“Siciliainformazioni”
20.12.2017
DOV’E’ MATTEO MESSINA DENARO?
Con dovizia di dettagli, grinta comunicativa e
coraggio personale (non proprio comune nel mondo della stampa) Giacomo Di
Girolamo, “ex giovane” giornalista di Marsala continua a costruire una “sorta di piccola enciclopedia della mafia”
(p. 357) con uno dei suoi volumi – a mio
avviso – più riusciti: L’invisibile.
Matteo Messina Denaro (Il Saggiatore, Milano 2017, pp. 408, euro 19,00). Le
buone enciclopedie si distinguono dalle meno istruttive perché, nelle
prime, la messe delle informazioni è
coordinata logicamente da un’idea complessiva. E qui la griglia interpretativa
c’è: la mafia non è opera di grandi geni del male, bensì un sistema relazionale
complesso intessuto dalla connessione fra l’esercito dei militanti e una più
ampia area sociale di politici, imprenditori, burocrati e professionisti. La
biografia del padrino latitante è ricostruita con attenzione, dall’adolescenza
all’enigmatica maturità: tanto enigmatica da suggerire all’autore l’ipotesi, la
“fantasia”, che Matteo Messina Denaro
sia già morto e che le sorelle e i familiari più stretti lo usino come un
marchio di fabbrica (un brand) per
continuare a lucrarne profitti (come già è capitato per altri boss mafiosi, tra
cui lo stesso padre di Matteo, don Ciccio).
Se è questo il
quadro complessivo (e complesso) del sistema mafioso, catturare Matteo Messina
Denaro – o avere la certezza della sua morte - sarà importante, ma non
decisivo: decisivo sarebbe scardinare la ragnatela di complicità e di
collusioni che egli ha costruito intorno a sé e di cui, in qualche misura, è
rimasto anche prigioniero.
Per
rappresentare la situazione Di Girolamo usa talora formule paradossali ( come:
“la vera forza della mafia non sta certo dentro la mafia”, p. 242). Se qualcuno
la intendesse alla lettera, certamente la troverebbe falsa e alzerebbe il
sopracciglio destro in segno di disappunto; come slogan giornalistico a
effetto, però, può avere una sua efficacia comunicativa per destrutturare
vecchie concezioni folkloristiche di Cosa nostra. Decodificata e tradotta in
termini meno paradossali, la formula sostiene ciò che – secondo quanto ricorda
lo stesso autore a p. 366 – sosteneva trent’anni fa Giovanni Falcone: “La mafia
sarà distrutta quando sarà degradata al rango di associazione criminale comune.
Fin quando beneficerà di infiltrazioni nella società civile e nel mondo
affaristico, sarà difficile annientarla”. Molti anni prima di Giovanni Falcone,
Mario Mineo – e soprattutto, dopo di lui, Umberto Santino – avevano spiegato
(recuperando e attualizzando l’intuizione di Franchetti nell’Ottocento che
individuava la spina dorsale della mafia in “facinorosi della classe media”)
che la mafia non sarebbe mafia se il nucleo degli “uomini d’onore” non fosse incistato
– costitutivamente, non accessoriamente – in un “blocco sociale” interclassista
formato da esponenti di tutte le classi sociali e, primariamente, della
“borghesia” (mafiosa). Di Girolamo rende con pennellate efficaci questa zona
para-mafiosa (che, riprendendo una suggestione di Nino Amadore, definisce Cosa grigia) di cui, sempre più spesso,
fanno parte sedicenti militanti
dell’antimafia: “C’è la mafia, ma ci sono anche i politici che si fanno
corrompere per due lire, gli imprenditori del Nord che vengono in Sicilia per
cercare boss per costruire i parchi eolici, i funzionari degli enti locali al
servizio del miglior offerente” (p. 291).
Un libro
perfetto, dunque? Per fortuna, no. L’autore ha ancora tanto da affinare e
offrire a chi non sia affetto da “Tl;Dr, cioè Too long; Didn’t Read
(troppo lungo, non l’ho letto)”, espressione che “riassume la pigrizia diffusa,
la superficialità, la nostra stizza verso tutto ciò che va in profondità, e
dunque è noioso” (p. 366). E ha da controllare meglio la tentazione di
presentare come del tutto inedite, originali, delle analisi che - sia pure in posizioni di marginalità nel
mercato editoriale – sono state elaborate molto tempo prima della sua “seconda
nascita” nel maggio del 1992. Non è (solo) una questione di riconoscenza e
gratitudine personale, ma (soprattutto) di lucidità diagnostica: Cosa Nostra
non si è trasformata “in qualcosa di diverso”, in “Cosa Grigia” (p. 291). Non
sarebbe mai stata Cosa Nostra se non fosse stata sempre, in proporzioni più o
meno accentuate, Cosa Grigia.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
http://tinyurl.com/ybkqo6d3
1 commento:
Recensione ineccepibile di un testo interessante. Grazie.
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