“LAURIA – NUOVE ROTTE”
Magazine di Sport e Cultura
Dicembre 2017
I biblisti
sono ormai unanimi: natale non è il centro dei quattro vangeli. Questi testi
sono stati costruiti intorno a ciò che i primi cristiani ritenevano il fulcro
della propria fede: la resurrezione di Gesù (e non è un caso che della nascita
del Redentore parlano solo Matteo e Luca, redatti successivamente a Marco che
ne tace). Eppure…Eppure natale è la festa più emozionalmente avvertita dai
cristiani e, per molti versi, dagli abitanti del pianeta. Come mai?
La chiesa dei primi secoli è stata strategicamente
geniale nell’adottare come ricorrenza della nascita di Cristo non la sua data
cronologica (per altro impossibile da
determinare per mancanza di registri anagrafici all’epoca), ma la festa del dio
Sole: un modo semplice, immediato, ma efficace di esprimere la convinzione che
il Maestro fosse la nuova Luce apparsa
sulla terra per diradare il buio di quei tempi (e non solo di quelli!).
La rilevanza del natale è sottolineata dal cammino che
lo precede e dalle tappe che lo seguono. Lo precedono, infatti, quattro
settimane di preparazione interiore e comunitaria: l’Avvento. Sono i giorni di
attesa dell’Arrivo (Ad-venire) del
Messia. Ma in che senso se ne può parlare? Con i Padri della chiesa, e oltre
loro, si potrebbe rispondere: in quattro sensi.
Il Verbo di Dio è venuto una prima volta nella persona
storica di Gesù; viene ogni giorno nel cuore di ogni uomo e di ogni donna che
si aprano con sincera disponibilità alla Luce; viene ogni giorno nella carne
dei deprivati (in questi anni sbarcando fisicamente, sulle nostre spiagge, da
barconi stracarichi di disperati); verrà per l’ultima volta alla fine dei tempi
– o, per lo meno – alla fine del tempo mortale della nostra mortale umanità.
Se le cose stanno così – almeno nella fede
tradizionale dei cristiani – essi fanno molto bene a festeggiare la prima
venuta del Salvatore a Betlemme ( o a Nazareth o dovunque sia effettivamente
avvenuta); ma non fanno altrettanto bene a dimenticare di celebrare le altre
due venute (nella propria interiorità e nei propri fratelli più sfruttati dai
meccanismi del capitalismo internazionale) e a prepararsi alla fine (prossima o
lontana, comunque certa) di questo pianetino sperduto nell’universo.
Il vangelo di
Cristo è un patrimonio etnico limitato all’Occidente, che lo ha gelosamente
impacchettato in trattati teologici,
dizionari e catechismi , o non piuttosto un evento a cui ogni civiltà ha
diritto di attingere liberamente, se necessario traducendo nella propria lingua
(nelle proprie categorie culturali) un messaggio comunicato in aramaico venti
secoli fa?
La risposta
più chiara l’hanno data, da mille anni, le chiese autocefale dell’Oriente
cristiano-ortodosso (greche, slave, russe): esse celebrano il natale il 6
gennaio. Non quando il bimbo viene partorito nel guscio di una famigliola
mononucleare, ma quando viene esposto al pubblico e offerto ad estranei vicini
e lontani. Vicini come i pastori,
gente semplice che non ha bisogno di molte spiegazioni: corre in soccorso di
chi ha bisogno, a dare latte e paglia a chi soffre fame e freddo. E lontani come i magi che come personaggi
storici non hanno le carte in regola, ma come figure simboliche sono
insostituibili: la loro presenza attesta, fin dai primordi, che il vangelo non
è un affare provinciale ma una proposta potenzialmente universale, destinata
non a soppiantare le sapienze già fiorenti (di cui i magi sono, appunto,
esponenti) bensì a integrarsi con esse in tensione verso sintesi inedite da aggiornare in continuazione. La poesia dell’Epifania (o Manifestazione) va
fruita in tutta la sua ricchezza, senza ridurla a quadretti bucolici da
presepe. Essa, infatti, veicola una novità talmente dirompente che oggi, dopo
venti secoli, sta davanti a noi come un traguardo utopico più che indietro come
un residuo archeologico: la novità proclamata dall’ebreo-romano Paolo di Tarso
a proposito di un popolo, vasto quanto l’umanità, in cui sarebbero diventate
irrilevanti le differenze fra ebrei e pagani, uomini e donne, nobili e
proletari.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Quale Natale?
Quale Natale per le popolazioni civili, martoriate da guerre interminabili in tanti Paesi del pianeta?
Quale Natale per i profughi e gli emigranti, costretti ad abbandonare le loro terre e le loro famiglie alla ricerca di speranza in Paesi lontani?
Quale Natale per i poveri privi dei beni essenziali, dal cibo alla casa, alle cure sanitarie?
Quale Natale per tanti bambini che mancano dell’istruzione e dei diritti di poter crescere serenamente?
Quale Natale per tanti disoccupati, che hanno perso con il lavoro la dignità di uomini?
Quale Natale per tanti uomini che lavorano in condizioni di nuova schiavitù?
Quale Natale per tanti giovani precari o disoccupati, privi di ogni speranza di costruire un progetto di vita?
Quale Natale per tanti anziani e malati, dimenticati perfino dai loro cari e costretti a vivere nell’abbandono e nella solitudine?
Quale Natale per tanti cittadini che vivono in terre dominate dalla criminalità e dall’ illegalità?
Quale Natale per tante donne che vivono nel terrore a causa della violenza dei loro compagni?
Quale Natale per tanti sacerdoti e uomini di Dio coerenti con il Vangelo, che la Chiesa spesso umilia ed emargina?
Il nostro Natale 2017 sarà accanto a loro
Mauro Matteucci e Coppini Gabriella
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