LA BUSACCHINARA DI
FOSCA MEDIZZA
Come scrive
nella sobria ma efficace Introduzione
Gian Mauro Costa, Pigalle – la protagonista del romanzo di esordio di Fosca
Medizza La Busacchinara. Nel geode è l’embrione dell’Uno (Qanat,
Palermo 2014, pp. 115, euro 15,00) – è “un personaggio femminile che
difficilmente si potrà dimenticare”. E’ infatti una donna straordinariamente
conseguente rispetto ad alcuni chiari principi etici, primo dei quali: “Non c’è
niente da salvare in questo mondo, solo il piacere, il piacere da offrire e da
ricevere”. La società, oggi come ieri, è affollata da soggetti di cui ci
dimentichiamo facilmente perché sono (quasi) tutto e (quasi) il contrario di
tutto: né neri né bianchi, ma – noiosamente – grigi. Quando incontriamo, nella
vita o nella letteratura, qualcuno che si identifica con il proprio ideale (o,
meglio, che tende a identificarsi con il proprio ideale: se ci riuscisse sempre
e comunque, diventerebbe anche lui noioso) il suo segno s’imprime nel nostro
animo. E nel nostro inconscio.
Giuseppina,
che sceglie per sé il nome Pigalle e che dagli abitanti di un piccolo comune
della Sicilia interna – Bisacquino - viene ribattezzata Busacchinara, ha un
senso religioso grezzo ma radicato. Da ragazza ha già un amante, Emilio, il
“primo” e “unico” uomo che ha davvero amato. Quando il fratello Crocifisso è in
ospedale a rischio di morte, Pigalle promette alla Madonna di rinunziare ad
Emilio in cambio della sopravvivenza del congiunto. Così avviene e la ragazza,
per onorare il voto, si avvia su una strada di tragica inquietudine: “In tutti
gli uomini che ho avuto, ho annegato il mio mancato amore, come fossero
bicchieri di passito stravecchio nei quali inzuppare il biscotto secco della
nostalgia”. E’ dunque riduttivo definirla una “ninfomane”, se non a uno sguardo
superficiale. Più in fondo è una mistica che insegue, nel corso di ottanta
lunghi anni, ciò che il “geode” del sottotitolo le ha evocato sin
dall’adolescenza: “la presenza dell’Uno”, quella “origine, alla quale tendiamo
nostalgicamente e a cui possiamo tornare
senza intoppi solo con il linguaggio verbale, o qualunque altra forma del
codice visivo”, come la pittura che Pigalle ha esercitato incessantemente.
Certo, c’è mistica e mistica: tutte sfociano nel “silenzio” con cui si chiude
il romanzo, ma non per tutte è silenzio di assenza e di morte.
La prosa di
Medizza è precisa, calibrata, ma anche coinvolgente. Le consente, senza ombra
di volgarità, di contribuire al capovolgimento in atto negli ultimi anni di una
secolare tradizione letteraria: non più maschi che devono raccontare l’erotismo
femminile, ma femmine che sono in grado di raccontare anche l’erotismo
maschile. E nella storia della protagonista l’autrice fa incrociare, quasi raggi
nel perno di una ruota variopinta, vicende umane più o meno intriganti, tutte
segnate da una atavica maleducazione sessuale derivante da una concezione
pessimistica della corporeità (che non cessa di essere negativa neanche quando
viene idolatrata e assolutizzata, scorporandola dalla dimensione affettiva e
donativa).
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com