“VIOTTOLI”
Semestrale di formazione comunitaria
Anno XX, n. 1/2017
SPIRITUALITA’
SI’. MA QUALE ?
Se si abbia
bisogno o meno di religione, possiamo discuterne (e le opinioni in campo sono
le più disparate). Non così se si abbia bisogno
di spiritualità. Qui la convergenza sulla risposta affermativa è molto
più affollata (se si escludono alcuni interlocutori così condizionati, sia pur
dialetticamente, dal clericalismo da respingere ogni ipotesi di spiritualità
solo perché incapaci di supporne una non-confessionale). Ma se tutti (o, per lo
meno, molti) siamo convinti della necessità e dell’urgenza di una spiritualità
per il nostro tempo (post-moderno o, secondo altri, iper-moderno), è anche vero
che ognuno di noi ha poi una sua particolarissima idea di spiritualità: analoga, nel migliore dei casi, alle idee degli altri. E l’analogia, comunque, indica (nella sua
accezione originaria, tecnica) una
somiglianza parziale che non esclude una dissomiglianza ancora maggiore.
Per dialogare
sul tema, quindi, anche nei contesti meno polemici e più meditativi che si
possano immaginare, è indispensabile un’ auto-riflessione su ciò che ognuno di
noi intende per “spiritualità”, a partire dall’esame di come la vive
effettivamente. Una sorta di autocoscienza che porti ciascuno a esplicitare una
propria concezione di “spiritualità”.
A tale scopo potrebbe
riuscire istruttivo una sorta di check-up
sulla base di alcuni parametri. Innanzitutto: per me spiritualità si oppone a corporeità?
Ritengo che la mia vita sarà sempre più spirituale quanto minori saranno le
concessioni alle esigenze fisiche, alle potenzialità atletiche, ai desideri
sessuali, agli acciacchi dell’età?
Un secondo
parametro: per me spiritualità si
oppone a socialità? Ritengo che la
mia vita sarà sempre più spirituale quanto minori saranno le occasioni di
relazioni umane (di coppia, di comunità, di gruppo, di movimenti, di partiti,
di sindacati…)? Penso che l’interiorità sia non solo necessaria, ma anche
sufficiente a coltivare in pienezza la personalità?
Un terzo
parametro: per me spiritualità si
oppone a prassi? Ritengo che la mia
vita sarà sempre più spirituale quanto minori gli impegni professionali, le
iniziative pratiche, i progetti operativi? Penso che la contemplazione sia non
solo necessaria, ma anche sufficiente a realizzare la mia umanità?
A seconda
delle risposte che diamo a ciascuna di queste domande, e di come tali risposte
si incastrano in cento combinazioni possibili, avremo altrettante
interpretazioni della vita spirituale. In altre epoche, e in altre culture,
questa varietà di prospettive è stata considerata dispersiva e le grandi
istituzioni (soprattutto religiose) hanno provato a sfoltirla per pervenire a poche
tipologie codificate: il bramanesimo, l’eremitaggio, il monachesimo cenobitico
, l’impegno nel mondo del lavoro e degli affari, la militanza armata (prima di
condannare alcuni preti latino-americani coinvolti nella guerriglia, la Chiesa
cattolica ha approvato per secoli gli Ordini cavallereschi)... Oggi, per
fortuna, sarebbe impensabile ridurre a uno, o a pochi modelli, le vie e i metodi
e gli stili della ricerca spirituale in
ciascuna area del pianeta. Il pluralismo s’impone sempre più nell’ambito della
stessa confessione religiosa, della stessa regione geografica, persino della
stessa famiglia. Forse, addirittura, ognuno di noi - secondo i periodi della
sua evoluzione e le circostanze oggettive in cui viene a trovarsi – avverte l’esigenza di
sperimentare declinazioni diverse della propria dimensione spirituale.
Dobbiamo
dunque concludere che, nel campo della spiritualità, “va tutto bene”?
Sulla base di
quanto ho maturato in più di sessant’anni di tentativi, errori, riprese e
rilanci, direi che - pur con tutta la
pluralità ammissibile, anzi auspicabile – una spiritualità matura e costruttiva
dovrebbe fare tesoro delle lezioni delle grandi religioni millenarie, nel
doppio senso di inverarne le risorse
preziose e di evitarne le conseguenze
dannose.
Non c’è
dubbio che le religioni offrano risorse
preziose: una tradizione nel cui alveo inserirsi, una dimensione
comunitaria nella quale riconoscersi, una scuola di preghiera consolidata nel
tempo, la possibilità di essere spronati da confratelli ricchi di carismi,
delle norme collaudate dall’esperienza …Ma la storia insegna che si tratta di
lame a doppio taglio e su ogni risorsa incombe il rischio della degenerazione devastante: la tradizione
tende a scadere in tradizionalismo, l’appartenenza comunitaria in conformismo,
la docilità nei confronti dei maestri in dogmatismo, l’ammirazione per i carismi
in culto della personalità, il rispetto delle regole in legalismo…
Se questo è,
sostanzialmente, vero, ogni esperienza spirituale è chiamata a sottoporsi a un test del genere: quanto somiglio alle
espressioni ‘alte’ delle religioni (espressioni che attraggono la stima
ammirata anche dei miliardi di esseri umani che non praticano quelle
determinate religioni) e quanto sono distante dalle espressioni ‘basse’ delle
medesime (espressioni tollerate con disagio anche dai fedeli che si riconoscono
in quelle determinate religioni)? O, se si preferisce adottare la terminologia
della pensatrice statunitense Martha Nussbaum, quanto una spiritualità mi fa “fiorire”
come persona e quanto mi soffoca, mi
rattrappisce, mi isola?
In altre fasi
della vita sono stato molto più indulgente nell’accettare compromessi fra ciò
che la coscienza mi dettava e le strutture ‘religiose’ in cui mi trovavo ad
agire (anche perché la tattica del compromesso alleggeriva la mia
responsabilità e mi evitava rogne di vario genere). Con il tempo divento meno
remissivo. Non con le persone (a cominciare da me) di cui conosco troppo bene i
limiti, le debolezze, verso cui anzi mi viene sempre più facile la comprensione
solidale, ma con gli assetti istituzionali (chiese, comunità, associazioni,
centri di spiritualità, scuole…). Non riconosco a nessuno il diritto di
sfruttare la fame di spiritualità autentica che ci attanaglia, di barattare
facili consolazioni e ricette miracolistiche in cambio di sudditanza e di oboli
finanziari. In questo campo vige intatto il detto latino: corruptio optimi pessima . Già: più alti sono i valori in gioco,
più grave ogni tentativo di strumentalizzarli a scopi beceri.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
1 commento:
Caro Augusto,
la tua riflessione giunge davvero appropriata in questa fase: infatti il valore spiritualità rischia di essere frainteso e tu ne metti ben in evidenza i rischi con quel "corruptio optimi pessima". Come sai, lavoro ormai da molti anni come volontario con gli emigranti e nell'ultimo anno anche con i rifugiati. Spesso mi sono domandato: ma l'incontro tra umanità allo stesso tempo, comune e differente è spiritualità? Quale valore ha, se costituisce un alibi per rifuggire da una realtà concreta che ogni giorno ci interroga in modo ineludibile? Credo che una risposta la dia oggi papa Francesco con un messaggio profondamente innovatore sempre attento ad accostare Vangelo e attenzione all'umanità degli esclusi. Ancora prima l'aveva data don Lorenzo Milani, quando metteva al primo posto della pastorale i poveri. Purtroppo c'è un modo di intendere l'impegno nel sociale come protagonismo se non anche carrierismo, che distruggono il valore spirituale della socialità anche in gruppi e persone vicine alla stessa Chiesa. Buon Ferragosto e grazie delle tue riflessioni
Mauro
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