HOW CAN WE CALL ART OF EX-SISTERE?
· We use “to be” without thinking enough
· We "are" all (“being”
), but some “stay”, others “ex-sist”
· To be born as “ex-sisting” is a privilege, but also a
conviction: a privilege because without
self-trascendence is impossible to make cultural anthropology; a conviction because is possible to live
as natural beings only after a cultural choice
· To ex-sist is a goal: how can we call the art of ex-sisting ?
· I propose: “spirituality”. But I don’t mean by
spirituality faith or something without
body or solipsism or living without action in history. Spirituality is “ a
flowering of person“ (Martha Nussbaum)
in an atmosphere of laic way of
thinking and polyphonic view.
***
In che modo è
possibile distinguere, se è possibile farlo,
un’esistenza da una vita biologicamente integra? A questa prima domanda si tenta di
rispondere appellandosi, soprattutto, alla filosofia moderna (Kierkegaard) e contemporanea
(Heidegger, Sartre) e ad alcuni esponenti della psicanalisi post-freudiana
(come la “logoterapia” di Victor Frankl).
Posto che
sia possibile determinare una differenza ontologica fra “esistere” e “vivere”,
tale differenza – oltre a rendere
problematico ogni proposito di “ritorno alla natura” - in ogni ipotesi suscita la domanda: come
nominare l’arte di coltivare l’esistenza?
La proposta,
trasversale a molti punti di vista disciplinari, è di chiamare questa cura per
la “fioritura della persona umana” (Martha Nussbaum) spiritualità: una spiritualità che, pur senza polemica con le forme
religiose confessionali, custodisca gelosamente alcune valenze (laicità,
polifonicità, politicità e così via). In questo intervento ci si propone di chiarire molti possibili equivoci suggeriti dal
semantema “spiritualità”, pur senza escludere l’invito a proporre qualche altro
termine meno equivoco ma altrettanto significativo e comprensivo.
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