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31.10.2017
Gaetano Celauro recensisce:
Augusto Cavadi, I siciliani spiegati ai turisti, Di Girolamo, Trapani 2014
Attraverso le risposte a tre semplici domande, Augusto Cavadi, riesce efficacemente
a fornire precise coordinate per la conoscenza del fenomeno mafioso:
«La mafia: di che si tratta?»; «La mafia: c’è sempre stata?»; «La mafia: ci sarà per sempre?».
La mafia spiegata ai turisti è un piccolo libro che offre un contributo notevole: fornisce delle risposte essenziali ed è corredato da un’esaustiva bibliografia sulla mafia diretta a chi volesse approfondirne la natura e l’estensione.
«La mafia: di che si tratta?»; «La mafia: c’è sempre stata?»; «La mafia: ci sarà per sempre?».
La mafia spiegata ai turisti è un piccolo libro che offre un contributo notevole: fornisce delle risposte essenziali ed è corredato da un’esaustiva bibliografia sulla mafia diretta a chi volesse approfondirne la natura e l’estensione.
Luoghi comuni e pregiudizi sono ampiamente diffusi,
anche negli stessi siciliani, tali da non consentire sovente un’analisi
obiettiva.
L’autore analizza le similitudini - non poche - con le varie associazioni criminali organizzate operanti nelle altre regioni. La formazione dello Stato unitario nel 1861 segna l’inizio della mafia nella sua attuale configurazione, che prende a prestito riti e simboli delle società segrete preesistenti. La mafia siciliana, però, ha alcune specificità: mira al maggiore consenso possibile e, per conquistarlo un po’ in tutti i ceti, ricorre a una sorta di pedagogia sociale, cercando di trasmettere un codice culturale. Il mafioso vuole essere temuto ma, più ancora, vuole essere riconosciuto e rispettato.
Prima del 1861 le fonti storiche registrano fenomeni che si possono definire, secondo studiosi specialisti del settore, come “premafiosi”. Si può addivenire convenzionalmente ad una periodizzazione nello sviluppo del fenomeno mafioso: dalla fase agraria si passa alla fase urbano-imprenditoriale per concludere con quella finanziaria (dagli anni Settanta ad oggi), dove operano tecnici esperti nei meccanismi finanziari internazionali.
L’autore analizza le similitudini - non poche - con le varie associazioni criminali organizzate operanti nelle altre regioni. La formazione dello Stato unitario nel 1861 segna l’inizio della mafia nella sua attuale configurazione, che prende a prestito riti e simboli delle società segrete preesistenti. La mafia siciliana, però, ha alcune specificità: mira al maggiore consenso possibile e, per conquistarlo un po’ in tutti i ceti, ricorre a una sorta di pedagogia sociale, cercando di trasmettere un codice culturale. Il mafioso vuole essere temuto ma, più ancora, vuole essere riconosciuto e rispettato.
Prima del 1861 le fonti storiche registrano fenomeni che si possono definire, secondo studiosi specialisti del settore, come “premafiosi”. Si può addivenire convenzionalmente ad una periodizzazione nello sviluppo del fenomeno mafioso: dalla fase agraria si passa alla fase urbano-imprenditoriale per concludere con quella finanziaria (dagli anni Settanta ad oggi), dove operano tecnici esperti nei meccanismi finanziari internazionali.
La violenza è il mezzo principale per perseguire i propri fini ma viene adoperata in maniera “programmata”, attraverso passaggi progressivi che vanno dalle intimidazioni ai danneggiamenti. L’omicidio costituisce l’extrema ratio: in tal modo, infatti, si manifesta quasi la propria debolezza e si dimostra, con questi mezzi estremi, di non avere più il controllo del territorio.
Se la violenza è quindi un mezzo, le finalità principali, comuni alle associazioni mafiose, sono l’esercizio del potere e l’arricchimento. Per il raggiungimento del primo obiettivo i mafiosi non si pongono come delinquenti comuni ma si prefiggono il preciso intento di infiltrarsi nello Stato. È quindi errata e fuorviante la definizione di mafia quale anti-Stato. Di contro questa organizzazione mira a ricoprire posti chiave nella pubblica amministrazione; le cosche mirano in sostanza all’esercizio di una “signoria” politica all’interno della comunità.
Occorre abbandonare il falso stereotipo e l’erronea
convinzione, fortemente radicata nella popolazione, di una mafia buona,
rispettosa di valori primo dei quali l’onore, che opera accanto ad una mafia
spregiudicata, cruenta e feroce. È un assioma indiscutibile che non vi sia mai
stata una mafia nobile, cavalleresca, leale al proprio interno e, soprattutto,
protettrice dei deboli. L’unica mafia di cui si ha notizia è esclusivamente
quella parassitaria che ha taglieggiato coloro che, con il sudore della fronte
e l’inventiva della mente, hanno provato a dar vita a circuiti ed imprese positive
per sé e per gli altri.
Gaetano Celauro
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