5.11.2017
S. Latouche, Baudrillard o la sovversione mediante
l’ironia, Jaca Book, Milano 2016, pp. 78, euro 9,00.
Con
questo agile volumetto Serge Latouche aggiunge un anello alla preziosa collana,
da lui stesso diretta, “I precursori della decrescita”. Come avverte l’autore
sin dalle prime righe, “può sembrare incongruo presentare Jean Baudrillard come
un precursore della decrescita”. Egli è infatti, sì, “un critico insuperabile
della società dei consumi”, ma – se si passa dalla diagnosi alla terapia – non
lo si trova con chiarezza a fianco nella battaglia per “una società conviviale
di abbondanza frugale”. E ciò per almeno tre ragioni: “Anzitutto perché la
dimensione ecologista è quasi del tutto assente
dalla sua riflessione”; “in secondo luogo, perché, patafisico ironico e
provocatore distaccato, sfiora, nonostante i suoi dinieghi, una forma di
nichilismo”; infine perché “la sua pungente ironia lo avvicina a un
atteggiamento ‘radical-chic’ di cui si compiacciono i bobos”, vale a dire i bohémien
borghesi (bourgeois
bohémien).
Nonostante
queste solide ragioni in contrario, Latouche inserisce Baudrillard nell’elenco dei
“precursori della decrescita” perché,pur essendo “un autore inclassificabile”,
dissemina le sue opere d’intuizioni che possono essere raccolte e rielaborate
in un quadro propositivo più organico. Tra questi apporti: la critica
dell’economia (come scienza che si pretende esatta e come ‘cosa’ che si
pretende assoluta), la messa in guardia dai pericoli della tecnica, la
segnalazione dei limiti del sistema rappresentativo e – soprattutto – il
rifiuto dell’ideologia del progresso.
Quest’ultimo
aspetto si articola su “due elementi forti e imprescindibili: in primo luogo,
l’analisi della festa consumistica della società di crescita e, in secondo
luogo, la critica della globalizzazione e della società dello spettacolo, due
facce della stessa medaglia”. Sul primo punto: la crescita “produce
contemporaneamente beni e bisogni, ma non li produce con lo stesso ritmo”, sì
da causare “una pauperizzazione psicologica” (un perenne senso di
insoddisfazione) che capovolge la “società della crescita” nell’ esatto “opposto”
di una “società dell’abbondanza”. Questo perenne senso di povertà – passiamo
così al secondo punto - è compensato (illusoriamente), e alimentato
(realmente), dall’esibizione spettacolare del lusso, del surplus, del “troppo”: super
e iper mercati, comprando e rivendendo merci da
tutto il pianeta (con etichette rigorosamente in un’unica lingua dominante), le
espongono in modo da diventare “il paesaggio primario e il luogo geometrico
dell’abbondanza”.
Che si può
fare per invertire la rotta? La risposta di Baudrillard è più o meno: nulla.
Alle proposte preferisce la derisione: “sostituire finalmente l’eterna teoria
critica con una teoria ironica”. Per
questo Latouche ritiene che il suo maestro vada considerato “non avversario, ma
(ironicamente) estraneo alla serena utopia dell’abbondanza frugale”. Eppure,
forse, la speranza si annida nel fondo oscuro del bicchiere: se ci sono
osservatori acuti come Baudrillard, e discepoli come Latouche che ne
rielaborano e diffondono il pensiero, e recensori che recensiscono Baudrillard
e Latouche, e lettori che leggono Baudrillard, Latouche e i loro recensori…si
può essere sicuri che non ci sia nessuna possibilità di mutare il corso della
storia?
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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