30.11.17
25 ANNI DOPO LA STRAGE DI CAPACI
Vorago et
vertigo (Il palindromo, Palermo 2017,
pp. 120, euro 10,00), di Marcello Benfante, è un dittico doppiamente prezioso.
Lo è letterariamente (il racconto surreale della prima parte), lo è
storicamente (l’articolo rievocativo della seconda parte).
Il racconto, di sapore calviniano (se non si vuole
scomodare il Borges tanto caro all’autore), scolpisce con efficacia due paure –
che, per la portata esistenziale e simbolica che assumono, potrebbero
qualificarsi come due volti dell’angoscia umana: la paura della voragine (vorago) e della vertigine (vertigo). Il protagonista, infatti, è un
buon samaritano che tenta invano di sollevare, da una voragine del terreno, un
malcapitato precipitatovi: ma questa operazione di solidarietà lo intrappola in
una situazione kafkiana di diffidenze, accuse e persecuzioni anche fisiche che
lo esasperano al punto da cercare la morte dopo aver sperimentato la vertigine
dal cornicione di un sesto piano. Il banale, solitario, signor Morello si
configura come la rappresentazione iconica di tanti siciliani che – per non
aver ceduto alla tentazione di farsi i fatti propri e per essersi preoccupati
dei drammi sociali – assaporano l’amarezza dell’incomprensione e
dell’ingratitudine. Almeno finché la morte – o la prossimità alla morte – non
mutino l’opinione pubblica su di loro: in Sicilia, o forse non solo in Sicilia,
l’eroismo si perdona solo ai defunti.
Il riferimento al contesto isolano non è forzato.
Viene suggerito dal secondo testo ospitato nel piccolo, godibilissimo,
volumetto dove Benfante ricorda di essere stato indotto a scrivere la sua
novella lunga (o romanzo breve ?) proprio dallo spettacolo terrificante della
voragine provocata in autostrada, nei pressi di Capaci, dall’attentato
terroristico mafioso del 23 maggio 1992 ai danni di Giovanni Falcone, di sua
moglie Francesca Morvillo e degli agenti di scorta (di cui sopravvisse,
malconcio, uno solo). Il registro linguistico e stilistico muta: da sottilmente
ed efficacemente ironico si fa misurato, compunto. Con grande onestà l’autore
sintetizza l’ultimo quarto di secolo di storia palermitana, con i suoi guizzi
intellettuali e civili e i suoi ripiegamenti verso la normalità più grigia e
meno auspicabile. Dopo le primavere e i rinascimenti, sicuramente enfatizzati
dalla voglia di riscatto e dalle esigenze promozionali dei protagonisti, “la
palude torna a risucchiare la città con inesorabile lentezza. Dopo una fugace
vertigine, Palermo sprofonda di nuovo nella sua irredimibile voragine” (p.
120).
Personalmente
condivido solo in parte la chiusa sconfortata. Conosco molte persone, e alcune
realtà associative, che non hanno gettato la spugna; che, lontane dalla luce
ambigua dei riflettori massmediali, continuano a scavare per piantare, o
rafforzare, radici. La cronaca tende a non occuparsi di chi, in silenziosa
tenacia, opera nella propria sfera di influenza perché l’orribile segmento
finale del XX secolo venga seppellito per sempre, con Provenzano, Riina e i
loro degni – o indegni – epigoni. Ma proprio Marcello Benfante, con la sua
vigile creatività attestata anche da quest’ultima pubblicazione, conferma che
nei cunicoli di Palermo cambiano – in meglio – più cose che nel caos delle vie
sovrastanti.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Invitante alla lettura la recensione sul dittico di Bonfante.
Condivisibile lo sprono alla ricerca di compagni di impegno e possibilmente anche a debita distanza dai RUMORI MASSMEDIATICI....Lucia Muscettì
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