzare il passaggio dal cristocentrismo al teocentrismo. Non trovo quasi nessun pensatore cristiano che abbia coniugato identità cristiana e pluralismo della reciprocità e dell'accoglienza come Knitter.Io tuttavia mi considero un cristiano che, sulla strada di Gesù, va oltre. La mia permanenza nella tradizione cristiana non deriva da una sentimentale acquiescenza all'eredità ricevuta, ma da una responsabile rielaborazione e da una confermata adesione. Il che non esclude mai un attento confronto con le altre tradizioni.Da Ricoeur ho appreso che sarebbe molto difficile per ciascuno di noi rispondere oggi come saremmo situati a livello di fede se fossimo nati in un'altra tradizione. Rimane l'interrogativo legittimo, ma la mia priorità è di essere fedele alla storicità. Ben sapendo che i percorsi delle persone possono essere molto diversi e tutti ugualmente rispettabili.In ogni caso nella mia vita, come ho cancellato l'idea che esista nella Bibbia un Testamento superiore all'altro, così penso che il “più” o il “meno”, siano diventati codici impropri, dileguati, scomparsi dal mio immaginario. Riconosco solo l'alfabeto delle differenze che ho imparato dagli studi sugli “sguardi di genere” e soprattutto dall'ebraismo.
E arrivo così al secondo “macigno”. Anch'io riconosco che è ingombrante: non posso non condividere le intelligenti e pungenti riflessioni dell'amico Cavadi. Sento, come lui, in modo struggente questo confliggere della realtà del male con il messaggio del Dio Amore. Qui voglio esprimere due riflessioni che agitano la mia vita senza trovare una razionale conciliazione, ma accogliendo lo statuto della contraddizione. Quando scrissi le pagine “Credere nella contraddizione”, intendevo dire che la contraddizione (e non solo l'imperfezione) sia l'ontologia della creazione, il suo esistere tra bene e male, tra razionalità ed irrazionalità, tra caos e logos, per dirla con Mancuso. Ne prendo atto e cerco di reggere questo scandalo. Nemmeno Gesù è andato oltre questa contraddizione, ma ha riposto in Dio la sua fiducia. Gesù non ha risolto la contraddizione ma, come Giobbe e Qohelet, l'ha vissuta fino in fondo. Questa è stata la sua creaturalità, pur nella particolarità della sua vocazione. Secondo il midrash ebraico, penso che anche Dio, dopo la creazione, sia caduto in una “contraddizione... depressione!” e che continui a condividere tutto questo con noi. In questo cammino, mentre cerco di vivere la mia identità ebraico-cristiana, mi guardo bene dall'appiccicare ad altri nomi, categorie ed appartenenze. Mi piace pensare che ognuno di noi sia itinerante verso il mistero di Dio per sentirci abbracciati e per amarlo e adorarlo.
14/03/2018
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