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lunedì 20 novembre 2017
Prendendo a prestito per titolo quello di una bella canzone
di Lucio Dalla, nell’intrigante libretto Il mare, com’è profondo il
mare … (Diogene Multimedia, Bologna, 2017, €9,80) Augusto Cavadi
ci propone una particolare crociera marina: crociera speciale perché la vastità
azzurra del più suggestivo elemento fisico terrestre diviene anche emblema e
metafora della nostra condizione esistenziale: “Il mare – scrive Cavadi –
è un saggio maestro. Ci suggerisce la nostra costituzione anfibia: in ciascuno
di noi s’intrecciano le caratteristiche delle radici e le caratteristiche delle
àncore. (…) Solo chi ha navigato molto (…) può stabilirsi in un luogo senza
farsi illusioni sulla precarietà ontologica dell’esistenza.” Il viaggio in
mare aperto proposto dall’autore evoca riflessioni suggestive: riflessioni che,
se non presumono di dare un senso univoco e porti sicuri alla vita, sono almeno
capaci di fornirle approdi di conforto e riparo. La navigazione proposta
dall’agile testo scorre attraverso tredici capitoletti che, nel mare magnum
della vita personale e collettiva, suggeriscono una rotta che abbia come timone
l’etica dell’avventura e dell’oltranza, ma anche quella della finitudine e
della precarietà; un viaggio che, senza dimenticare la dimensione dell’attesa e
dell’approfondimento, privilegi l’etica del rispetto, della gratuità, della
solidarietà, della convivialità e dell’affidamento, immancabili compagne di
viaggio; una rotta che contempli infine anche la possibilità del fallimento e
del naufragio.
A farci compagnia negli oceani marini ed esistenziali,
Cavadi convoca ‘ammiragli’ del calibro di Baudelaire, Gibran, Edgar Lee
Masters, Hemingway; ma anche capitani di lungo corso a noi contemporanei quali
lo scrittore Alessandro Baricco, il sociologo Franco Cassano, il filosofo Luigi
Lombardi Vallauri. Quest’ultimo evidenzia come la qualità del paesaggio abbia
il potere di nutrire e soddisfare la nostra anima, che soffre se costretta in
orizzonti ristretti “non incontrando, quel profondo, quell’ampio, quel
poetico per il quale ha struggente nostalgia”. Ancora Vallauri ci
ricorda che deserto e mare - “vuotità incrociate, una solida e una fluida”
- “sono accomunati dagli effetti sull’anima. Tutti e due ti fanno
lasciare la presa.” Proprio quest’immensità vuota, incalza Cavadi, “ci
insegna a non vivere da onnipotenti. A saper misurare le forze”; ci insegna
che “siamo tutti bastardi”.
A tal proposito, il testo ricorda che, tra il XII e il XIX
secolo, in tutti i porti del Mediterraneo si è parlato il ‘sabir’, lingua
franca che mescolava siciliano, veneziano, genovese, spagnolo, catalano, occitano
e anche un po’ di arabo, greco e turco: “prototipo di ciò che potrebbe
diventare, nel mare e oltre il mare, una cultura globalizzata: una cultura che,
senza rinnegare le specificità regionali, impari a cedere e a ricevere qualcosa
da tutte le altre”. Cassano, in un suo testo che è un inno alla prospettiva
mediterranea attraente e inclusiva, sottolinea che tra le società umane la
differenza è appunto “tra le identità-muro che hanno bisogno della guerra e
le identità che conoscono l’apertura del mare e hanno bisogno di amici, di
soci, di porti accoglienti e di trattati di pace”. Lo psicoterapeuta
Girolamo Lo Verso, aggiunge: “Poche cose come il mare rendono improbabile, e
un po’ metafisico, il concetto di frontiera che tanti sfracelli ha combinato
nella storia umana (…). Il marinaio, del resto, è sempre stato un cittadino del
mondo e precursore di una globalizzazione non omologante”. Continua Cavadi:
“Il mare insegna con la sua stessa struttura una solidarietà ontologica”;
“la navigazione non è forse la risultante della cooperazione di un intero e ben
articolato equipaggio?” ”La parte (…) è parte di un tutto e può
realizzare il proprio senso solo avendone consapevolezza e comportandosi di
conseguenza”.
Citando una frase di Hisamatsu, studioso del buddismo Zen “Come
un’onda non cade nell’acqua dall’esterno, ma proviene dall’acqua senza
separarsene”, l’autore conclude così: “Quando l’uomo scopre di
essere una delle innumerevoli sfaccettature dell’unico Prisma (…) in questa
prospettiva, la solidarietà è il riconoscimento attivo di un vincolo al di là
della polarità ‘altruismo’ ed ‘egoismo’.”
Affidiamoci allora alla grammatica delle immensità marine: “immergiamo
le orecchie nel suo ventre sonoro”; assumiamo “lo sguardo conoscitivo,
audace e aperto di Ulisse”; ricordiamo che “Senza l’infinito del mare si
va a fondo, risucchiati dal vortice del nostro antropomorfismo”. E infine,
nella nostra navigazione esistenziale, non abbandoniamo mai il remo del
pensiero, perché, come canta l’indimenticabile Lucio: “Il pensiero come
l’oceano … non lo puoi recintare”; e, come scrive Melville: “Ogni
pensare serio e profondo è soltanto l’intrepido sforzo dell’anima per mantenere
la libera indipendenza del suo mare.”.
Maria D’Asaro
Maria D’Asaro
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2 commenti:
Ciao Augusto,
bellissimo questo tuo pensiero basato sul senso della cooperazione umana, l'unica che può salvare l'umanità in condizione di attesa e che potrà salvarsi solo con uno sforzo comune dalla tempesta in cui è immersa:
“Il mare insegna con la sua stessa struttura una solidarietà ontologica”; “la navigazione non è forse la risultante della cooperazione di un intero e ben articolato equipaggio?” ”La parte (…) è parte di un tutto e può realizzare il proprio senso solo avendone consapevolezza e comportandosi di conseguenza”.
Mauro
Carissimo compare,
ieri pomeriggio tornando dal lavoro ho trovato il tuo libretto con dedica,
ho subito pensato : e quando lo leggo?, poi, dopo cena, mentre Pietro guardava la partita Germania- Italia,
io comodamente seduta nella mia poltrona l’ho letto tutto.
Non ho saltato nulla, è gradevolissimo, sicuramente per me più semplice perchè hai cambiato l’impianto da saggio a racconto ed io i racconti li amo perchè ci trovi l’umanità e l’anima delle persone che presenti.
Hai arricchito il tutto con dei brevi brani dei miei autori preferiti: Gibran e De Luca.
Che meraviglia, mi hai regalato una gradevolissima serata.
Bravo, scrivine altri così.
Anna lacommare
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