“Centonove”
7.9.2017
L’INSOPPORTABILE CLIMA A PALAZZO ABATELLIS
Non possiamo trasformarci in un popolo di taxisti e
cameriere (due mestieri, per altro, che possono svolgersi assai nobilmente), ma
c’è poco da discutere: il turismo è la nostra irrinunciabile miniera. Si tratta
di evitarne la degenerazione, l’aggressività devastante; di qualificarne le
modalità; ma, insomma, va salvaguardato come l’industria del presente e
soprattutto del futuro. E’ ciò che facciamo, che stiamo facendo anche in questa
estate 2017 in cui siamo favoriti dalla dolorosa contingenza dell’insicurezza
di molti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo (soprattutto africani e
medio-orientali)?
Molti
episodi attesterebbero il contrario. Maria Grazia Zamboni è una signora veneta che, per
quest’anno, ha deciso di visitare Palermo in compagnia del marito. Le bellezze naturali
e artistiche non l’hanno delusa, le stranezze antropologiche invece sì. E
molto. Ha inviato alle autorità competenti una lettera-denunzia interamente
dedicata a Palazzo Abatellis, sede del nostro museo regionale. In sintesi la
signora riferisce tre choc in
progressione di gravità.
Dopo la prima
sala, in cui erano disponibili dei fogli illustrativi delle opere d’arte, dalla
seconda in poi c’erano solo i fogli in inglese o
non ce n’erano per nulla. Interrogato, un sorvegliante risponde: “Eh,
se li portano via i turisti…”. Come se fosse una calamità naturale
imprevedibile, non un abuso che proprio gli addetti alla sorveglianza
dovrebbero evitare. Magari con l’ausilio di qualche accorgimento tecnico
elementare come avviene in tutto il mondo civile.
Seconda (amara)
sorpresa: tranne in un salone, l’aria condizionata non funziona (con disagio
dei visitatori e ovvi rischi per le opere d’arte). Infatti ben quattro
sorveglianti erano in terrazza a sventolare i ventagli. Una delle quattro signore, interpellata,
espone le sue inossidabili ragioni: “L’impianto
funziona, ma quando un boccione d’acqua si riempie non c’è nessuno incaricato di
svuotarlo. Né con questa temeperatura qualcuna di noi può entrare in sala a
controllare e svuotare i boccioni d’acqua: non possiamo rischiare, con questo
caldo, di dover ricorrere alle cure mediche del 118!” . Già, infatti in tutto
il nostro emisfero, con l’afa che impazza, girano per le gallerie d’arte, ogni
tre ore, tecnici specializzati in svuotamento di boccioni d’acqua rilasciata
dai condizionatori, debitamente muniti di tute ignifughe…
La signora e il marito non fanno in tempo a
riprendersi dalle prime due randellate ed ecco che vengono raggiunti da una
terza (se possibile, ancora più vigorosa). Alle 14 esatte, infatti, una serie
di cartelli vengono affissi a varie porte con l’avviso “Sala chiusa”. E ciò
nonostante all’ingresso campeggiasse il cartello che annunziava “Orario
continuato dalle 9 alle 18,30”. Questa
volta la risposta delle sorveglianti è un po’ meno arrogante, il tono della
voce rivela qualche incertezza. Prima un’attenuante: “Sì, chiudiamo le sale e
l’ingresso al museo, ma solo per tre quarti d’ora”. Poi, alle strette, la
ragione altamente etica della sofferta decisione: “Anche noi abbiamo diritto
alla pausa pranzo”.
Scrivo
queste note da Shangai durante un giro che ha toccato innumerevoli siti museali
cinesi impeccabili da ogni punto di vista e queste notizie mi arrivano davvero
da un altro mondo. Prima di inviarle in redazione mi accerto della veridicità
di ogni dettaglio. e della attendibilità della testimonianza: che, come
potranno leggere i destinatari istituzionali della lettera originaria della
signora Zamboni, riguarda fatti svoltisi il
venerdì 14 luglio 2017, dalle
12,05 alle 14,10. Ora italiana, ovviamente.
Augusto
Cavadi
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Gravissimo, squallido e inaccettabile. Ti prego, Augusto, di tenerci informati degli sviluppi. Nell'auspicio che qualcuno -sorveglianti, impiegati, funzionari, amministratori, direttore del museo, sovrintendente alle belle arti, sindaco- abbia la decenza di assumersi qualche responsabilità. Da non crederci.
Articolo/denuncia necessario e ineccepibile. Questo è giornalismo civico.
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