“Centonove”
21.9.2017
E SE LO PSICOTERAPEUTA SI CONCENTRASSE SUL BENESSERE
DEL PAZIENTE?
Già a metà
degli anni Novanta del secolo scorso Giovanni Fava formulò l’ipotesi che, a
lungo termine, i farmaci anti-depressivi potessero non solo perdere d’efficacia
ma, addirittura, cronicizzare la malattia (un po’ come accade con il “paradosso
degli antibiotici” per il quale “gli agenti più efficaci nel trattamento delle
infezioni batteriche sono anche la causa principale della selezione e della
diffusione di forme resistenti”). Un’ipotesi che, ovviamente, andava e va
“controcorrente rispetto alla propaganda farmaceutica”. Da qui la necessità di
sostituire, o per lo meno d’integrare, il trattamento farmacologico con un
approccio psicoterapeutico. Come racconta nel suo recente Psicoterapia breve per il benessere psicologico (Cortina, Milano
2017, pp. 178, euro 19,00), Fava adottò – con qualche successo ma non senza
insoddisfazione – la pratica della terapia cognitivo-comportamentale (TCC) che
gli confermò l’intuizione, oggi più condivisa, che “la guarigione non è
semplicemente l’assenza della malattia, ma richiede anche la presenza del
benessere”; che – detto in termini equivalenti – “l’obiettivo della
psicoterapia non era necessariamente la riduzione dei sintomi, ma piuttosto
l’aumento del comfort personale e del
senso di efficacia”.
Per raggiungere
questo obiettivo l’autore elabora una sua metodologia, la Well-being therapy (WBT) o “Terapia del benessere”, di cui in
questo testo espone il processo di validazione e una serie di esemplificazioni
(solitamente scandite in un numero limitato di sedute quindicinali:
orientativamente fra quattro e dodici). La terapia nasce, originariamente, per
evitare le ricadute dei pazienti soggetti a depressione (anche bambini e
adolescenti), ma è stata ed è applicata a varie patologie come l’oscillazione
dell’umore, il disturbo d’ansia generalizzata, il panico, l’agorafobia, le
sofferenze da stress post-traumatici
(comprese violenze subite); anzi, “il protocollo basato sulla WBT potrebbe
essere utile per promuovere meccanismi di resilienza e di benessere
piscologico” anche in contesti educativi, come scuole e comunità, oltre che in
ambiti non ancora esplorati come patologie croniche inguaribili, disturbi del
comportamento alimentare, invecchiamento.
Come si
evince da questi brevi cenni il libro è destinato, primariamente, agli
psicoterapeuti (specie se provenienti dalla psichiatria), ma è istruttivo anche
per quanti, come me, operano in settori professionali differenti, per almeno
due ragioni. Innanzitutto per conoscere ciò che germoglia di nuovo su un
versante terapeutico in modo da potersi orientare, in caso di necessità propria
o altrui. Poi – ma questo è un motivo legato alla mia biografia – per il
piacere di constatare che la filosofia non cessa di costituire una miniera
preziosa per quanti, pur specialisti rigorosi in un ramo scientifico, non si
rassegnano acriticamente a chiudersi in esso. Fava conclude infatti così il suo
manuale pionieristico (dove per altro non mancano riferimenti alla ricerca di
un senso della vita) : “L’obiettivo
della WBT potrebbe sembrare ambizioso. Come il filosofo latino Seneca mette in
guardia nel suo scritto De vita beata,
tanto più inseguiamo la felicità, tanto più diminuiranno le probabilità di
raggiungerla. La felicità non è tutto e per coglierla è necessario avere un felicitatis intellectus”, una comprensione di cosa sia davvero.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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