“www.nientedipersonale.com”
4.10.2017
IL TESTAMENTO POSTUMO DI UN CAPPUCCINO SCOMODO
A cosa rimanda il titolo di
questo libro postumo del biblista cappuccino Ortensio da Spinetoli, L’inutile fardello (Chiarelettere,
Milano 2017, pp. 88, euro 10,00) ? A tutto ciò che le chiese cristiane hanno
aggiunto, per superfetazione e per sovrapposizione, al messaggio originario di
Gesù. Da duemila anni cattolici, ortodossi, anglicani o protestanti di matrice
luterana hanno posto – sia pur in misura differente - ogni generazione davanti
a un bivio: o accetti tutto il pacchetto (vangelo + dogmi + riti + norme
morali) o lo rifiuti in blocco.
Davanti a questo ricatto morale
delle chiese – già nel 1994 Ortensio se ne occupava in un libro dal titolo
eloquente: La prepotenza delle religioni
– sempre più spesso, soprattutto nel nostro secolo, la gente si mostra decisa: tenetevi
tutto il pacchetto e noi ci inventiamo una nostra vita.
Che questa impostazione
assolutistica porti le chiese al suicidio sociologico può dispiacere solo
alcuni; più preoccupante che induca l’umanità a rifiutare – prima ancora di
esaminarli – i semi del vangelo del Nazareno. Perciò si va facendo sempre meno
esigua quella squadra di studiosi (di cui il biblista marchigiano è stato
pioniere) che tenta di destrutturare il ricatto: si può essere cristiani senza
accettare supinamente la dogmatica e la morale elaborate da san Paolo ai nostri
giorni.
Il libro riproduce una lettera
a un giovane confratello nella quale l’autore
si sofferma in particolare su tre fardelli (o su tre mattoni del fardello).
Innanzitutto una concezione magica della “rivelazione” come “Parola di Dio” in
senso letterale, non metaforico: “Se è vero che <<tutta la Bibbia è
ispirata>> (2 Tm 3,16; 2 Pt 1,21) non per questo è tutta <<parola
di Dio>>, poiché rimane sempre da chiarire ciò che appartiene a uno
strato e ciò che appartiene all’altro, ciò che funge da supporto e ciò che è il
messaggio, la vera proposta divina. E questa è sempre minima, il più delle
volte nulla, nel caso sempre ardua da determinare. […] Leggere e interpretare la Bibbia, pertanto, non è
questione di autorità ma di competenza, cioè di conoscenza del mondo, delle
lingue e del linguaggio biblico, se se non la si possiede non la si può
sostituire con nessun altro titolo […].
Non è facile togliere di mezzo i vescovi e gli esponenti dei dicasteri romani,
ma se questi potessero provare a tacere, se non altro per il troppo parlare che
hanno fatto fino adesso, ne avrebbe senz’altro un gran beneficio tutta la
comunità credente ” (pp. 8 - 9).
Un secondo tema su cui si sono
affastellati pesi superflui è costituito dalla personalità di Gesù: “Certo , si
può continuare a ripetere che è <<figlio di Dio>> ma non ci si
dovrebbe anche chiedere che cosa potesse
intendere un ebreo con tale attribuzione? Essa compare anche nel linguaggio di
altri popoli, e vale semplicemente per persone insigni (i faraoni) e uomini
carismatici, i taumaturghi, i sapienti (Platone) “ (p. 14). Egli è dunque un
profeta che parla di Dio per “correggerne l’immagine corrente”, sostituisce
quella del “Signore Onnipotente” con quella del “padre senza uguali, oltremodo
benevolo con tutti i suoi figli, anche se scapestrati (Lc 15, 11 – 24)”: un
padre che “sembra essere preoccupato,
più o prima che del suo onore, del bene e della felicità delle sue creature,
soprattutto delle più deboli e quindi delle più bisognose. Lo ha fatto
intendere inequivocabilmente fin dai suoi primi annunzi ufficiali, incentrati
non tanto sugli obblighi sacri o sulla gloria dell’Altissimo, ma sulle
necessità dei poveri, dei prigionieri, degli oppressi (Lv 4, 18), degli affamati, degli ignudi, dei
senzatetto, dei forestieri (Mt 25, 35 – 36)” (p. 16).
Un terzo tema sul quale si è
registrato un appesantimento inutile, anzi dannoso, del messaggio originario è
senz’altro l’eucarestia. Essa va
considerata “ il centro , il cuore della chiesa e della vita comunitaria”, ma a
patto di non perdere “il suo primo, vero significato originario” che, secondo
Gesù, “non si realizza nel mettere in scena quel complesso di riti, suoni e
canti che riempiono le liturgie festive o feriali, bensì nel tentativo di
verificare fino a che punto si è in grado di mettere in gioco la propria vita
per il bene materiale e spirituale dei propri simili” (p. 38). Nell’eucarestia,
insomma, si condensa e si esprime “un programma che caratterizza la vocazione
cristiana poiché costituisce il proprio, lo specifico, della medesima, ma che
rischia di vanificarsi quando l’eucarestia diventa una celebrazione per onorare
Dio, il quale non ha bisogno e non ha
chiesto nulla per la sua gloria ma aspetta solo, quasi con ansia, che si
aiutino le sue piccole e povere creature a crescere, a essere felici e in pace.
Il cristianesimo è unico proprio per queste sue dimensioni non religiose ma
umanitarie” (p. 40). Essere cristiani
significherebbe accogliere il contributo
che Gesù ha dato all’immensa, faticosa, universale, “laica” ricerca dell’umano
nella sua pienezza.
In conclusione: la storia del
cristianesimo è una storia di eresie, ma l’ortodossia cristiana è la prima,
radicale, grande eresia rispetto al vangelo: Essa, infatti, davanti alla “vera
rivelazione o rivoluzione messianica” -
il maestro pellegrino “non aveva preannunciato un nuovo culto, né stabilito un
diverso giorno per onorare il Signore, ma al contrario si era grandemente, per
non dire principalmente, preoccupato del rinnovamento dei rapporti interumani”
– ha “riportato la proposta originaria
di Gesù negli schemi comuni di tutte le religioni, in pratica di quella del
vecchio Israele” (pp. 60 – 61). Un po’ come aveva sentenziato fulmineamente Nietzsche:
“C’è stato un solo cristiano ed è morto sulla croce”.
Nelle Appendici troviamo il testo integrale di una Lettera a papa Francesco del 20
settembre 2013, a meno di due anni dall’improvvisa scomparsa dell’anziano
frate. In essa si propone al vescovo di Roma di convocare “un raduno dei
<dispersi d’Israele>, cioè di quanti nella chiesa hanno subìto
incomprensioni, preclusioni, esclusioni, condanne, a motivo non di reati ma
delle loro legittime convinzioni teologiche, bibliche o etiche […]. Quante Lampeduse, non diciamo Gulag, si possono riscontrare nella storia della
chiesa! Papa Benedetto, poco dopo la sua elezione, ha invitato nella sua villa
estiva Hans Küng, ma
quanti altri che pur ne avrebbero avuto diritto ha lasciato fuori? Non per
un’assoluzione o promozione, ma per quel tanto di dignità e di rispetto loro
dovuto e sempre negato” (p. 70).
AUGUSTO CAVADI
* Il libro sarà presentato e discusso alle 20,15 di
giovedì 5 ottobre 2017 presso la “Casa dell’equità e della bellezza” (v. N.
Garzilli 43/a, Palermo)
1 commento:
Ho il piacere di accompagnare p.Ortensio nei luoghi dove da piccolo portava al pascolo 1 .2 pecore quanta semplicita mi diceva come mai i miei compaesani mi vogliono cosi bene l'unico profeta in patria
Posta un commento