In tanti mi chiedete come sia andato il viaggio di Adriana e mio in Cina. Nel complesso un'esperienza davvero interessante anche perché, grazie all'associazione interculturale "Casa officina" di Palermo, abbiamo potuto incontrare anche raltà sociale del tutto fuori dai circuiti turistici.
Qui di seguito alcune note che ho preso nel viaggio di ritorno.
Nella foto sono con la guida che ci ha accompagnato nella "Città proibita" di Pechino, visibilmente contento di ricevere una copia in cinese del mio libretto "I siciliani spiegati ai turisti".
Può un
viaggio incuriosirti, a tratti divertirti, ma lasciarti nell’animo soprattutto
un senso di smarrimento, di scoraggiamento? E’ quanto mi è capitato dopo le due
settimane in Cina. E se l’impressione è netta, non altrettanto nitide mi
risultano le ragioni che hanno concorso a formarla.
Il dato
immediato, macroscopico, è che mi si è parato innanzi un mondo dove tutto è
sproporzionato rispetto alle mie misure abituali o, per lo meno, oggettivamente
colossale. Sbarchi a Pechino e il bus che ci preleva impiega ore per
raggiungere l’albergo: già le distanze sono ciclopiche (la circonvallazione più
esterna della città è di circa 900 kilometri), cui si aggiunge il caos del
traffico automobilistico (gli abitanti ufficialmente registrati sono circa 20
milioni, senza considerare i secondi geniti che per decenni non potevano essere
dichiarati all’anagrafe). Ma distanze e popolazione non colpiscono quanto il
numero e la mole dei grattacieli: edifici di una bellezza spesso abbagliante,
che si slanciano arditamente ad altezze vertiginose che non ho mai visto in
presenza (forse perché non sono mai stato a New York).
Una prima
razionalizzazione del mio senso di disorientamento potrei definirla di ordine ecologico. Per
decenni avevo sentito affermare, e avevo qualche volta ripetuto, che i cinesi
avessero il diritto di godere delle nostre comodità e dei nostri consumi di
Occidentali, ma che – quando ciò si fosse avverato – il pianeta sarebbe entrato
in una fase terminale. Ebbene, dopo poche ore hai la certezza che quel momento
di occidentalizzazione dell’Oriente è già arrivato: che le automobili di lusso,
le moto, i condizionatori d’aria, le luci notturne per ornamento o per
pubblicità…sono già una diffusa, imperante, tracimante realtà. Te lo conferma
il cielo di Pechino o, per essere più esatti, quella coltre di nuvole e di smog
che si frappone senza fessure fra te e il cielo. Una sorta di illuminazione ti
fa intuire perché molti, soprattutto fra i giovani, camminano con il viso
bendato e gli occhialoni: un estremo, forse vano, tentativo di difendersi da
un’atmosfera innaturale. E allora è come se vedessi, in anticipo rispetto al
prossimo futuro, il panorama – surreale e inquietante – delle città che sei
solito abitare.
Quando il tuo
sguardo si volge verso la quotidianità noti dappertutto i simboli della più
sfacciata ricchezza capitalistica: ristoranti di lusso, banche di ogni genere, negozi
del made in Italy, cellulari diffusi
capillarmente. Non solo nei buffet degli
alberghi la mattina, ma anche in tutti i
locali – di media categoria – in cui siamo andati a mangiare, vengono servite
al centro della tavola portate gustosissime e abbondantissime: con stupore,
prima, con amarezza dopo, constato che tutto il cibo che rimane viene raccolto
indistintamente in sacchi di rifiuti. In alcuni ristoranti mi dicono che
servono sino a seimila pasti a ogni pranzo: quanti chili di roba vengono
gettati (spero, almeno, per nutrire animali)? Né la situazione è differente
quando i turisti sono, o mi sembrano, indiani: il mio immaginario è fermo a
quando in Italia raccoglievamo soldi per contrastare la carestia in quella zona
meridionale dell’Asia, adesso vedo ospiti provenienti da quelle aree che, alla
colazione mattutina negli alberghi,
riempiono i vassoi del doppio o
del triplo di quello che poi effettivamente consumano. Di contro a tanto spreco
ti aspetteresti, almeno, che ciò accompagnasse la scomparsa dei casi eclatanti
di miseria. Ma non è così. Né in città grandi (dove ho visto con i miei occhi
rovistare tra i cestini della spazzatura per racimolare qualcosa da rosicchiare
o da succhiare) né in zone naturalistiche montuose (dove per sentieri impervi
ho visto salire e scendere uomini di varia età che trasportavano in spalla
turisti e merce varia: in un caso un poveruomo – icona plastica del Nazareno
sulla via del Calvario – portava sulla spalla delle travi di ferro incrociate).
Un raro, rarissimo ritratto di Mao opera come un flash e intuisci che una seconda ragione di scoramento è di ordine,
per così dire, politico. Nel tuo immaginario, implosa l’Unione Sovietica e morto Fidel Castro, la Cina popolare era
rimasta l’ultimo modello alternativo al capitalismo: un modello certo criticabile,
imperfetto, per molti versi crudele, comunque alternativo alla dittatura del
profitto ad ogni costo. Invece non c’è neppure uno Stato sociale efficiente: mi
spiegano che denti e occhi vengono curati bene solo se si ha un’assicurazione
sanitaria, quasi peggio che in Italia. Un ragazzo di Berna incontrato per caso
in un bar con i suoi genitori, che studia musica in Cina, frequenta i coetanei
e parla bene il cinese, lo conferma senza esitazioni: “Qui non c’è un mezzo
capitalismo moderato da un mezzo socialismo, c’è il capitalismo puro. Di
comunista c’è solo censura e repressione, ma i giovani le sopportano sempre
peggio: la Cina è una pentola in ebollizione e, se il governo non darà maggiori
concessioni anche sul versante delle libertà civili, si troverà a dover
fronteggiare delle rivolte destabilizzanti”. Il padre, un docente di musica
classica in quiescenza, aggiunge una nota interessante: “In Italia avete ancora
memoria della solidarietà sociale: per questo vi fa ancora più impressione il
divario fra ricchi sempre più ricchi e poveri che restano tali”.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
3 commenti:
E ritorna Montaigne che citava Lucano che a sua volta sintetizzava la concezione dello stare al mondo di Catone il Giovane; il giro è lungo ma l’indicazione è puntuale e sempre più attuale:
« Conservare la misura, rispettare il limite e seguire la natura. »
Insomma dall'occidente hanno importato il peggio...
Una cronaca/riflessione davvero esemplare, caro Augusto. Che conferma con la forza della testimonianza diretta quanto da tempo è già evidente di quel capitalismo di stato.
Posta un commento