“Repubblica – Palermo”
8.6.2017
SU TOTO’ RIINA DECIDANO I PARENTI DELLE VITTIME
E’ giusto
che Totò Riina muoia dignitosamente a casa sua? Se la risposta dev’essere,
seccamente, un sì o un no è assai arduo darla in maniera ponderata. Per fortuna
la storia recente offre una terza via. Già dai tempi in cui la Repubblica
Sudafricana raggiunse una pacificazione sociale, dopo decenni di guerre civili
fra bianchi e neri, si conoscono i tribunali della riconciliazione: luoghi in
cui carnefici e parenti delle vittime (se lo vogliono) si incontrano, si
guardano negli occhi, si parlano, L’ottica è quella della giustizia
“rigenerativa”, al di là di una volontà inossidabile di vendetta (che fa male a
chi la prova almeno quanto danneggia il colpevole cui è diretta) come di un
facile perdonismo buonista (che offende la memoria dei caduti almeno quanto la
sensibilità dei congiunti sopravvissuti). Non si tratta di una metodologia
utopistica in senso spregiativo: è già realizzata in centinaia di programmi di
mediazione fra vittime e aggressori in numerosi Paesi (Belgio, Germania,
Inghilterra, Repubblica Ceca, Ungheria, Paesi scandinavi).
Alla luce di
un convegno nazionale svoltosi proprio a Palermo nel 2005 (i cui atti sono
ancora disponibili nel volume Nonviolenza
e mafia. Idee ed esperienze per un superamento del sistema mafioso, curato
per l’editore Di Girolamo dal sociologo
Vincenzo Sanfilippo) si potrebbe immaginare, nel caso in esame oggi, una
qualche forma di confronto fra Totò Riina e i familiari delle sue vittime
eventualmente disponibili. La decisione finale dovrebbe spettare a questi
ultimi sulla base degli elementi acquisiti nel corso di numerosi, pazienti,
colloqui.
Dopo un
quarto di secolo in galera, il mafioso di Corleone mostra di aver compreso
l’immensità del male commesso? E’ sinceramente dispiaciuto? Ha compiuto qualche
gesto, almeno simbolico, di risarcimento nei confronti delle persone private
brutalmente di affetti legittimi? E’ disposto a dichiarare pubblicamente il
proprio errore e il proprio pentimento per dissuadere altri giovani mafiosi dal
ripercorrere le sue strade di morte? O, invece, egli è ancora intestardito
nella convinzione di aver realizzato un progetto di vita accettabile? E dunque
per nulla pentito di ciò che ha fatto e per nulla disposto a rimediarvi?
Intende conservare sino alla fine l’immagine di gigante del male che lascia
alle nuove generazioni la testimonianza dell’irriducibilità?
Una decisione
assunta dai congiunti delle vittime di mafia, dopo un’attenta (e sofferta)
disamina di queste variabili, avrebbe un peso e una dignità morale
indiscutibili. Qualora invece a decidere dovessero essere dei giudici terzi,
sulla base di norme che non possono che essere astratte e di carte che non
possono che essere anonime, ho il timore che la sentenza lascerebbe la bocca
amara. Sia che andasse in un senso o nel senso opposto.
Augusto Cavadi
Presidente della Scuola di formazione etico-politica
“G. Falcone” di Palermo
www.augustocavadi.com
2 commenti:
Caro Augusto, la tua riflessione/proposta è molto interessante, anche nella parte conclusiva che si riferisce all'insufficienza burocratica "dei giudici terzi".
A me sembra una proposta anche sottilmente e sicilianamente ironica. Alle puntuali ed esaustive domande che poni:
==========
"Dopo un quarto di secolo in galera, il mafioso di Corleone mostra di aver compreso l’immensità del male commesso? E’ sinceramente dispiaciuto? Ha compiuto qualche gesto, almeno simbolico, di risarcimento nei confronti delle persone private brutalmente di affetti legittimi? E’ disposto a dichiarare pubblicamente il proprio errore e il proprio pentimento per dissuadere altri giovani mafiosi dal ripercorrere le sue strade di morte? O, invece, egli è ancora intestardito nella convinzione di aver realizzato un progetto di vita accettabile? E dunque per nulla pentito di ciò che ha fatto e per nulla disposto a rimediarvi? Intende conservare sino alla fine l’immagine di gigante del male che lascia alle nuove generazioni la testimonianza dell’irriducibilità?"
==========
credo infatti che la risposta certa sia 'No' (e penso che tu lo sappia meglio di me). Se Riina rispondesse 'Sì" anche a una soltanto di queste domande, sarei disposto a rivedere seriamente le mie tesi sull'inesistenza del libero arbitrio.
Come vedi, sono così serenamente sicuro della risposta da poter scommetterci molto :-)
Vado un poco oltre e mi spingo sino a qualcosa che certamente non è nelle tue esplicite intenzioni ma -come sai- non sono soltanto esplicite le nostre intenzioni. Vale a dire, credo che vincolare il ritorno a casa di Totò Riina alla risposta a queste domande sia una intelligentissima forma di "inossidabile vendetta".
L'esposizione chiara e saggia di Augusto suscita la mia ammirazione. Però l'arguta e, come al solito, puntuale riflessione\replica di Alberto non solo mi spinge all'ammirazione ma mi stordisce! Sono indeciso. Non mi aiuta nulla, sia che esista il libero arbitrio (perché dovrei decidere) sia che non esista (in quanto avrei già deciso)!
P.S. Mi piacerebbe di più -forse- che Riina rimanesse in carcere... Lo so, mi sono già contraddetto!!
Posta un commento