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7.8.2017
MAFIA E
ANTIMAFIA SECONDO PIPPO FAVA
L’ora di
mafia e di antimafia a scuola: una novità da introdurre (per legge) o un
pericolo da evitare a tutti i costi? Da una parte è vero che non si può uscire
da un ciclo scolastico di 12 anni (dalla prima elementare all’esame di
maturità) senza avere un’idea, almeno sommaria, di cosa sia la mafia e di come
sia possibile contrastarla; ma, dall’altra, è altrettanto vero che il sistema
scolastico - come si è andato
effettivamente strutturando dalla Repubblica a oggi – sembra un gigantesco Re
Mida che rovina ciò che tocca, che banalizza e rende noiosa ogni tematica
(soprattutto quando viene affrontata da docenti obbligati a ciò, ma privi di
sincera passione).
La vexata quaestio (alla quale non so dare,
dopo molti anni, che la stessa risposta: di mafia e antimafia a scuola se ne
parli, ma occasionalmente e solo quando si ha la disponibilità di esperti - meglio se interni al mondo della scuola –
preparati e soprattutto motivati) mi è tornata in mente studiando attentamente Cosa Vostra.
Mafia e istituzioni in Italia (Autodafé, Milano 2017, pp. 253, euro
12,00) dell’attivissimo professor Fabio Giallombardo. Un testo che gli
eventuali esperti preparati e motivati potranno adottare come prezioso
strumento didattico dal momento che si distingue, in una lunga lista di titoli simili, per alcune
caratteristiche che lo rendono singolarmente interessante: prima fra tutte,
l’essere stato tessuto adottando come trama le opere di Pippo Fava, il
giornalista catanese (d’adozione) assassinato nel 1984 proprio per stroncare la
sua instancabile attività di indagine e di denunzia del fenomeno mafioso in
Sicilia (e, come egli ben vedeva e urlava, nei gangli più rilevanti dell’intero
ordinamento statuale).
La scelta
metodologica di seguire come traccia la prospettiva di Fava consente all’autore
di imprimere alle sue pagine una seconda caratteristica positiva: senza
concessioni all’immaginario simbolico e al folklore mafiologico, tiene ferma la
sbarra sull’aspetto politico di Cosa nostra, sulla sua diabolica capacità di
oltrepassare il livello della delinquenza localistica e della violenza
ordinaria per farsi interlocutrice degli organi costituzionali e, dove
possibile, per infiltrarvisi e strumentalizzarli. Insomma, si capisce molto
bene perché la mafia, lungi dall’essere l’anti-Stato, sia, o miri a diventare,
Stato. Particolarmente istruttive mi sono risultate le pagine dedicate ai
rapporti fra la nascente mafia siciliana e la succursale statunitense che, nel
periodo di repressione fascista in Sicilia, ha svolto il ruolo di rifugio dei
boss esiliati e, per così dire, di palestra in attesa del ritorno in patria
alla fine della Seconda guerra mondiale.
Come spesso
accade, i pregi di un’opera comportano -
a mo’ di risvolto – limiti correlativi. In questo caso la meritoria concentrazione
sulla mafia come “soggetto politico” (Umberto Santino) ha comportato una certa
sottovalutazione di altre sue dimensioni non meno rilevanti, quali le valenze etica
e pedagogica (alle quali vengono dedicate delle osservazioni interessanti, ma en passant). Sottovalutazione che si
coniuga, con coerenza logica, all’opinabilità di alcune tesi di Fava: ad esempio che la mafia,
a differenza della camorra napoletana, avrebbe poco bisogno del consenso
convinto delle masse, bastandole l’omertà per terrore. Se, invece, come propendo
a ritenere, la mafia cercasse costantemente un consenso fatto di seduzione e di
minaccia, di carota e di bastone, analizzarne le strategie simbolico-culturali
sarebbe altrettanto rilevante che individuarne le mosse tattico-politiche.
Il lettore
avvertito di queste possibili riserve saprà valorizzare questo testo per quello
che è e vuole essere: un invitante aperitivo che introduca a una ricerca ancor
più impegnativa su un fenomeno che proprio della complessità
pluridimensionale ha fatto il segreto della sua micidiale persistenza nella
storia dall’Unità d’Italia a oggi.
Augusto Cavadi
www.augustocavadi.com
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