"ADISTA" ( n° 18 del 13-05-2017)
«Confratelli dell’Arcidiocesi di Palermo, vi
scrivo per comunicarvi che consegno nelle mani del Santo Padre la
rinunzia alla mia consacrazione come vescovo ausiliare
dell’Arcidiocesi». Si conclude così, con la rinuncia all’incarico, lo
strano caso del vescovo ausiliare di Palermo p. Giovanni Salonia,
nominato ufficialmente con bolla pontificia a coadiuvare l’arcivescovo
mons. Corrado Lorefice lo scorso 10 febbraio, ma bloccato dalla
richiesta, dal parte del nunzio apostolico mons. Adriano Bernardini, di
un «supplemento d’indagine» prima che avvenisse la consacrazione
episcopale. Consacrazione che, ovviamente, a questo punto non avrà luogo
(v. Adista Notizie n. 16/17): a qualcuno, evidentemente, il brillante
religioso cappuccino, psicologo e psicoterapeuta ragusano - responsabile
della formazione permanente per la Provincia Cappuccina di Siracusa, da
anni condirettore della Scuola postuniversitaria di specializzazione in
psicoterapia della Gestalt Human Center Communication Italy - scelto da
papa Francesco non andava giù. «I “veleni” che attraversano la Chiesa
palermitana hanno prevalso», ha scritto Francesco Antonio Grana del sito
Il Faro di Roma, che ha seguito da vicino la vicenda. E lo stesso papa
Francesco, alla fine, ha chiesto al religioso di dimettersi.
«Avevo accettato - scrive Salonia a Lorefice in una lettera da
Modica, il 18 aprile, pubblicata sul portale online - in spirito di
servizio ecclesiale questo impegnativo e delicato ufficio, a cui, in
modo imprevisto e inaspettato, ero stato chiamato. Tale nomina, mentre
in tanti aveva suscitato sentimenti di gioia e di speranza, in qualcun
altro ha provocato intensi sentimenti negativi con attacchi nei miei
confronti infondati, calunniosi e inconsistenti, ma che potrebbero
diventare oggetto di diverse forme di strumentalizzazione, anche di tipo
mediatico. Iniziare un servizio ecclesiale in un tale clima mi avrebbe
sottratto energie e serenità nel portare avanti il ministero a cui ero
chiamato e, ancor più, avrebbe turbato la serenità e la gioia della
comunità ecclesiale». Il riferimento, sostiene Grana, sarebbe a accuse
di violazione del celibato. «Non voglio in alcun modo che l’esercizio
del mio ministero possa essere inquinato. Rassicuro coloro che
potrebbero restare delusi della mia rinuncia: conservo viva e intatta la
disponibilità a collaborare sempre, per quel che può essere utile, alla
‘edificazione del Corpo di Cristo’ (Ef 4,12) che è la Chiesa», scrive
Salonia, motivando la rinuncia con «con la dignità interiore di chi
mette in secondo piano i propri diritti pur di servire la Chiesa e con
lo stesso amore ecclesiale con cui avevo accettato la nomina» e
ringraziando Lorefice «per la stima e l’affetto dimostratimi»: «Sarebbe
stato proficuo lavorare insieme per il bene della Chiesa e di tante
anime bisognose di supporto spirituale e umano».
La vicenda di p. Salonia sembra essere stata manovrata dall’alto.
Una lettera giunta in Vaticano da «ambienti cappuccini», si legge sulle
pagine palermitane di Repubblica il 27 aprile, avrebbe etichettato il
religioso come «uomo indegno» per i trascorsi di «infedeltà al
celibato», ma ci sarebbe chi dice che è una bugia e chi invece sostiene
non essere, questa, la prima volta che tali illazioni vengono
pronunciate. Il motivo di tutto pare un disagio crescente del clero
palermitano che non tollera più nomine “dall’alto” e soprattutto di
persone “non indigene”.
Vittima di storture sistemiche
Ma p. Salonia era molto stimato negli ambienti più illuminati
della Chiesa siciliana. «Ero rimasto positivamente sorpreso
nell’apprendere che un cappuccino-psicoterapeuta, estroverso e loquace,
col quale avevo avuto modo di collaborare in ambito editoriale (e
qualche volta di polemizzare su questioni ecclesiali), fosse stato
nominato vescovo ausiliare di Palermo», ha scritto ad Adista il filosofo
palermitano Augusto Cavadi. «“Ma allora papa Francesco sta facendo
davvero!” ho commentato con le amiche che ammirano moltissimo padre
Giovanni Salonia come prete e come autore di psicologia. Direttamente
proporzionale alla soddisfazione di quelle ore è la delusione
nell’apprendere che il papa in persona ha dovuto fare un passo indietro e
chiedere all’interessato di rinunziare all’incarico per evitare che
maldicenze, scritte e sussurrate, inquinassero il clima della chiesa
cattolica a Palermo». Ma, rileva Cavadi, bisogna risalire «dal sintomo
alla causa» di episodi come questo: Salonia, infatti, è stato «la
vittima di turno di due perversioni sistemiche. La prima (definita già
nell’Ottocento da Antonio Rosmini una delle “cinque piaghe della
Chiesa”) è il sistema di cooptazione dall’alto dei vescovi che, dopo il
primo millennio, ha sostituito il tradizionale sistema elettivo dal
basso. Sino a quando i vescovi saranno paracadutati sulla testa di preti
e fedeli da aerei che decollano a Roma, ci sarà sempre la possibilità -
come in questo caso – che delle frange minoritarie (o maggioritarie)
ricorrano a ogni mezzo più o meno limpidamente evangelico per protestare
contro l’inserimento di un corpo ritenuto “estraneo”». Questa stortura
sistemica, argomenta Cavadi, è resa più facile da un’altra:
«l’esaltazione dell’astinenza affettivo-sessuale sino al punto da
rendere il celibato (da vivere castamente) come una condizione
irrinunciabile per l’esercizio del ministero presbiterale. Anche da
questo punto di vista, per il primo millennio, il criterio (indicato
dallo stesso apostolo Paolo nella Bibbia) era esattamente l’opposto:
“Ogni presbitero sia irreprensibile, sia marito di una sola moglie,
abbia figli credenti che non siano accusati di vita dissoluta né siano
insubordinati”, Lettera a Tito, 1, 5-6). “Irreprensibile” non perché,
sin da ragazzo e sino ai settant’anni, si è negato l’esperienza
dell’intesa sessuale, della tenerezza affettiva con un partner,
mantenendosi freddamente immune da ogni carezza data o ricevuta: bensì,
continua san Paolo nei versetti successivi (7 – 8), “il vescovo, in
quanto amministratore di Dio, sia al di sopra di ogni rimprovero, non
arrogante, non collerico, non dedito al vino, non violento, non avido di
vile guadagno; al contrario, sia ospitale, amante del bene, saggio,
giusto, pio, padrone di sé, attaccato alla parola sicura secondo
l’annunzio trasmesso, per essere capace sia di esortare nella sana
dottrina, sia di confutare quelli che vi si oppongono”. In sintesi: in
una Chiesa che rivedesse la propria cultura sessuofobica, i detrattori
dei cappuccini psicoterapeuti affettivamente espansivi avrebbero poche
frecce nel proprio arco. E molte ragioni, al contrario, per un esame di
coscienza: per chiedersi se essi stessi rispondono all’identikit del
pastore secondo san Paolo».
Anche per Rosario Giuè, prete e teologo, predecessore di p. Pino
Puglisi alla guida della parrocchia di San Gaetano a Brancaccio, la
rinuncia di p. Salonia «non è una buona notizia per chi spera ancora
nella possibilità di una riforma della Chiesa cattolica che papa
Francesco sta faticosamente portando avanti»: per lui, il fallimento
della nomina del religioso psicologo è ascrivibile ad una frangia
antibergogliana, conservatrice e clericale del cattolicesimo. Se,
infatti, da una parte la nomina di Salonia era stata letta da molti
«come un “segno dei tempi”, dell’urgenza di rinnovamento umano e
pastorale di una “Chiesa in uscita”, lontano dalle vecchie logiche
clericali», scrive Giuè sulle pagine palermitane di "Repubblica", se era
il «segno di un’attenzione alle “periferie esistenziali”, del voler
uscire dal torpore delle sacrestie» e dalla logica del «salvare il mondo
clericale con le sue attese e i suoi privilegi», c’è, dall’altra parte,
«chi usa tutti i mezzi leciti, a volte illeciti, per frenare l’azione
riformatrice del papa (e di chi localmente ne segue le indicazioni), per
tentare di bloccarne il processo riformatore, inclusivo e liberante»
che passa, forzatamente, anche attraverso le nomine episcopali. Per
questo, scrive ancora Giuè, «una parte del cattolicesimo, ma anche del
mondo politico e della finanza, rifiuta il cambiamento e lo ostacola
apertamente, costi quel che costi. Anche usando la vecchia arma, come
nel caso di Salonia, delle lettere di delegittimazione».
«Non sono amico di Salonia», afferma il prete e teologo
palermitano, ma gli attacchi contro di lui arrivati sul tavolo del papa
«hanno avuto l’effetto di suscitare in me un moto di tenerezza per
questo prete che, a 69 anni, si vede costretto a scrivere una lettera di
rinuncia alla consacrazione per il ministero episcopale». «Si badi bene
– invita – le accuse contro di lui non sono per pedofilia, non sono per
arricchimento indebito, per legami con la mafia. Sono accuse per
mondanità. Ora va detto che sono solo l’ultimo segno di una Chiesa
malata, di una Chiesa vecchia che stenta a morire. Di una Chiesa che,
mentre rantola, cerca di assestare i suoi ultimi colpi». Ed esprime una
speranza: che Francesco, «passato qualche tempo di decanta mento, possa
decidere di confermare la scelta che aveva fatto a febbraio e
autorizzare la consacrazione di padre Salonia come vescovo ausiliare di
Palermo».
1 commento:
Che tristezza!
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