“Gattopardo”
Settembre 2017, n. 18
I SICILIANI SPIEGATI AI TURISTI (puntata n. 14)
Tra i
deterrenti che scoraggiano il turismo in Sicilia va annoverata, certamente, la
paura verso la violenza mafiosa. Diciamolo subito a scanso di equivoci: è una
violenza odiosa e vergognosa che non è stata ancora estirpata, ma solo
fortemente limitata, dall’azione meritoria delle Autorità giudiziarie e delle
Forze di polizia. Ciò premesso e chiarito, però, il viaggiatore - incerto se
visitare o meno la Sicilia - dev’essere consapevole di non correre nessun
pericolo personale. Deve avere ben chiara
in mente la differenza fra la delinquenza,
il terrorismo e la mafia.
La delinquenza,
più o meno presente sull’intera faccia del pianeta, colpisce
indiscriminatamente chiunque si trovi a tiro: scippa la borsa di una passante a
caso (come mia moglie qualche mese fa a Montpellier) o deruba il primo
appartamento vuoto che gli capita di individuare (come la casa di una signora
nei giorni in cui eravamo suoi ospiti, alcuni anni fa, a Salvador de Bahia). La violenza terroristica è già più oculata: non spara sul mucchio, ma
su una determinata categoria sociale. Fa esplodere una moschea perché islamica
o una chiesa perché cattolica; uccide un giudice perché fa parte della
magistratura o un banchiere perché fa parte di un ceto finanziariamente dominante.
Può anche avere di mira dei turisti in un albergo o in museo: ma proprio in
quanto turisti, nel caso si voglia danneggiare l’immagine di un Paese.
Niente di
simile è mai accaduto, o potrà accadere, per
la mafia. Essa non uccide né alla cieca (come i delinquenti) né per colpire
una determinata categoria sociale (come i terroristi) : non il giudice in
quanto giudice, o il banchiere in quanto banchiere, ma “quel” giudice o “quel”
banchiere perché – a torto o a ragione, quasi sempre a torto – si ritiene che abbia
compiuto uno “sgarbo”.
Lo notava già
nell’anno 1900 uno dei più grandi sociologi italiani, Gaetano Mosca: “Reati che
altrove non avrebbero alcun movente personale, che sono ordinariamente
perpetrati da rei professionali che scelgono indifferentemente per vittime
tutti gli individui che si trovano alla loro portata, in Sicilia assumono la
parvenza di una vendetta per un torto vero o supposto che il reo, o qualche suo
parente od amico, avrebbe subìto da parte della vittima; ben inteso che spesso
il torto accennato non è la vera causa ma piuttosto il pretesto del fatto
delittuoso”. Lo stesso sociologo traeva una conclusione che, dopo più di
cent’anni, conserva intatta la sua attualità: “E’ per questa ragione che gli
Italiani del continente ed in generale tutti i forestieri che viaggiano od
anche abitano in Sicilia sono quasi sempre rispettati dai malfattori, perché,
non avendo il forestiero in generale rapporti con la classe delinquente, è
difficile che contro di lui possa addursi il pretesto di una vendetta
personale”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
Nessun commento:
Posta un commento